Care sorelle e fratelli,
ci ritroviamo per questo momento di preghiera che sta diventando particolarmente caro a molti e soprattutto a me. Siamo in condizioni particolari, ma proprio questa particolarità ispira ancora più intensamente la nostra preghiera.
Avvertiamo una comunione tra noi che passa attraverso il mezzo televisivo.
Avvertiamo la gioia di poterci concedere un momento che in altri tempi sarebbe stato più difficile prevedere.
Avvertiamo l’importanza della preghiera, di una preghiera di intercessione perché il Signore ci conceda tregua, ci conceda salute, accolga i nostri cari defunti.
Avvertiamo l’importanza della preghiera perché essa non solo nutre il nostro spirito, ma anche la nostra energia: quell’energia morale che è necessaria per sopportare situazioni difficili, che è necessaria per stare in famiglia, che è necessaria per portare il fardello del dolore, che è necessaria per guardare con speranza al futuro.
Quanti motivi per pregare! Ma oggi ne abbiamo uno molto particolare: vogliamo pregare per tutte le persone anziane. Anche io mi rendo conto di essere tra queste. Le persone anziane sono state le più esposte alla violenza di questo contagio. Tanti ne sono stati vittime: sono tanti coloro che sono morti a partire da quella condizione della loro anzianità che li ha resi particolarmente fragili. Altri si sono malati e molto sono guariti.
Noi vogliamo pregare abbracciando tutte le persone anziane: nonni e nonne, quelle nelle nostre famiglie e quelle nelle case di riposo.
Ho desiderato proprio venire a pregare da questa casa a Scanzorosciate che accoglie gli anziani da tanti anni e che porta il nome di Piccinelli, un benefattore che ha dato il via a questa avventura. Qui sono ospitati tanti anziani, anche tra loro alcune sono morte, altre stanno vivendo una situazione molto particolare. Il ricordo è per tutti loro e per tutti coloro che sono stati e sono accolti in queste case e per i loro familiari che in questo momento fanno fatica a poterli incontrare e per tutti coloro che stanno lavorando per loro con una dedizione che non vogliamo dimenticare.
Non voglio dimenticare nemmeno gli anziani soli, quelli che per settimane hanno vissuto una solitudine ancora maggiore nelle loro case.
Care sorelle e fratelli, tutti vogliamo pregare per gli anziani non solo perché la salute li sostenga, ma anche per esprimere loro il nostro affetto e la nostra riconoscenza.
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Care sorelle e fratelli,
vorrei condividere qualche sentimento con voi che mi state vedendo attraverso la televisione e che soprattutto avete pregato insieme con me.
Penso in modo particolare agli anziani e a tutti i loro cari: penso ai loro figli, ai loro nipoti e pronipoti. Questa preghiera che in modo particolare ho innalzato al Signore per voi, care nonne e cari nonni, cari anziani, inevitabilmente si allarga a tutte quelle relazioni che in qualche modo hanno visto voi come la sorgente.
Ho desiderato pregare in modo particolare per voi che siete stati investiti più di tutti dalla violenza del contagio. Penso a tanti di voi nelle case insieme a qualche persona cara, penso a coloro che sono soli e poi a coloro che abitano le case di riposo. Ne abbiamo diverse nella nostra diocesi e provincia.
Tutti sognano di poter compiere la loro vita all’interno della propria casa, quella in cui per anni e anni hanno vissuto gioie, sofferenze e soprattutto le relazioni più importanti. Non sempre questo è possibile soprattutto nel momento in cui la salute o le situazioni complessive diventano così fragili da richiedere un insieme di cure che queste case possono offrire. Tutto questo deve avvenire però non in maniera fredda: la sofferenza più grande non è semplicemente quella di dover cambiare casa, ma quella di perdere quell’immediatezza di relazioni calde e vorremmo che fossero come quello che viviamo nelle nostre famiglie. Relazioni che ci auguriamo di poter vivere e sperimentare anche in case come queste, dove insieme alla cura della salute c’è anche la cura delle relazioni e quindi della persona nella sua totalità.
Vorrei accompagnare questo pensiero con un’antica scrittura che troviamo nel testo biblico di un libro sapienziale, il Siracide, che ci consegna la Parola di Dio come una sapienza di vita: “Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita, sii indulgente anche se perde il senno e non disprezzarlo mentre tu sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa. Nel giorno della tua tribolazione, Dio si ricorderà di te e come brina al calore si scioglieranno i tuoi peccati”.
Questa condivisione di preghiera e di pensieri, avendo davanti ai nostri occhi i volti dei nostri cari anziani, è certamente connotata anche da una sofferenza grande: molti anziani sono morti, sono scomparsi, perché uno degli elementi di questa tragedia della pandemia è aver visto tante delle persone care come scomparse ai nostri occhi. Anziani, nonni, nonne, preti – anche in questa casa -, religiosi e religiose, che non vogliamo dimenticare.
Questa morte così imponente nei numeri e così travolgente nei giorni in cui particolarmente è stata forte la violenza del contagio, ha suscitato un sentimento di sgomento. A tante persone malate è mancato concretamente il fiato nei polmoni, a noi è mancato il fiato davanti a quello che stava succedendo. Abbiamo provato sgomento.
E poi il dolore, e poi la rabbia, che forse sta montando in tanti cuori e che vorremmo trasformare non in qualcosa di distruttivo, ma in qualcosa di costruttivo.
E infine lo struggimento. È una parola che non usiamo spesso, ma pensando ai sentimenti che stiamo provando in questi giorni, anche a fronte di persone care e anziane che non vedremo più, lo struggimento è una nostalgia, è una percezione di mancanza.
C’è però un atteggiamento che a volte sentiamo esprimere e se non è nostro vogliamo però che serva come appello alla nostra coscienza. È quel sentimento che giustifica questa perdita degli anziani, non fosse altro perché sono anziani: “cosa vuoi, la vita ha il suo compimento e quindi nel momento in cui le condizioni diventano più pericolose, gli anziani sono le prime vittime”. Questa considerazione dell’anziano come vittima predestinata, non renda giustizia a ciò che una persona umana rappresenta, anche se in una situazione di naturale fragilità.
Noi anziani – dico anziani, non sopravvissuti e dico noi, perché anche io mi trovo in questa condizione – ci troviamo a vivere una condizione che ci mette inevitabilmente in una situazione di maggiore fragilità: la fragilità della nostra salute, la fragilità del nostro spirito, la fragilità della nostra anima.
Abbiamo ricordato i morti, ma vorrei ricordare tutti gli anziani nelle nostre famiglie, in queste case di riposo e in modo particolare coloro che vivono la solitudine che in questo periodo è ancora più acuita. Quanti anziani nell’essenzialità delle loro parole, nella sobrietà dei loro gesti, ci sono stati e ci sono maestri.
Dentro questa condizione di fragilità, noi anziani siamo in qualche modo chiamati a un atto di fede: un atto di fede in Dio, ma anche un atto di fede negli uomini, perché mai come nella condizione anziana – qualsiasi sia la sua caratteristica – noi avvertiamo l’esigenza di affidarci. Non è facile aver fede, non è facile affidarci. Non è facile aver fede e affidarci a Dio, tanto meno facciamo facilmente il gesto di fidarci e affidarci agli uomini.
Speriamo però che insieme alla necessità e alla scelta di affidarci nella nostra fragilità, vi sia anche la concreta possibilità di farlo, perché occorrono delle condizioni perché io possa fidarmi e affidarmi, a Dio e agli uomini.
Questa fiducia, care sorelle e fratelli, che trova la sua sorgente nella fede in Dio, è capace anche di guardare alla conclusione della nostra vita. Per tanto tempo è come se avessimo censurato questo evento che ultimamente si è imposto con una imponenza travolgente: siamo mortali.
La morte che ha assunto cifre impressionanti, non solo di anziani, ci ricorda che il corso della vita ha una sua conclusione. Qualcuno potrebbe dire che è nella natura delle cose, tutto ciò che nasce è destinato a morire, dal fiore che sboccia all’universo intero.
Quella fiducia di cui parlavo, che ha la sua sorgente in Dio e per noi cristiani nella vicenda di Gesù, nella sua morte e risurrezione, addirittura si proietta oltre la morte. Quel battesimo che abbiamo ricevuto, quella Pasqua che abbiamo celebrato ha trasmesso in noi il germe della vita nuova. Noi moriamo, ma la vita nuova che ci viene consegnata da Dio, quella non muore più.
Credo che, mentre vi auguro che possa essere recuperata la serenità dei giorni, è assolutamente necessario come dono e come bene il pensiero che la nostra vita non è consegnata al nulla per cui dobbiamo nascondere la morte, perché ne siamo angosciati, ma la nostra vita è consegnata nelle mani di Dio e quindi può dare energia, speranza, serenità anche nella prova a coloro che si fidano e si affidano, a Dio e agli uomini.
Parliamo di anziani, parliamo dei nostri padri, parliamo di noi, ma parliamo anche dei nostri figli. Cari fratelli e sorelle anziani, c’è un grande dono che i nostri padri e madri – che forse erano meno attrezzati di noi sotto il profilo culturale e di tante esperienze che noi abbiamo fatto – ci hanno lasciato: hanno vissuto, hanno faticato, fatto fatto sacrifici per dare un futuro ai loro figli. Ecco il dono che noi anziani abbiamo la responsabilità, anzi la generosità di offrire ai nostri figli, ai nostri nipoti, alle giovani generazioni.
Un futuro che nasce dalla memoria: la memoria non è soltanto ricordare il passato, ma è consegnare ciò che conta nella vita. La memoria ha a che fare con l’eredità: ti lascio ciò che è prezioso e non è soltanto un conto in banca o la casa. Ti lascio ciò che conta nella vita veramente.
Cari fratelli e sorelle, è importante questo testamento, anche se stiamo benenone – anzi, proprio nel momento in cui stiamo bene – l’eredità di un futuro per i nostri figli e i nostri nipoti. Un futuro che abbia il sapore della speranza. Non tagliamo le radici della speranza ai nostri figli e ai nostri nipoti.
C’è un’immagine che dentro questi giorni mi rimane molto impressa. L’ho raccolta guardando il nostro telegiornale: in un servizio si è vista una persona anziana che dall’Ospedale Papa Giovanni era portata all’Ospedale da campo che è stato allestito presso la Fiera di Bergamo. C’era l’ambulanza con le persone che stavano assistendo questa persona. In televisione, in diretta, è arrivato un messaggio da parte della figlia di quella persona e diceva: “È un mese che non vedo il mio papà e ora sono riuscita a vederlo attraverso la televisione”. Ma ha mandato immediatamente un messaggio perché ha specificato: “Ho provato una grande consolazione, perché ho visto coloro che lo assistevano fare una carezza a mio padre; non soltanto trasportarlo, ma fargli una carezza dolce. Quella carezza mi ha aperto il cuore”.
Cari fratelli e sorelle, cari anziani, cari nonni e nonne, che questa preghiera sia un po’ come quella carezza: vi accompagni, vi apra il cuore, alimenti la vostra forza e la vostra speranza.