Care sorelle e fratelli,
desidero condividere con voi l’intenzione che mi ha portato in questo Santuario tanto caro alla nostra città e all’intera diocesi. L’intenzione è quella di pregare e di allargare la nostra preghiera da questo luogo – in cui siamo a porte chiuse seguendo le disposizioni per la tutela della salute pubblica – a tutti voi che seguite attraverso la televisione, che ancora una volta ringrazio perché, nel frangente che stiamo vivendo, riconosciamo preziosa l’opportunità che BergamoTV ci offre per unirci, quando le precauzioni e le distanze sembrano non poterci avvicinare.
Sono molti i santuari presenti nella nostra diocesi, segno della grande devozione a Maria da parte del nostro popolo. Qui siamo dinnanzi all’immagine dell’Addolorata, immagine di un’intensità che non si esaurirà mai. Anche dove non c’è un santuario, in ogni chiesa c’è un altare dedicato alla Madonna, molto spesso venerata con il titolo di “Addolorata”.
Il cristianesimo non è la religione del dolore, ma certamente è la religione che si fa carico del dolore dell’uomo. Gesù non si è sottratto. Per riscattare l’uomo e manifestare tutta la grandezza dell’amore di Dio, si è caricato del peccato degli uomini e del dolore che questo comporta. Maria, l’Addolorata, partecipa di questa passione, non per il dolore, ma per l’amore che non si sottrae al dolore. I cristiani di ogni tempo hanno avvertito questa grandezza di cuore che non ha paura di affrontare anche il dolore per amore di coloro che si amano.
Questo santuario custodisce un segno. Nasce attorno a una grazia: una stella che brilla e fa confluire i suoi raggi verso l’immagine, rigenerando questo affresco ormai dimenticato, ormai quasi distrutto. Mi piace ricordare – anche quando torno a agosto in occasione della grande festa dell’apparizione – che per me i tre raggi di cui parla la tradizione sono quelli della fede, della speranza, della carità. Sono questi i tre raggi che rigenerano non soltanto quell’immagine, ma l’immagine della nostra umanità, riscattata dalla passione di Cristo Gesù a cui Maria è totalmente unita.
Il raggio della fede. Abbiamo bisogno di fede, sempre. Abbiamo smarrito la fede in Dio e la fede negli uomini. In questo momento il raggio che può rigenerarci è la fede in coloro che si stanno adoperando per i malati. A loro va la mia vicinanza. Care sorelle e fratelli, condivido e avverto questa grande battaglia che medici, infermieri, operatori sanitari, responsabili delle strutture, stanno ingaggiando per poter riscattare da questo morbo e da tutte le malattie coloro che ne sono afflitti. Noi vogliamo dire a queste persone: “Abbiamo fede in voi! Mentre vi ringraziamo e vi ammiriamo, vi dichiariamo la nostra fiducia”. Abbiamo fede anche in coloro che a tutti i livelli in questo momento ci stanno governando. Cari fratelli, questo virus è diventato un morbo sociale, perché attraversa la nostra società intera. Per poter affrontare i bisogni più grandi non solo c’è bisogno di governanti degni di questo nome, ma di fiducia nella loro azione. Devono poter avvertire questa fede e devono potersi sostenere da questa fiducia. Cari fratelli e sorelle, come potremo aver fede negli uomini se non abbiamo fede in Dio? La nostra umanità è sempre precaria e limitata. Abbiamo bisogno di rinnovare la nostra fede in Dio, che è la sorgente di ogni fiducia.
Il primo raggio non è mai disgiunto dal secondo, quello della speranza. La fede è capace di nutrire una speranza che è più forte di ogni altra speranza, perché la sua sorgente è in Dio e nella sua opera, è in Gesù e nella vicinanza di sua Madre che noi veneriamo Santissima. È la speranza della guarigione. È la speranza di poter essere preservati da questo male. È la speranza che non abbandona nemmeno coloro che arrivano alle soglie della morte. Care sorelle e fratelli, non sono pochi quelli che stanno sulla soglia della morte e noi, anche se non ci sentono in questo momento, vogliamo far avvertire l’intensità della nostra voce che non consiste in un suono, ma in un cuore. La speranza del cristiano è più forte della morte e non abbandona nemmeno coloro che sono morti. In Gesù crocifisso e risorto noi nutriamo una speranza che è più forte della morte. Veramente nessuno è perduto.
Il terzo raggio è la carità. Oggi noi siamo chiamati a esercitare una prossimità originale. Una delle caratteristiche della prossimità cristiana è di avere a che fare con i volti. L’abbiamo organizzata in mille modi lungo i secoli e ancora oggi ci prodighiamo perché possa rispondere a tanti bisogni. Ma l’originalità della carità cristiana sta nell’incrociare gli occhi, il volto, l’attesa della persona nella sua concretezza. In questo momento ci sembra che anche questo ci sia portato via: dobbiamo mantenere distanze per la sicurezza della nostra salute, ma non vorremmo mai che fossero le distanze del nostro cuore, della nostra disponibilità a trovare i modi più originali e anche nuovi per poter manifestare aiuto l’uno all’altro. Ci sono persone che nella loro condizione ci insegnano e ci hanno insegnato a superare questa distanza fisica in tanti modi.
Penso ai migranti: non soltanto a quelli che in questi anni sono arrivati nel nostro paese, ma ai tanti nostri concittadini e compaesani che nei secoli sono partiti dalle nostre terre e che mantenevano una profonda unità con le loro famiglie, ad esempio con una lettera, col tornare a casa una volta all’anno … ma era soprattutto una passione d’amore e un grande senso di responsabilità, che univa coloro che erano lontani a coloro che rimanevano qui.
Penso in questo momento ai carcerati, che vivono la distanza dalle loro famiglie. In questo momento stanno manifestando tutta la loro sofferenza, espressa in maniere che vorremmo fossero pacificate. Ci dicono del desiderio di una vicinanza, del desiderio di riuscire a mantenere, nella loro condizione una vicinanza di affetti e di sentimenti con coloro che li amano, con le loro famiglie. Cari carcerati, e mi rivolgo particolarmente a quelli di Bergamo: posso capire la vostra pena che si aggiunge ad altra pena, ma vi chiedo di essere testimoni di questa capacità di vicinanza ai vostri cari, pur in condizioni così difficili.
Penso infine ai malati. Una delle cose che un malato desidera non è la moltiplicazione di tante parole, ma l’avvertenza di una cordiale autentica profonda vicinanza.
Alla luce di questi esempi di vicinanza che supera le distanze, io desidero che ciascuno di noi in maniera originale sappia inventare modi, diversi da quelli abituali, per poterci regalare e manifestare vicinanza gli uni gli altri: scrivere, telefonare, …. Sono tanti i mezzi che oggi ci permettono di comunicare e di comunicare i sentimenti più belli, anche quando non ci si può incontrare.
Vi è un modo particolare che ci unisce intensamente ed è la preghiera. Sappiate che io mi sento unito a tutti voi nella preghiera. La preghiera è una grandissima forza, non soltanto nel momento in cui si rivolge a Dio, ma anche nel momento in cui viene condivisa.
Alla luce di quanto stiamo vivendo questa sera, preghiamo il Santo Rosario, preghiamolo ancora nelle nostre famiglie. Non vergogniamoci di pregare il rosario in casa. Affido questo impegno particolarmente ai nonni. Cari nonni, in questo momento siete nella situazione più delicata; vi ricordiamo con tutto l’affetto, ma consegnateci il tesoro, a volte nascosto, della vostra preghiera e della vostra fede. È una preghiera semplice. Per i vostri nipoti impazienti e piccoli, forse la Corona è troppo, ma basta una decina alla volta. Il mistero di Gesù, la sua storia e l’Ave Maria.
Sappiate, cari fratelli e sorelle che le nostre chiese rimangono aperte: poterci entrare a pregare, magari proprio il Rosario. Non possiamo celebrare con il popolo, ma ogni giorno i sacerdoti celebrano l’Eucaristia per voi.
Tra i tanti ricordi mi sovviene una persona, un papà coinvolto in un grave incidente. Mi chiama e passo tutta la notte con lui. Quell’uomo, che sembrava lontano da Dio, non ha smesso, per tutta la notte, di ripetere queste due parole, ininterrottamente, come un rosario: Mamma, Ave Maria; Mamma, Ave Maria. Per grazia e intercessione di Maria poi è guarito.
Si chiama “coronavirus” questo morbo che così intensamente ci sta affliggendo. Noi abbiamo un antidoto spirituale: è proprio la “coronarosa”, la corona di rose, la corona del Rosario. Noi confidiamo, non in maniera magica, sapendo quanto l’impegno dev’essere ancora rivolto a creare condizioni di guarigione e di sicurezza. Ma sappiamo anche, che una grande forza spirituale e morale ci viene da questa corona, la corona del Rosario e ci auguriamo che questa corona contribuisca alla vittoria sulla corona del virus.