Cari giovani ordinandi,
siete stati chiamati per nome. Questa chiamata è molto particolare. Non è l’unica, non è la prima. Essere chiamati per nome ha qualcosa che, in maniera non sempre chiara, ci riconduce a Dio. Penso a quando una persona nasce: ancor prima che venga alla luce si pensa al suo nome, un nome proprio per quella persona. Ci sono tante persone che si chiamano Giovanni, Omar, Mattia, ma ogni nome proprio risuona come appello unico nell’universo e nella storia.
Questa, oggi, è la chiamata della Chiesa. Il Rettore a nome di tutti coloro che hanno accompagnato la vostra formazione si è fatto portavoce di questa chiamata della comunità. Ma nel nome noi sentiamo risuonare innanzitutto la chiamata di Dio.
Quando veniamo chiamati per nome, avviene sempre una trasformazione. In questo momento io non conosco il nome della maggior parte di voi, care sorelle e fratelli, e così delle tante altre persone che ci stanno seguendo attraverso la diretta televisiva. Quando però ognuno viene chiamato per nome il rapporto si trasforma: è come se in quel momento un individuo diventasse persona, gli venisse cioè riconosciuto quel mistero che è ogni persona umana. E viene riconosciuto non semplicemente attraverso un titolo pronunciato, ma attraverso un nome che stabilisce un rapporto e una relazione.
Nel momento stesso in cui avviene questa trasformazione è come se si riconoscesse a ciascuno una missione unica nella storia del mondo.
Mi sono soffermato su questa chiamata che in questo momento è risuonata per voi, carissimi. Il nome però dice anche di un volto, rimanda al vostro volto. Non c’è mascherina che tenga e possa mortificare l’intensità di ciò che rappresenta il volto. Il volto è l’incarnazione di quel nome che risuona.
Così è risuonata la vostra risposta, perché la chiamata per nome, in un modo o nell’altro, espone a una risposta, ad un “eccomi”, come abbiamo appena ascoltato. Quell’eccomi non è semplicemente la dichiarazione di una presenza, ma di una disponibilità, di una consegna, di una responsabilità. La risposta è responsabilità per una missione.
Diventerete sempre di più quello che siete, diventerete sempre di più presbiteri al servizio del popolo di Dio nella misura in cui la vostra risposta, “eccomi”, diventa responsabilità.
Sei stati chiamati nel tempo della pandemia. Non vogliamo connotare il nostro tempo semplicemente sotto questo segno, però dobbiamo riconoscere che questo di impone per tantissime ragioni: ad esempio, una per tutte, questa Cattedrale si riempiva in occasione delle ordinazioni. Certo anche i numeri degli ordinandi erano diversi, ma oggi si sarebbe riempita per questi tre giovani. La pandemia ci costringe a presenze limitate. La pandemia ci ha limitato sotto tanti profili.
E noi diciamo “speriamo di superare queste limitazioni!”. Ma noi non supereremo mai il nostro limite, anche se la nostra vita è tutta volta a cercare di superare i nostri limiti.
Carissimi, nel momento stesso in cui voi ricevete il dono di Dio per il servizio sacerdotale, voi avvertirete ancora di più il vostro limite. Noi tutto lo avvertiamo nel momento in cui ci viene affidata non solo una missione, ma soprattutto un dono.
Care sorelle e fratelli, non è la missione che rivela il nostro limite, ma la grandezza del dono che noi riceviamo. Un dono che non riusciremo mai a raccontare per intero.
Nel momento in cui ravvisiamo il nostro limite – adesso in modo gioioso e fiducioso, ma può succedere nel corso della vita in modo pesante e sofferto – saremo e sarete esposti alla tentazione della rassegnazione. Potremo essere testimoni e missionari del Vangelo se ci rassegniamo al nostro limite?
Ci può essere la tentazione della giustificazione, perché per scusare il limite, con l’illusione di vincerlo, noi ci giustifichiamo. È una tentazione diffusissima: abbiamo mille modi nei quali troviamo giustificazione.
Ci può essere la tentazione della pigrizia: “che ci vuoi fare? sono fatto così!”.
Ci può essere anche la tentazione del dubbio: il dono grande, il mio limite, il Signore, la missione… ma poi?
L’avevano visto sulla croce, come un maledetto. “Ma è proprio lui? È proprio lui che ci sta chiamando e ci sta mandando?”.
Il dono è grande, ma esiste anche il limite.
Carissimi, è bello il Vangelo della Santissima Trinità che ci viene offerto quest’oggi perché dice di un mandato missionario che è di tutti, ma certamente di quei discepoli che Gesù ha invitato sul monte, in Galilea. A loro offre la grazia, a loro affida una consegna.
Gesù condivide con questi discepoli, che ha chiamato per nome, la missione che il Padre gli ha affidato e che lo Spirito Santo continuamente sostiene.
E finalmente, c’è la promessa di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Sono con voi. Insieme. Voi tre. I vostri amici sacerdoti, quelli più vecchi di voi e quelli che vi hanno accompagnato, tutto il nostro presbiterio è insieme a voi. Se da una parte denunciamo a volte le nostre solitudini, dall’altra dobbiamo riconoscere le nostre ritrosie a riconoscerci insieme. Ma Gesù dice: sono con voi tutti i giorni, rimanete insieme! Quindi rimanete insieme perché il Signore sia con voi tutti i giorni nella vostra missione.
La missione che vi è affidata non è fatta per una comunione esclusiva, non per una fraternità limitata a qualcuno, ma per una comunione e un incontro che possa raggiungere ogni persona umana.
Abbiamo bisogno di pastori, di persone che amano Cristo e condividono la vita con coloro che sono loro affidati. Dice Gesù: tutti i giorni, ogni giorno, ogni istante. Non dimenticatevelo, non dimentichiamocelo. Ogni giorno. Ogni istante.
Quando ci assalirà la rassegnazione, la giustificazione, la pigrizia, il dubbio, non dimentichiamo la promessa di Gesù. Sono con voi! Sono con voi che sto mandando, con voi proprio perché vi mando.
La presenza del Signore nella vostra vita è tutta in relazione alla missione che vi affida. Non sottraetevi alla missione anche nel momento più difficile. Altrimenti, sottraendovi alla missione come farete a godere della promessa del Signore? Io sono con voi tutti i giorni. Con voi anche nel vostro limite e particolarmente quando lo sperimentate e siete tentati dal dubbio.
Cari amici, tra poco presbiteri, la promessa di Gesù si accompagna con una parola che è tutt’altro che enfatica o trionfalistica: è la parola del risorto che rimane sempre il crocifisso. Dice: “mi è stato dato ogni potere”. È il potere del Cristo crocifisso e risorto, è il potere di un amore crocifisso.
Ora alla Parola del Signore e alle mie parole si unisce la grazia. Custodite il grande dono di Dio e continuamente nutritelo col vostro ministero.
(trascrizione da registrazione)