11-11-2012
Cari catechisti, care catechiste e cari sacerdoti,
desidero condividere alcuni pensieri con voi che generosamente rispondete alla chiamata al servizio della fede evocando un avvenimento che mi sembra ingiusto non venga considerato soprattutto da noi: si è concluso da poco il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, un Sinodo che si è svolto all’inizio dell’Anno della Fede che anche noi abbiamo inaugurato esattamente un mese fa a Sotto il Monte.
Il Messaggio del Sinodo dei Vescovi: l’icona della Samaritana
I Vescovi hanno offerto al Papa alla fine del Sinodo più di 50 proposizioni: sono elementi di riflessione sintetici a partire dall’esperienza del Sinodo e come da tradizione attenderemo che il Santo Padre ci restituisca i frutti del Sinodo attraverso una sua Lettera. Credo che gli strumenti che hanno preparato il Sinodo, le riflessioni del Sinodo, le conclusioni del Sinodo possano essere già per noi motivo di arricchimento. In particolare, come avviene da qualche anno a questa parte, i Vescovi hanno indirizzato un Messaggio a tutto il popolo di Dio a conclusione del Sinodo. Il Papa è intervenuto più volte, e particolarmente con l’Omelia della Messa conclusiva del Sinodo ha già offerto alcuni orientamenti che mi sembrano di grande portata. Proprio il Messaggio al popolo di Dio del Sinodo dei Vescovi adotta, o meglio, riceve dalle mani del Signore dalla sua bocca e dal suo cuore l’immagine, l’icona della Samaritana al pozzo ed è per questa ragione che ho chiesto che venisse proclamato il Vangelo dell’incontro di Gesù con la Samaritana. Non ho l’intenzione né la pretesa in questo momento di rileggere con voi questo brano, ma semplicemente di raccogliere alcuni tratti di quest’icona, particolarmente questi tre.
Le condizioni: la strada, il pozzo, la sete
Il primo tratto è rappresentato da alcune condizioni che mi sembrano di enorme interesse. La prima condizione è rappresentata dalla strada: io vorrei che quest’immagine vi restasse molto impressa. Gesù insegna camminando per le strade della sua terra… entrerà nelle sinagoghe, entrerà in alcune case ma ci impressiona il fatto che Gesù sia in cammino e che i suoi piedi calpestino le strade, e che sulle strade avvengano la maggior parte degli incontri che il Vangelo ci testimonia. Mi sembra che il titolo “nuova evangelizzazione” che ritorna in molte delle riflessioni che vado facendo negli incontri con i catechisti, quello che voi mi state dicendo, abbia a che fare con questa condizione: la strada. Non approfondisco quali siano le conseguenze della considerazione di questa immagine, in parte le affido alla vostra immaginazione, alla vostra riflessione, e in parte credo che dovranno essere sviluppate non frettolosamente. Insieme alla strada c’è l’immagine del pozzo: avverrà un incontro e avverrà al pozzo. Il pozzo è un luogo importante, allora e anche oggi. Il pozzo è un luogo dove in qualche modo non si va ad attingere soltanto acqua ma ad attingere le condizioni per vivere. Ecco la seconda immagine. L’orizzonte dell’annuncio del Vangelo, a lontani e vicini, battezzati e non battezzati, ha a che fare con l’immagine della strada, la prospettiva della strada e questa del pozzo, cioè di quelle condizioni che permettono, anzi che sono indispensabili per la vita. E c’è un terzo elemento che mi sembra pure significativo, quello della sete. Sono tre condizioni esterne. La sete: la sete della donna, la sete di Gesù, la sete di tutti. A fronte di quello che noi più volte dichiariamo, cioè l’indifferenza (e quante volte scambiamo questa sofferta considerazione di una diffusa indifferenza rispetto all’annuncio del Vangelo), a fronte di questa constatazione vi è un’altra, che mi premerebbe affidarvi, ed è la considerazione che la sete appartiene ad ogni essere vivente, che appunto al di la del fatto che probabilmente ad altri pozzi ci si disseti, la sete è un segnale per vivere: ogni uomo, ogni donna, qualsiasi sia la sua condizione, la sua religione, la sua sensibilità… prova sete. E la sete è qualche cosa che ci segnala un’esigenza alla quale non possiamo non corrispondere pena la nostra vita. Questo è il primo tratto dell’icona: alcune condizioni che a mio giudizio meritano un approfondimento non solo di un incontro ma sono proprio orientamenti sui quali lavorare.
Dialogare
Un secondo tratto è rappresentato da questo fatto: noi abbiamo ascoltato il Vangelo, e in realtà, anche nella forma in cui ci è stata offerta, l’incontro con la samaritana si sviluppa in forma di dialogo. La parola di Gesù è offerta in forma dialogica, questo è un elemento di riflessione. È per me assolutamente rilevante: io mi trovo spesso in condizioni di un annuncio di una comunicazione, come sta avvenendo adesso, e di una ascolto. Non frequentemente sono in una condizione di dialogo, probabilmente ci siete più voi, probabilmente ci sono di più tutti i cristiani compresi voi nel momento in cui stanno vivendo le loro esperienze… penso la famiglia, penso il lavoro, penso la società, penso le amicizie, penso i contatti che si sviluppano in una comunità. Questo tema della parola dialogica, di una comunicazione della fede che avviene in maniera dialogica, rappresenta un elemento di questo secondo tratto dell’icona della samaritana che vorrei che non dimenticaste. Dentro il dialogo emerge qualcosa che pure merita un’ulteriore sottolineatura ed è rappresentato dalle domande: Gesù e la samaritana alimentano il dialogo ponendosi domande l’un l’altro e anche qui io credo che in questa modalità (noi a volte siamo alla ricerca di metodi, io non sto indicando il metodo, sto invocando delle possibilità, delle piste sulle quali poi ulteriormente soffermarci), ossia in una parola dialogica dentro la quale si svegliano domande, si è già incrinato il fronte dell’indifferenza. Le domande iniziali possono essere domande che, appunto, rimangono alla superficie delle cose, ma vediamo che Gesù non si scoraggia di questa iniziale superficialità, addirittura ostilità, distanza, ma il dialogo prosegue, le domande diventano sempre più profonde, fino ad immaginare una donna nella condizione che ci è illustrata nel Vangelo che pone la domanda più alta: come adorare Dio, dove adorare Dio ma, in ultima analisi, pone la domanda su Dio. Pensate… se noi in poche battute come quelle che ci sono raccontate nel Vangelo riuscissimo a condurre una persona ad interrogarsi su Dio, saremmo felicissimi, è il nostro sogno!
Gli esiti: la brocca dimenticata, l’annuncio
Il terzo tratto di quest’icona è rappresentato dagli esiti di questa pagina del Vangelo: la brocca dimenticata. Questa donna ormai è presa da altro, il centro della sua vita sembrava rappresentato da quella brocca che rinfaccia a Gesù di non avere: “Come fai ad attingere l’acqua se non hai la brocca?”. La brocca è la forza, la brocca è il potere, la brocca è tutto ciò che l’uomo contemporaneo ritiene essere a sua disposizione per potersi dissetare. A questo punto nel Vangelo la brocca è dimenticata, c’è una sorgente che zampilla ormai, è altro che li disseta, il cuore è altro, questo è il primo esito. C’è poi l’annuncio: questa donna porta la notizia, è capace di scaldare cuori e di muovere gambe, al punto tale che si muovono gli uomini, le donne del villaggio per andare a vedere quello che lei hai annunciato; finalmente nasce una nuova esperienza nelle stupende parole, “non più per quello che hai detto tu, ma per quello che abbiamo sperimentato noi crediamo in lui.” In maniera assolutamente approssimativa, stando alla superficie di una pagina infinita, vi ho consegnato alcuni elementi che mi sembra appunto giustifichino il fatto che i Vescovi abbiano deciso di offrire al popolo di Dio in un ampio messaggio l’immagine della samaritana. Mi sembra che in un modo specialissimo gli uomini e le donne, giovani o anziani, le persone consacrate che sono chiamate a questo servizio nella Chiesa, debbano fare tesoro di questa consegna dell’immagine della samaritana.
L’omelia del Papa
Insieme al Messaggio mi sembra di tutto rilievo, e anche qui faccio torto all’importanza del testo, l’Omelia che il Santo Padre ha tenuto a conclusione del Sinodo, e proprio alcuni passaggio ve li leggo, chiedendo un attimo di pazienza. Dice il Santo Padre: “La nuova evangelizzazione riguarda tutta la vita della Chiesa… vorrei qui sottolineare tre linee pastorali emerse dal Sinodo: la prima riguarda i sacramenti dell’iniziazione cristiana. E’ stata riaffermata l’esigenza di accompagnare con un’appropriata catechesi la preparazione al Battesimo, alla Cresima e all’Eucarestia, è stata pure ribadita l’importanza della Penitenza, sacramento della misericordia di Dio; in secondo luogo la nuova evangelizzazione è essenzialmente connessa con la missione “ad gentes”. La Chiesa ha il compito di evangelizzare, di annunciare il messaggio di salvezza agli uomini che tuttora non conoscono Gesù Cristo, pertanto occorre pregare lo Spirito Santo affinché susciti nella Chiesa un rinnovato dinamismo missionario, in cui i protagonisti siano in modo speciale gli operatori pastorali e i fedeli laici. La globalizzazione ha causato un notevole spostamento di popolazioni, pertanto il primo annuncio si impone anche nei paesi di antica evangelizzazione. Un terzo aspetto riguarda le persone battezzate che però non vivono le esigenze del battesimo, (e qui cari fratelli e sorelle io mi metto, e vorrei che vi metteste anche voi prima di pensare ai nostri vicini di casa, o alle famiglie dei nostri ragazzi). La Chiesa ha un’attenzione particolare verso di loro affinché incontrino nuovamente Gesù Cristo, scoprano la gioia della fede e ritornino alla pratica religiosa nella comunità dei fedeli” (Cfr. Benedetto XVI, Omelia per la Conclusione del Sinodo dei Vescovi, 28 ottobre 2012).
La condizione imprescindibile: la comunità cristiana
L’ultima parte della ma riflessione è costituita da alcune indicazioni, non indicazioni immediatamente operative, quanto il riflesso di queste più ampie che abbiamo tratto dall’immagine del Vangelo della samaritana e dalle parole del Santo Padre. Cosa mi sembra opportuno condividere con voi a partire dalla vita della nostra comunità ecclesiale di Bergamo come dalle visite vicariali che sto facendo e che mi arricchiscono molto? Innanzitutto mi sembra che sia necessario alimentare e alimentarci di quella condizione di cui il soggetto fondamentale della catechesi, del primo annuncio, della nuova evangelizzazione, della missione è la comunità cristiana. Su questo io insisto continuamente perché mi sembra che sia la premessa assolutamente indispensabile: tutti i discorsi che si fanno a volte, che avverto anch’io, rispetto ad altri problemi della catechesi… a volte pecchino un po’ della sottovalutazione di questa condizione senza la quale vi assicuro non succede niente. Almeno, questa è la mia certezza. Tutto parte da una comunità di credenti: tutte le volte che io sento parlare di parrocchia, io dico: benissimo; ma se i criteri di identità, di appartenenza, di coinvolgimento sociale sono assolutamente importanti, le nostre parrocchie sono molto significative anche per questo, ma non va dimenticata l’anima delle nostre comunità, e l’anima è la condizione della fede in Gesù Cristo. Molte persone, ringraziando il Signore, ritrovano ancora in quel segno che è la parrocchia un punto di riferimento significativo, ma bisogna che esistano delle persone che fanno della parrocchia innanzitutto una comunità di credenti e, proprio perché di credenti, non esclusiva. Nella piccola Lettera che ho scritto parlo della fraternità cristiana come di una fraternità che abbraccia tutti gli uomini: l’essere cristiani è quindi aver riconosciuto e gioire e ringraziare il dono della paternità di Dio per cui siamo suoi figli e quindi fratelli tra noi in Gesù Cristo. Non è qualche cosa che ci separa dagli altri ma se siamo quei figli di quel Padre che Gesù ci ha insegnato e ci ha mostrato, allora quella fraternità di coloro che credono diventa il segno, quasi sacramento, della fraternità di tutti gli uomini. Quindi non una comunità esclusiva ma una comunità che diventa il segno visibile della paternità e della fraternità che Gesù viene ad inaugurare.
Una fede condivisa
Ecco, cari fratelli e sorelle, le nostre parrocchie sono già così. Io incoraggio affinché siano sempre più così, perché appunto tutto quanto avviene all’interno della nostre parrocchie possa poi esser ricondotto a questa esperienza finale: la fede in Cristo Gesù. C’è una ricchezza di soggetti pastorali, penso alle associazioni e ai movimenti, agli istituti religiosi, penso ai carismi diversi, a volte anche personali che rappresentano assolutamente un dono di Dio per la nostra comunità… ecco tutti contribuiscano ad offrire questa immagine non soltanto esteriore ma rappresentativa di una realtà che è una comunità di credenti. Non basta la fede del Vescovo, la fede di un sacerdote, di una suora, di una mamma, di un papà, di un giovane: occorre che questa fede sia condivisa. Quello che io vorrei offrirvi è questo appello a crescere nella consapevolezza dell’esigenza che avvertiamo di essere comunità credenti, senza giudicarci reciprocamente ma con la preoccupazione che veramente questa sia la perla, questo sia il tesoro al quale tutti facciamo riferimento. Una comunità credente è una comunità che accoglie questa meraviglia di Dio che ci viene incontro perché – ed è una cosa che non dobbiamo dimenticare -‐ la fede è una risposta, la fede cristiana è una risposta. Troverò l’occasione per parlare della fede a tutti, ora io dico che senza fede non si può vivere: ogni uomo esprime, manifesta una fede, perché senza fede non si può vivere.
Il Credo
La fede cristiana tra i suoi connotati ha quello di essere una risposta, cioè è qualcosa che ci precede: non è che Dio risponde alla nostra fede, no, non è così. A volte valorizzando il bisogno, la sete dell’uomo, ci dimentichiamo che Gesù è già li al pozzo, è già arrivato al pozzo, e quella sete che pian piano quella donna sentirà dentro di sè è suscitata perché lui è li. La fede è la risposta a questa cosa pazzesca, impensabile: Dio è venuto a trovarci, e non è venuto perché eravamo buoni, non è venuto perché avessimo qualche attesa particolare, è venuto per la sua totale iniziativa, sconvolgente anche perché tutta dettata dall’amore e testimoniata dall’amore fino in fondo. Allora quando noi in quest’anno della fede proclamiamo il Credo stiamo proclamando questa storia, stiamo proclamando la storia di questa iniziativa di Dio alla quale noi corrispondiamo dicendo: credo! Una comunità credente è una comunità che accoglie questa storia; quindi c’è bisogno di qualcuno che narri questa storia, per poi corrispondere a questo. Prendete il Credo non soltanto come una specie di sintesi delle verità della fede ma come la storia di un Dio che ci precede e rispetto alla quale io sono arrivato alla decisione di dire “credo”. Evitiamo quella malattia alla qual pure Gesù ci invita a fare attenzione che è il giudizio reciproco sulla fede gli uni degli altri! Ognuno di noi è portatore della sua poca fede, ma perché una comunità cresca della fede di tutti e ci aiuti ad alimentarci gli uni gli altri di fede. Senza questa comunità che per il dono di Dio, per grazia di Dio e anche per la vostra vita esiste già ed è esistita nel tempo — e se noi siamo cristiani è perché è esistita — non ci sarà comunque condivisione nella fede. Lo dico sempre ai catechisti che incontro: vi immagino nel vostro gesto concreto di trasmettere il Vangelo incontrando bimbi, giovani, anziani, spesso anche da soli ed è il momento che vi vede maggiormente coinvolti… ma vorrei che voi percepiste come quel gesto sia dentro un orizzonte molto grande ma anche molto sostanzioso, molto ricco. Non siete soli! Anche se qualche volta percepite questa solitudine da frontiera davanti alle persone che stanno con voi, voi non siete affatto soli! Ribadisco a voi, ribadisco ai sacerdoti, lo vorrei dire a tutte le comunità parrocchiali: è la comunità che esprime la sua fede attraverso di voi.
Il primato della catechesi degli adulti e l’Iniziazione Cristiana
Di queste indicazioni finali la seconda va nella direzione pure di una condizione che per me è decisiva. Molti di voi sono impegnati nella catechesi dell’Iniziazione cristiana, e avete sentito le parole del Papa in ordine all’iniziazione cristiana. Pure negli Incontri vicariali domande, condivisioni di esperienze nascono attorno a questa dimensione, a questo momento della catechesi. Vi devo dire in tutta franchezza che i problemi concreti che a volte avvisate nell’iniziazione cristiana, i temi più grandi che sia accompagnano a questo momento della catechesi dell’iniziazione non trovano soluzioni magiche, metodi decisivi se non a partire dal fatto che una c’è comunità credente; quindi dalla priorità della catechesi degli adulti. Bisogna riconoscerlo: una priorità non di tempo, una priorità non in termini di importanza, come se ci fossero delle catechesi più degne di considerazione rispetto ad altre, sarebbe ridicolo. Una priorità in termini di condizione: la comunità che trasmette la fede è una comunità di adulti credenti e perché la fede degli adulti si alimenti c’è bisogno della catechesi degli adulti, e c’è bisogno anche di catechisti degli adulti: preti, consacrati, ma avete sentito quanto il Papa abbia insistito sul tema del laico, uomo e donna, di un adulto come te, ormai nel pieno delle sue responsabilità che comunica ad un altro uomo o ad un’altra donna l’esperienza e i contenuti della fede.
Una catechesi missionaria
L’ultima indicazione riprende quella con cui ho aperto il mio discorso: la prospettiva della strada, del pozzo e della sete mi sembrano una prospettiva importante per ricondurre un poco ad una sintesi, anche ad una rappresentazione simbolica le riflessioni che abbiamo fatto. Oggi la catechesi necessariamente deve interpretarsi come missionaria, ossia una catechesi che si propone continuamente di rinnovare la fede, una fede non mai data per scontata, una fede che approfondisce anche la ricchezza della sua esperienza ma mai dimenticando la sorgente da cu scaturisce. Allora l’immagine della strada, del pozzo mi sembrano assolutamente rilevanti. E’ chiaro che il momento della catechesi ha bisogno di un raccoglimento – sarà in una casa, in una chiesa, in un oratorio -‐ ma mi sembra che questa prospettiva della strada e del pozzo sia una prospettiva che non possiamo trascurare dicendo che abbiamo le nostre strutture, abbiamo le nostre organizzazioni… c’è tutto, “basta che la gente venga, che noi abbiamo tutto”. Credo che questo modo di porci debba essere un poco superato. Dobbiamo adottare – non so come, è ancora tutto da riflettere -‐ la dimensione della strada, la dimensione dell’incontro ai pozzi presso i quali tutti gli uomini arrivano, a partire dalla loro storia. Carissimi l’Incontro di Chiuduno quest’anno si sviluppa in una maniera originale attraverso alcune “porte” che si aprono perché voi possiate entrare ed esplorare una proposta di fede, una proposta di trasmissione della fede; ho colto l’occasione per condividere con voi queste riflessioni a partire da un grande evento come il Sinodo ma a partire soprattutto da ciò che ciascuno di voi testimonia come servitore della fede presso i piccoli, gli adolescenti, i giovani, i grandi, del quale ancora una volta vi dico il mio profondo grazie.