Giubileo dei Malati – Chiesa dell’Ospedale

12-06-2016
Care sorelle e cari fratelli,
condivido con voi alcuni pensieri con i quali desidero raggiungere tutti i malati, i disabili, gli anziani, le famiglie che ci stanno ascoltando via radio e che ci stanno vedendo attraverso la televisione. Questa preghiera vuole essere capace di raggiungervi tutti.
 
 
Parto da una considerazione che il Papa faceva stamattina, rileggendo la pagina dell’Apostolo Paolo che abbiamo appena ascoltato, quando si è soffermato sull’espressione “sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io, ma Cristo vive in me”. Aggiungeva Papa Francesco: “Oggi, nella giornata giubilare dedicata a quanti portano i segni della malattia e della disabilità, questa Parola di vita trova nella nostra Assemblea una particolare risonanza”. E ci porta immediatamente a considerare questo fatto: che nella persona malata e nella persona disabile Cristo si identifica. Quindi questa condizione della nostra umanità viene tutta abbracciata da un Dio che è diventato non solo uomo, ma ha percorso le strade della nostra debolezza.
 
Le ha percorse portando segni di speranza. Non solo si è identificato con le nostre debolezze, con la nostra malattia, con i nostri limiti, ma con una passione d’amore ha aperto i cuori, le esistenze, le coscienze alle speranza. Quanti segni noi troviamo nel Vangelo di Gesù che riaccende la speranza. I segni di guarigione non sono semplicemente un’operazione, tanto meno una magia. Gesù attraverso questi segni apre strade che sembravano interrotte, perché quando la debolezza interviene nella nostra esistenza sembra che le strade si chiudano. La malattia e a volte una disabilità che segna sin dall’inizio una esistenza o giunge per incidenti che subentrano poi, portano con sé la paura che ogni strada ci sia preclusa. La testimonianza evangelica di Gesù ci dice invece che nei modi più inaspettati Gesù apre le strade della speranza: sono strade di liberazione, di salvezza, di riscatto; sono i segni che il Vangelo è vero, è possibile. Gesù viene a convincerci che la speranza è possibile non con le parole, ma con tutta la sua esistenza.
 
La pagina evangelica che abbiamo ascoltato ci dice di una insufficienza: l’insufficienza della legge. Il fariseo è una brava persona, ha tutte le regole a posto, sono tutte rispettate. Le regole sono necessarie, non disprezziamole, ma non bastano. Proprio perché non le disprezziamo, anzi le riteniamo indispensabili, siamo anche consapevoli che non sono le regole, le leggi e nemmeno l’organizzazione a salvarci. Dico che ci sono necessarie e che tanto più le apprezziamo e tanto più le sosteniamo, tanto più diventiamo consapevoli che questa necessità è comunque insufficiente a corrispondere a tutte le attese dell’uomo. Certo che c’è attesa di cura, c’è attesa di guarigione, c’è attesa di una risposta sociale che riconosca le persone anche nei loro limiti, ma la risposta a queste attese non è mai realizzata, perseguita, compiuta da sforzi che pur magnifici abbiamo compiuto dal punto di vista di ciò che le competenze umane o l’organizzazione delle risposte che noi diamo sono riuscite a mettere in campo.
 
Sembra che il nostro cuore sia più grande di ogni risposta, abbia bisogno sempre di altro. Questo altro, cari fratelli e sorelle, noi lo conosciamo: questo altro non è semplicemente una poesia, non è semplicemente un sentimento, questo altro è una pregnanza d’amore: parola che dovremmo pronunciare con pudore proprio perché è l’attesa più profonda di ogni cuore umano.
 
Proprio quando sperimentiamo la nostra debolezza attendiamo le risposte organizzate che sono già testimonianza di un amore, ma attendiamo di più il gesto dell’amore, l’umanità dell’amore. Gesù e la donna – a fronte di Simone il fariseo – sono i testimoni di questa attesa e di questa risposta: la legge e l’organizzazione sono necessarie, ma legge e organizzazione non chiudono il discorso, perché viene continuamente riaperto. Ciascuno di noi, ciascuna persona, soprattutto la persona che vive la debolezza attende amore.
 
La legge è necessaria, l’amore è gratuito. Non si può comprare l’amore: può essere soltanto donato. Ritengo che la strada della legge, la strada dei diritti e dei doveri sia una strada di civiltà, ma c’è una civiltà ancora più grande che è la civiltà dell’amore, dell’amore che è il frutto di una libertà: la libertà di donarlo e la libertà di accoglierlo.
 
Dire che la legge è necessaria e l’amore è indispensabile, significa riconoscere che la persona umana non può mai essere ridotta: ridotta a quella meraviglia che è il nostro corpo, ridotta soltanto alla nostra mente, ridotta ai nostri sentimenti o ai nostri istinti, ridotta alla nostra ragione o alla nostra libertà. Noi siamo persone persone umane perché tutto questo, misteriosamente, è dentro insieme, in quella realtà unica e irriducibile che sono io. Allora la risposta a questa realtà integrale che è ogni persona umana e che particolarmente siamo tenuti a riconoscere nel momento in cui alcuni aspetti della persona sono indeboliti o qualche volta deformati dalla sofferenza, è solo una risposta integrale.
 
La risposta completa è fatta di questa dimensione che dobbiamo sostenere e per la quale dobbiamo pregare: è la risposta organizzata alla malattia e alla disabilità, ma appunto insieme a questa risposta è necessario il cuore di ciascuno. Non basta neanche l’amore soltanto: occorre la scienza, occorre la competenza. Anche il contrario non basta: non sono sufficienti la scienza e la competenza, occorre amore. Non prima l’uno e poi l’altro, ma insieme.
 
Credo che quest’oggi mentre celebriamo il Giubileo, cioè l’annuncio della speranza per malati e disabili, noi dobbiamo riconoscere in loro – che un giorno potremo essere noi – l’integrità della dignità umana e riconoscere come le competenze e l’organizzazione unite all’amore sono la risposta a questa dignità irriducibile di ogni persona umana.
 
Diceva stamane il Papa: “Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto”.
 
Care sorelle e fratelli, il Giubileo è connotato da un simbolo: la porta santa. La porta santa oggi è questo ospedale che ci ospita e diventa simbolo di ogni struttura organizzata che va incontro alla malattia e alla disabilità delle persone umane. La porta santa è rappresentata comunque non solo da questa casa, da tutte le case, da tutte le strutture, ma la porta santa è il nostro cuore: è il cuore che non si chiude davanti alla debolezza che attraversa la nostra condizione nella forma della malattia e della disabilità.
 
Con questa consapevolezza continuiamo insieme la nostra preghiera 
(trascrizione da registrazione, non rivista dall’autore)