08-11-2018
Care sorelle e fratelli,
nelle letture che abbiamo ascoltato è risuonata la parola “perdita”: la utilizza l’apostolo Paolo e la ritroviamo anche nel Vangelo.
Paolo giudica una perdita tutto – anche quelli che potrebbero apparire titoli che lo accreditano agli occhi dei giusti – per seguire l’unico guadagno: non è una cosa, non è un merito, è una persona. Il guadagno è Gesù Cristo e per lui è disposto a perdere qualsiasi privilegio, titolo, accreditamento.
Nel Vangelo la perdita è quella della pecora che si è smarrita e quella della moneta che la donna ha perduta. Una perdita messa in relazione alla gioia del ritrovamento. La perdita, unita alla passione del ritrovare, assume il volto della cura. La donna cura la sua casa e nel momento il cui perde il suo denaro cerca fin quando lo ritrova, perché tutto nella casa deve essere ordinato. Così il pastore che parte lasciando le 99 pecore, ci narra un uscire per trovare. Da un lato c’è il custodire e il curare la casa, dall’altro l’uscire per ritrovare ciò che si è perduto.
Gli atteggiamenti che caratterizzano queste parabole che Gesù ha raccontato e che rappresentano la sua azione, secondo me rappresentano bene anche l’azione di un presbitero e soprattutto di un Vescovo.
Il Vescovo è fondato su Cristo e quindi riconosce che niente vale come Cristo. È il testimone di questa considerazione che riconosce tutte le cose come importanti, ma affermando che ciascuna prende significato da Cristo, tanto da essere disposto a perdere ogni riconoscimento, ogni titolo, perché accreditamento che permette di stare nella vita con gusto e significato è solo Cristo stesso.
Così il vescovo è dedito alla cura della Chiesa e alla sua missione: per ritrovare nella casa chi si è perduto e per cercare chi si è smarrito allontanandosi. È la missione della Chiesa che raggiunge ogni persona.
In questo orizzonte vorrei condividere con voi qualche ricordo di Mons. Clemente Gaddi nel 25mo anniversario della sua morte. È stato un pastore della nostra chiesa, un uomo che ha fatto di Cristo il fondamento e il guadagno della sua vita, ha curato la casa della comunità cristiana e ha vissuto fino in fondo la sua missione.
Nato e vissuto nella diocesi di Como, era stato ordinato Vescovo nel 1953, destinato alla diocesi siciliana di Nicosia. Arriverà a Bergamo nel 1963 e vi svolgerà il suo ministero episcopale fino al 1977. A conclusione di questo ministero, rimarrà a Bergamo dove muore il 7 novembre 1993.
Dei sacerdoti ordinati da lui ben 183 sono ancora viventi ed esercitano il ministero come parroci o vicari parrocchiali. Costituiscono quasi un quarto del nostro clero.
Il nome di mons. Clemente Gaddi è legato innanzitutto alla ricostruzione del Seminario diocesano. Nel ricordo dei seminaristi di allora, oggi preti ormai maturi, c’è la frequenza quotidiana delle sue visite al cantiere, salendo addirittura con disinvoltura, nonostante la talare e la mole, sulle impalcature. Ebbe la grande gioia di poter inaugurare il Seminario il 5 novembre 1967, dopo aver dedicato la chiesa detta “ipogea” a Cristo Sommo ed Eterno Pastore. Fece epoca il suo commento che diventò uno slogan vocazione, che faccio anche mio: “Il Seminario c’è, è bello, occorre popolarlo, e bene!”. Se questo era lo slogan di allora, oggi deve diventare una intensa preghiera.
Non volle che il suo nome apparisse nel vastissimo edificio. Quando a 25 anni dalla inaugurazione il suo nome apparve su una piccola lastra in rame, assicurò che appena avesse potuto – forse notte tempo – sarebbe venuto a cancellarlo.
Il suo temperamento vivace, l’intelligenza dinamica, uno stile di comportamento impeccabile nella liturgia, disinvolto e familiare nella vita ordinaria tale da essere una novità in quegli anni, lo portarono a conoscere bene la diocesi. Dotato di una memoria eccezionale per le località, le strade, l’ubicazione delle chiese e delle strutture parrocchiali conosceva bene anche i preti e i laici.
Questo stile personale ricco di umanità e di varie esperienze pastorali gli fece affrontare il lungo capitolo della attuazione del Concilio Vaticano II a cui aveva partecipato lungo tutto il suo svolgimento, dal 1962 al 1965. Il solido impianto teologico e dottrinale che lo caratterizzavano si univano all’ansia pastorale e al desiderio di quel rinnovamento che il Concilio indicava nello stile di governo e nella prassi pastorale. Così quella prima fase del post-concilio fu ricca e vivace anche a Bergamo: ebbe i suoi momenti di tensione fra diverse tendenze, ma non diventò mai divisione.
Nel 1976, al compiersi del 50mo anniversario della sua ordinazione presbiterale e alla vigilia delle sue dimissioni, scrisse una lettera ai preti. Leggendola ne sono rimasto colpito e commosso. Scrive: “Rimiro con occhi disincantati, ma con cuore sempre fiducioso il nostro campo di lavoro e mi sembra doveroso esortarvi, cari sacerdoti, ad adattare con coraggio e se necessario con qualche rischio ragionevole il nostro metodo di apostolato alle esigenze di oggi, se non vogliamo esporlo al pericolo della sterilità. Abbiamo alle spalle una tradizione di lavoro generoso e a molti sembra giusto continuare sulla strada di sempre, a me pare invece che si rendano oggi particolarmente necessari e urgenti alcuni atteggiamenti pastorali: un ministero più mobile secondo la mobilità della gente d’oggi, un ministero multiforme e creativo, una attività collegiale”.
Ricordiamo mons. Gaddi, ringraziamo il Signore e suffraghiamo lui e tutti i Vescovi defunti perché partecipino della stessa gioia di Dio per tutti quelli che con il loro ministero hanno condotto a lui.
(trascrizione da registrazione)