Ordinazioni Sacerdotali

Cattedrale
29-08-2020

Care sorelle e fratelli,
abbiamo appena non solo ascoltato, ma visto questi giovani chiamati e confermati dal Vescovo a nome di tutta la Chiesa come coloro che verranno ordinati presbiteri, in un anno particolare, tanto che siamo rimasti incerti non sulla loro ordinazione, quanto sulla data della celebrazione. Finalmente siamo giunti a poterla stabilire in questa circostanza alquanto significativa a ridosso della festa del patrono della nostra diocesi, che ci è particolarmente caro. Peraltro stiamo vivendo anche una celebrazione che ha delle caratteristiche molto particolari: sappiamo che le disposizioni che cercano di rassicurarci in questo momento, non hanno reso possibile che la nostra Cattedrale si riempisse di tante persone che avrebbero desiderato essere qui con noi e che ci stanno seguendo attraverso la televisione e che con noi comunque stanno pregando, uniti a distanza.

Quest’anno è particolare anche perché abbiamo condiviso con il mondo intero una attesa di salvezza, che non si è assopita. Se da noi il contagio non è più così violento, stiamo constatando come però nel mondo è ancora molto diffuso con conseguenze veramente dolorose. Fra i tanti sentimenti che questa condizione mondiale alimenta vi è certamente un’attesa di salute, di sicurezza, ma soprattutto attesa di salvezza.

Noi che abbiamo vissuto in modo particolarissimo questa vicenda, ci siamo resi conto che l’attesa delle persone certamente è stata ed è relativa alla propria salute, ma nello stesso tempo ci si è resi consapevoli che insieme alla salute fisica c’è un insieme di altre condizioni che ci sono necessarie, alle quali possiamo dare complessivamente il nome di salvezza. Abbiamo bisogno di essere riscattati e salvati non solo dal virus, ma da una condizione che continuamente ci espone non soltanto alla morte, ma alla fragilità, al pericolo, all’isolamento, alla solitudine, alla precarietà.

Il Signore vi ha chiamato e vi manda per la salvezza degli uomini.

Siamo pieni di gioia, ma anche di trepidazione, perché a voi giovani ordinandi e a tutti noi presbiteri, è affidata una missione che è assolutamente impari rispetto alle nostre forze e alle nostre capacità. Una missione che ha proprio a che fare con la salvezza dell’umanità.

Gesù quest’oggi con la sua parola ci ha offerto un insegnamento su “come” compiere questa missione di salvezza.

È il seguito del Vangelo della scorsa settimana quando Gesù veniva riconosciuto da Pietro come il Messia, il Cristo, il Salvatore, il Figlio del Dio vivente. A coloro che lo vogliono seguire Gesù comincia a “spiegare” come realizzerà questa missione. Mi piace il verbo “spiegare” usato dalla traduzione.

Voi e noi tutti insieme ci rendiamo conto che non si tratta soltanto della grazia dell’ordinazione. Una grazia che prende forma nelle vostre personalità e quindi c’è già una modalità, ma c’è soprattutto il “come” che viene spiegato da Gesù. Quindi non basta essere riconosciuti preti e neppure venire ordinati sacerdoti del Signore, ma è decisivo il “modo” di essere preti, cioè il “come” noi esercitiamo e scegliamo di compiere la missione di Gesù, cioè il dono che lui ci comunica.

È un modo esteriore, ma soprattutto un modo interiore: “lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare”.

Il primo tratto di questa fisionomia che Gesù ci spiega e con cui rappresenta se stesso, è il tratto del discepolato: “Se qualcuno vuole venire dietro a me”.

So bene che queste cose vi appartengono, ma cari confratelli sacerdoti, questi tratti essenziali li dobbiamo ricordare a noi stessi, proprio in occasione di questi nuovi.

Non c’è possibilità di una missione evangelica, di una missione generativa, se non a partire dal fatto che ogni giorno, ora, ogni istante, noi ci facciamo discepoli del Signore. Anche io che vi sto predicando in questo momento devo farmi discepolo del Signore, stando continuamente alla sua scuola, stando continuamente in relazione con lui, altrimenti non succede niente: sarà solo un grande apparato che faremo sempre più fatica a sostenere, ma verrà a mancarne l’anima.

Questa anima la possiamo nutrire solo facendoci ogni giorno discepoli.

Quante persone vi saranno affidate, quanti giovani, quanti già stasera e domani busseranno alla porta del vostro cuore (“ tu che sei appena ordinato…”) ma questa grande missione ha e avrà un’anima sempre e solo a partire dal cuore del Signore.

Imparare, stare, seguire sono le sorgenti inesauribili della missione.

“Se qualcuno vuole venire dietro a me – continua Gesù – rinneghi se stesso”.

 È questo il secondo tratto. Se qualcuno vuole essere mio discepolo, ci dice il Signore, rinunci a autogiustificarsi. Siate liberi dalla necessità di continuare a giustificarvi, perché vi giustifica il Signore. Non solo intendo davanti agli altri, ma anche davanti a voi stessi.

Cari fratelli, più di una volta l’ho detto, perché è qualcosa che vedo in agguato per tutti, soprattutto per le giovani generazioni: siamo così preoccupati di noi stessi, di giustificare noi stessi, al punto tale da costruire progetti e percorsi o immaginare la nostra realizzazione a partire da noi stessi. Ma non è questa la modalità di Gesù.

Lui si consegna alla volontà del Padre non rinuncia alla sua libertà, ma la mette tutta al servizio della missione.

Non autogiustificarsi è anche non affermarsi, non comandare, non essere presi da quell’ansia di auto-salvezza che a volte riesce a condizionare la libertà della nostra missione, che invece il Signore ci consegna come dono e compito proprio dentro anche i limiti che ciascuno riscontra in se stesso.

Vi scrivevo: “Cari giovani, ordinati sacerdoti: non siete preti per voi, ma per la Chiesa e per l’umanità. Non vi appartenga alcuna forma di autoreferenzialità; non siete preti per realizzare un vostro progetto, ma per compiere la missione della Chiesa, nella Chiesa, con la Chiesa”.

Gesù poi consegna il terzo tratto: “Chi vuole essere mio discepolo, prenda la sua croce”.

La croce ci spaventa sempre. La croce ce l’abbiamo già sulle spalle: non si tratta semplicemente di un’operazione di sopportazione. Gesù chiede di “prenderla”.

Sto cercando, anche alla luce di quello che abbiamo vissuto in questi mesi, di proporre come modo di essere cristiani e di essere preti “servire la vita dove la vita accade”.

Non dobbiamo andare a cercarci la croce. Prendiamo la nostra croce, cioè serviamo secondo il Vangelo la vita, lì dove la vita sta accadendo. Fate bene attenzione a questo.

Certamente avrete organizzazioni e programmazioni: non lasciamoci certo andare a uno spontaneismo che genera incertezza. Nello stesso tempo però dobbiamo avere ben chiaro che il Signore ci manda alla vita degli uomini.

Gesù dice: prendi la “tua” croce, non una croce qualsiasi, cioè la tua vita di ogni giorno.

E poi “seguimi”, cioè portala con i miei sentimenti.

Abbiamo parlato di sentimenti in occasione della festa di Sant’Alessandro e particolarmente della virtù della compassione. Sono importanti le convinzioni. Sono importanti anche le emozioni e ne avrete tante in questi giorni. Ciò che è essenziale sono “i sentimenti di Cristo”, cioè io sento come sente Gesù. È qualcosa di profondo: l’emozione è qualcosa che finisce e svanisce, il sentimento no perché è un modo di essere, di pensare e alla fine di agire.

Carissimi, siamo tutti consapevoli di una grande grazia che stiamo vivendo. Anche per tutte le condizioni che ricordavo sono veramente felice quest’oggi e grato al Signore.

La consapevolezza di una chiamata, di una grazia, di una responsabilità diventa finalmente consapevolezza di un mistero, per il quale il profeta Geremia (certo in condizioni un po’ diverse e più drammatiche rispetto alle nostre) ci testimonia con una bellezza struggente: “Mi hai sedotto e mi sono lasciato sedurre… Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”.

Dice con noi e per noi: Signore, io non so come è successo. Tante difficoltà, tanti impegni, tante prove ci sono e ci sono stati, ma nel mio cuore c’era un fuoco ardente. Se siete qui vuol dire che il Signore ha acceso nel vostro cuore l’irresistibilità del fuoco anche di fronte alla prova.

Questo fuoco non spegnetelo, ma nemmeno contenetelo! Che sia veramente sempre l’anima e la forza del vostro ministero.

È lo Spirito Santo di Dio che vi consacra a lui per questo servizio di cui ringraziamo il Signore, per la grande grazia di voi tre.

Un tempo avevamo altri numeri, ma io benedico il Signore per voi tre. Preghiamo tutti e preghiamo sempre perché il Signore ci conceda la grazia dei sacerdoti.

***

In questi anni, stiamo assistendo, anche nella nostra diocesi, alla contrazione del numero delle ordinazioni sacerdotali: forse Dio non è più generoso nel donare? O forse noi abbiamo dato troppo per scontata la presenza e il numero dei sacerdoti al punto da non desiderarla più come un dono ma piuttosto a reclamarla come un diritto?

Troppo debole è la nostra preghiera: è come se fosse espressione del calo del desiderio di Dio e di uomini che si pongano radicalmente al suo servizio, per la vita di tutta l’umanità.

Mentre ci rallegriamo per il dono che riceviamo nelle ordinazioni presbiterali di quest’anno, alimentiamo il desiderio del dono di altri giovani che corrispondano a questa missione.

Sono certo della preghiera di molti e chiedo la preghiera di tutti.

Una preghiera che diventa suffragio riconoscente per i 24 sacerdoti defunti in queste settimane a causa del contagio: ognuno ci lascia una testimonianza luminosa che vogliamo raccogliere e coltivare.

Infine, la gioia: è la gioia del Vangelo che il Signore affida a questi giovani per l’intera comunità umana, cominciando dai poveri, i piccoli, i malati. È la gioia della missione.

Quanto in questi giorni, settimane e mesi, abbiamo compreso della necessità della missione evangelica per la “salvezza” di tutti. “Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?”

Andate e annunciate, testimoniate e comunicate a tutti la sorpresa della vita che scaturisce dalla fede, dall’incontro e dal seguire Gesù.

L’ordinazione sacerdotale è anche un mistero: non si finisce mai di scoprire e comprendere ciò che rappresenta. E’ il mistero di una sconcertante sproporzione tra la nostra necessaria umanità e la grazia che ci viene affidata per la speranza e la vita di ogni persona umana.