13-04-2017
Cari Vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrate consacrati, sorelle e fratelli nel Signore, care ragazze e cari ragazzi che rappresentate tutti coloro che riceveranno il Sacramento della Cresima, a tutti voi un saluto affettuoso, espressione della gioia di trovarmi con voi in questo intenso momento di preghiera.
Un ricordo speciale per i sacerdoti anziani e malati (permettete tra questi di aver sempre presente la figura del Vescovo Lino che è così cara a tutti noi). Questo saluto raggiunga tutti i missionari bergamaschi, i nostri fratelli fidei donum e tutti i sacerdoti che sono in servizio oltre i confini della nostra diocesi in Italia, in Europa, nel mondo, o presso la Santa Sede e la Conferenza Episcopale.
Più che altre volte, desidero condividere la mia gioia per la presenza della comunità del Seminario, quest’anno particolarmente sentita per il dono ritrovato della prossima ordinazione di sette nuovi giovani presbiteri.
Benediciamo il Signore per tutti i sacerdoti che celebrano anniversari giubilari e esprimiamo a loro affetto e riconoscenza.
Non dimentichiamo i sacerdoti che hanno rinunciato al ministero e coloro che stanno vivendo momenti delicati e passaggi sofferti della vita sacerdotale.
Affidiamo alla bontà misericordiosa del Signore i nostri confratelli defunti, ormai sempre numerosi.
* * *
Vorrei condividere con voi alcuni pensieri attorno ad un elemento che non chiamerei tanto “tema” quanto piuttosto una condizione e un appello.
La condizione è il cambiamento.
L’appello è: stare, da preti, nel cambiamento.
Con parole così incisive di cui è capace, Papa Francesco al Convegno di Firenze ha dettato questo espressione: “Non viviamo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”.
Il cambiamento è un’evidenza che potrebbe farci apparire scontata qualsiasi riflessione. Peraltro la Chiesa italiana ha posto attenzione a questa condizione contemporanea evidente attraverso degli interventi che mi sembra non debbano essere dimenticati: “Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia” e “Il volto missionario della Parrocchia in un mondo che cambia” mi sembrano testi ancora di grande attualità.
Di più grande attualità è la Parola di Dio che abbiamo appena ascoltata e che ci introduce in maniera evidentissima in questa prospettiva: il profeta annuncia il cambiamento radicale e Gesù inaugura questo cambiamento. “Oggi…”. Oggi la parola ascoltata si è attuata.
Potremmo dire che ogni cristiano dovrebbe essere un espero del cambiamento, un protagonista del cambiamento, un testimone di un cambiamento permanente. L’appello evangelico alla conversione è evidentemente un appello inesauribile alla conversione.
Sorge però una domanda: siamo esperti del cambiamento o custodi dell’immobilità?
Certo è vero, Cristo è lo stesso ieri, oggi e domani, ma Cristo è vivo! La sua Parola è viva! Lo Spirito è vivo! L’Eucaristia è viva! I carismi sono vivi! E la stessa storia che il Signore è venuto e viene ad abitare è viva!.
Dovremmo guardare con una certa attenzione critica a tutte le paure che pure comprendiamo, alle pigrizie, alle difese a volte così consolidate, alla sensazione che non cambi veramente nulla e dunque alla rassegnazione.
Non è luogo per approfondire le caratteristiche del cambiamento ma certamente ne possiamo evocare due: la velocità e la radicalità.
Il cambiamento è una cifra della storia, ma certamente dobbiamo riconoscere che la velocità del cambiamento in questa nostra epoca è assolutamente unica e non tende a esaurirsi. Questo evidentemente provoca una serie di interrogativi su come stare nel cambiamento. Non solo provoca interrogativi, ma a volte diventa veramente logorante, determina l’affanno della rincorsa o la rassegnazione dell’immutabilità.
Insieme alla velocità il cambiamento contemporaneo ha la caratteristica evidente che è la radicalità. C’è un’immagine molto efficace: quante volte in questi anni abbiamo evocato le radici. Cari fratelli, non dobbiamo sottovalutare il fatto che molto spesso queste radici sono state scalzate. Le radici non affondano più nella terra, come quando si vedono alberi sradicati con le radici al sole, in sù. La radicalità del cambiamento significa che sono in discussione non solo aspetti evidentemente mutevoli della realtà, ma sono in discussione le radici della realtà.
Ne nascono una serie di risposte, che elenco soltanto:
- il rifiuto
- la rassegnazione
- l’assecondamento critico
- l’interpretazione intelligente.
Mi sembra però che noi dobbiamo sottolineare in modo particolare un altro elemento che è l’interpellanza che viene dal Signore. Non solo dal suo Vangelo, non solo dalla sua Parola, ma dal suo Vangelo e dalla sua Parola che ci dicono che il Signore è vivente in mezzo noi proprio dentro il cambiamento. Vogliamo raccogliere dunque il suo appello che ci viene dagli accadimenti, dalla Parola, ma particolarmente dai volti delle persone. Ognuno di noi è un appello del Signore all’altro. Tutti coloro che ci sono affidati sono un appello, ma non generico: il volto di ogni persona è un appello unico che ci viene dal Signore dentro questa condizione complessiva e complessa di cambiamento. Particolarmente il volto del povero, di ogni povero, di ogni persona umana nella sua povertà. Non stanchiamoci dei poveri, non ci stancheremo di Cristo.
Come stare da presbiteri nel cambiamento?
Non è il momento per approfondire discorsi, ma vorrei suggerire alcuni criteri.
Il primo criterio è quello del discernimento e di un discernimento vissuto insieme. La parola “sinodalità” è poco ripetuta, forse perché un po’ difficile da dire, ma nello stesso tempo è anche un po’ abusata.
Il discernimento comunitario (li sinodalità) chiede innanzitutto una sintonia di dialogo tra vocazioni, ministeri, responsabilità laicali, scelte pastorali.
Discernimento comunitario vuol dire anche coltivare luoghi e tempi del discernimento.
Si potrebbe subito obiettare rispetto alla velocità del cambiamento, perché il discernimento richiede tempo e sembra che viviamo in una condizione in cui il tempo ci è continuamente rubato. D’altra parte credo che il discernimento non sia solo una necessità ma anche un servizio che noi offriamo come presbiteri alle nostre comunità. Cari fratelli non sottraiamoci a questo impegnativo compito!
Un secondo suggerimento per quanto riguarda il nostro ministero è rappresentato da una risignificazione necessaria, cioè dalla risposta ad una attesa che vediamo molto diffusa: noi siamo destinatari di mille attese che poi diventano richieste molto concrete e qualche volta anche pretese. Avvertiamo però che le persone – anche quelle a volte un po’ più brutali – ci avvicinano vedendo in noi la possibilità di individuare una risposta che sembra oggi introvabile. È la risposta al senso di tutto ciò che facciamo, di ciò che facciamo, dei momenti che attraversiamo, di quello che siamo. Credo che stiamo da presbiteri nel cambiamento nella misura in cui siamo capaci – alla luce proprio della nostra esperienza di Cristo – a riconsegnare di volta in volta, sempre in maniera nuova, il significato delle cose, della vita, dei grandi passaggi esistenziali.
Una consegna di significato che vogliamo alimentare a partire da uno sguardo simpatico sulla realtà. Non possiamo offrire questo servizio nel cambiamento turbolento se il nostro sguardo è appesantito, se il nostro sguardo è sempre sospettoso, addirittura se il nostro sguardo è ostile nei confronti della realtà. Uno sguardo simpatico ci permette di entrare in una relazione in cui può rinascere la consapevolezza gioiosa del senso delle cose.
Uno sguardo simpatico che è fatto anche dal riconoscimento di ciò che il Signore fa intorno a noi e non solo in noi. Se dobbiamo offrire il servizio del discernimento offriamo anche il servizio del riconoscimento: del riconoscere l’opera di Dio, i segni di Dio che stanno non solo in noi, non solo nei nostri confini, ma nei confini della storia e della vita di ognuno.
Un terzo suggerimento è quello di una condivisione perseguita. In questo cambiamento che ha purtroppo – dobbiamo ammetterlo e ce lo consegnano tutti coloro che incontriamo – la connotazione della spersonalizzazione, noi dobbiamo offrire testimonianze di condivisione. Una condivisione perseguita.
Il tema della fraternità presbiterale non è una specie di slogan del momento, ma è una necessità del momento, non per chiuderci in una relazione importante tra di noi ed esclusiva ma per offrire delle concrete testimonianze di condivisioni volute e perseguite. Il cambiamento ha bisogno di una testimonianza di condivisione che permetta di rompere l’imponente solitudine che sembra veramente connotativa del cambiamento del mondo contemporaneo.
Infine, stiamo nel cambiamento mantenendo o riprendendo l’iniziativa. Penso alle moltissime e incalcolabili “iniziative” che ognuno di voi ha intrapreso e intraprende come pastore. Vedendo ognuno dei vostri volti, vedo anche particolari iniziative oltre la vita normale delle nostre comunità. Qui non si tratta di “fare iniziative”, ma di “rinnovare l’iniziativa” cominciando da noi, cominciando da come apriamo una nostra giornata. Si tratta di qualche cosa che ha a che fare con la nostra interiorità, che a volte è stanca e provata, qualche volte è anche un po’ impigrita. Sono mille le giustificazioni. Ma stiamo nel cambiamento senza affanno nella misura in cui dentro di noi c’è una capacità di iniziativa che si rinnova di giorno in giorno.
Non coincide con l’elaborazione di iniziative ma con un atteggiamento interiore, fatto di decisione interiore, di decisione spirituale e fatto di una affezione alla nostra missione. Decisione e affezione. La nostra missione a volte rischia di logorarci e possiamo superare questo rischio non guardandola da lontano, non sopportandola, ma rinnovando l’iniziativa, rinnovando la decisione di un affetto alla missione che ci è affidata, alla missione “concreta” che in questo momento ci è affidata.
La fedeltà non è soltanto quella che ci riproporremo tra qualche istante, ma è proprio uno “starci dentro”. A volte stanchezza e delusione possono accompagnare questo “starci”: non perdiamo l’iniziativa interiore.
Fra l’altro con questa consapevolezza che mi è venuta da una riflessione. Qui ci sono dei maestri delle lingue classiche e ci ricordano che in queste esistono i verbi attivi, i verbi attivi e esistono anche i verbi deponenti (*nelle lingue classiche i verbi deponenti sono così chiamati poiché hanno deposto la forma attiva e presentano la forma passiva, pur conservando un significato attivo).
La nostra iniziativa sia attiva ma abbia anche un poco di deponenza: cioè non siamo solo noi i protagonisti, non potremo reggere. Dalla supponenza alla deponenza: è un cammino di conversione che chiede il dialogo e la rinuncia. Dobbiamo deporre un poco di noi per lasciare innanzitutto spazio all’iniziativa del Signore in noi e anche all’iniziativa di coloro che il Signore ci offre. Un’iniziativa che si ripropone insieme.
La Pasqua è certamente un dinamismo inesauribile di cambiamento: è l’iniziativa del Signore che diventa storia, è possibilità per noi e speranza per tutti.
Possiamo offrire un ultimo servizio in questo tempo di cambiamento: il presbitero come uomo festivo. Oggi sembra che non ci sia più tempo per la festa.
Il questo senso è necessario oggi che il presbitero sia uomo festivo. Perché nella festa e nella festa del Signore e con il Signore tutti gli uomini – anche quelli che forse non aderiranno alla nostra comunità – possano ritrovare il senso e il significato della loro vita in un tempo che cambia.
(trascrizione da registrazione)