12-06-2015
Care sorelle e cari fratelli, cari confratelli sacerdoti,
in questa giornata ci riproponiamo la riscoperta del dono del sacerdozio e della gioia della missione sacerdotale alla luce del cuore di Gesù evidentemente un cuore appassionato: un cuore umano che ci svela il cuore di Dio.
Il cuore di Dio è evocato in maniera affascinante dalle parole del profeta Osea: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare, il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”. Queste sono le parole di Dio che il profeta ci consegna.
La giornata della santificazione sacerdotale di quest’anno vuole stabilire un rapporto tra quella che è la figura ideale del prete e un aspetto che in questo tempo ne connota la figura reale, quindi vogliamo tentare di approfondire il rapporto tra l’immagine del prete santo e la realtà un poco diffusa del prete stanco.
Proprio il tema della stanchezza del prete è stato approfondito dal Papa nell’omelia del giovedì santo di quest’anno. Di quale stanchezza stiamo parlando? Della stanchezza di tutti: una stanchezza fisica, una stanchezza psicologica, una stanchezza relazionale, una stanchezza istituzionale, una stanchezza spirituale.
Questa stanchezza può essere rappresentata dalle parole amabili e preoccupate di Maria che rivolgendosi a Gesù durante il banchetto delle nozze di Cana rivela come non vi sia più vino. Viene naturale condividere la domanda: quali sono le fatiche che provocano questa stanchezza?
Certamente vi debbo dire che il lavoro del presbitero, del prete che vuol essere santo è veramente tanto e continua a crescere a fronte della diminuzione del numero dei presbiteri e dell’aumento delle attese, forse diverse dal passato, ma non meno esigenti, anzi sicuramente più esigenti. Attese che paradossalmente determinano nel prete zelante non solo la consumazione delle energie, ma anche livelli di stress molto elevato.
Le fatiche che determinano questa stanchezza sono pure quelle rappresentate da ricorrenti delusioni. L’azione vorrebbe essere sempre generosa, ma altrettanto si aspetterebbero frutti generosi da questa azione, ma non è così. Certamente questo contribuisce ad alimentare una certa stanchezza.
Vi poi l’asimmetria delle attese. Le attese di un giovane che diventa presbitero non coincidono spesso con le attese molto concrete di coloro che incontrerà. Così avviene spesso lungo tutto il corso della vita di un sacerdote: non vi è la stessa corrispondenza di attesa e questo certamente determina un ulteriore consumo di energia.
Vi è poi la fatica del coinvolgimento. Una delle regole che una persona che svolge compiti di aiuto all’interno delle relazioni è quella di un certo distacco perché l’eccessivo coinvolgimento appunto determina un consumo di energie che diventerebbe insostenibile. Questo è del tutto improbabile e del tutto ingiustificabile nella vita di un prete: ci possono essere criteri di saggezza e di maturità che regolano questo coinvolgimento, ma ciò non significa che lo negano, anzi uno degli aspetti caratteristici del servizio del pastore a coloro che gli sono affidati è proprio la compassione, la sofferenza condivisa. Ma tutto questo non fa che aumentare la fatica. È la fatica di essere mangiati: è una fatica che spiritualmente ci esalta perché significa essere assimilati a quell’Eucaristia, a quel corpo di Cristo che viene dato per essere mangiato. Alcune volte però non ci sembra semplicemente di essere mangiati, ma un poco sfruttati e ciò determina ulteriori fatiche che si uniscono alle altre.
La fatica della delusione diventa ancora più pesante quando siamo delusi da noi stessi. Non c’è soltanto il peso della delusione che ci può venire dagli altri, ma questa fatica si accentua quando noi siamo delusi da noi stessi: pensavamo, speravamo, ci riproponiamo e spesso ci ritroviamo in condizioni che non alimentano certo la nostra gioia. Ma non ci rassegniamo.
Di fronte a questa situazione che altri potrebbero descrivere in maniera più precisa, vogliamo interrogarci anche su quale riposo del presbitero è necessario per ritrovare l’energia che serve alla missione. Proprio Gesù dirà guardando il popolo, ma possiamo anche immaginarci guardando i suoi apostoli: “Venite a me, quando siete stanchi e oppressi, io vi darò ristoro”.
In che cosa consiste questo riposare, questo ristorarsi nel Signore?
Papa Francesco indica alcune piste e possibilità per ritrovare energie. È un riposo che non può essere assimilato ad altre forme di riposo: certamente occorre il riposo fisico, ma non basta.
Il Papa dice: solo l’amore dà riposo. Ciò che noi siamo stanca male e alla lunga stanca peggio. Cari fratelli, un grande scrittore parlava ancora decenni fa della “stanchezza dei buoni”, potremmo dire appunto “della stanchezza dei preti” presumendo di essere buoni. Vi è una stanchezza anche nell’amare, ma in realtà è proprio l’amore che dà riposo – ricordo e sottolineo la parola del Papa – ciò che noi siamo stanca male e alla lunga stanca peggio.
C’è una stanchezza in amore che in realtà non si rivela stanchezza, ma quando non si ama allora la stanchezza sembra diventare inesauribile.
Il Papa pone alcune domande proprio a noi presbiteri: so riposare ricevendo e accogliendo l’amore che viene dato, la gratuità, l’affetto di tante persone del popolo di Dio fedeli al Signore e capaci di autentico amore nei confronti dei sacerdoti? Gusto questo amore? Lo accolgo con riconoscenza? Diventa veramente energia che mi ridà forza nel ministero?
Dice ancora il Papa: so chiedere aiuto a qualche sacerdote saggio? So conversare con Gesù, con il Padre, con lo Spirito, con la Vergine e San Giuseppe, con i Santi protettori e amici? La conversazione spirituale nella quale veramente si può porre nelle mani di Dio tutta la nostra fatica.
So riposare anche dai miei nemici mettendoli sotto la protezione del Signore invece che alimentando sentimenti di rancore nei loro confronti?
Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o come Paolo trovo riposo dicendo “so in chi ho posto la mia fede”?
Infine il Papa dice che ritroviamo energie attraverso quella dolce purificazione che è rappresentata dalla misericordia di Dio il quale come supremo gesto del suo amore nei confronti degli apostoli si china a lavare i piedi, quei piedi – dice il Papa – che sono sporcati lungo il cammino del nostro ministero, che a volte sono affaticati e piagati. Lui stesso si china a lavare e purificare questi piedi stanchi e piagati.
Cari fratelli sacerdoti e voi tutti cari che in questo giorno pregate per noi, credo che possiamo trovare riposo nella grazia di Dio. Abbiamo bisogno della grazia del Signore. Vivere in condizione nelle quali la grazia sembra lesinata o addirittura viene a mancare contribuisce in maniera fortissima ad alimentare una stanchezza che come dicevo ha tante ragioni. Noi riposiamo nella grazia di Dio.
Riposiamo anche nella gioia che è frutto della grazia e diventa frutto del nostro ministero, anche quando è esposto a incomprensioni o delusioni che sono rappresentate nel non raccogliere tutti i frutti che vorremmo. Vi è una gioia che viene da questa relazione con il Signore e dal partecipare alla stessa sua missione con momenti esaltanti di intima e profonda e visibile goioia, e con momenti di fatica e addirittura della croce.
È riposo la fraternità. Una fraternità che a volte vediamo come ulteriore motivo di fatica. Una fraternità che invece diventa semplice confidenza, quel rispetto profondo, quell’aiutarsi vicendevolmente senza pensare a gesti eccezionali che è la vita di tante persone che noi avviciniamo e che può essere anche la nostra vita quando non ci richiudiamo a riccio in noi stessi.
Desidero concludere questa riflessione con le parole dell’apostolo che abbiamo udito, perché sono adattissime. Dice Paolo agli Efesini: “Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, perché vi conceda secondo la ricchezza della sua gloria di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante lo Spirito”.
Ecco la parola dell’apostolo: che siate rafforzati, che alla fatica che sperimentiamo corrisponda la forza dell’uomo interiore abitato dallo Spirito Santo.
(trascrizione da registrazione non rivista dall’autore)