18-01-2015
Celebriamo la giornata del migrante in anni difficili, in giorni difficili.
Eventi consolidati ed eccezionali, riflessioni pensose e sconsiderate sono sotto gli occhi e nelle orecchie di tutti e attraversano mente e cuore di ciascuno.
Stasera ci concentriamo sul gesto che stiamo compiendo: è il memoriale del Signore. La sua Parola e la sua vita ci vengono comunicate per diventare la nostra parola e la nostra vita.
Un criterio unisce le pagine proclamate: il riconoscimento.
Samuele riconosce la “voce” del Signore: “Parla Signore, il tuo servo ti ascolta”.
Paolo riconosce il “corpo” del Signore: “Non sapete che siete membra di Cristo … tempio del suo Spirito?”
Giovanni riconosce la “presenza” del Signore: “Ecco l’Agnello di Dio”.
Come avviene questo riconoscimento?
Giovanni fissa il suo sguardo su Gesù, su quell’uomo che “stava passando”. Tutti vedono quell’uomo, ma pochi lo riconosceranno
Nel giorno del giudizio Egli dirà: “Ero forestiero e mi avete accolto … Ero forestiero e non mi avete accolto … Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto …. Tutto quello che avete fatto o non avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Questa è la luce che illumina lo sguardo del cristiano, il balsamo che lo purifica e lo guarisce; questa è la parola che ispira i nostri pensieri e guida le nostre scelte; questo è il principio che determina in nostri comportamenti personali e sociali.
Non ci nascondiamo gli enormi problemi che l’attuale situazione ci prospetta, ma non possiamo abdicare ai valori evangelici che disegnano le risposte a questi enormi problemi. Risposte da trovare e risposte già date: enorme è la quotidiana e personale risposta data da una moltitudine di persone; impressionante la risposta organizzata dalla solidarietà condivisa da parte di moltissimi soggetti liberamente associati per corrispondere a questi problemi e tra questi, in prima linea, le comunità cristiane. E’ il frutto dello sguardo illuminato dal vangelo e dai valori umani che è capace di infondere anche in chi non crede.
Questo sguardo lo attendiamo pure in coloro che hanno responsabilità istituzionali, amministrative e politiche. Non sottovalutiamo le oggettive difficoltà che debbono affrontare coloro che svolgono questi compiti, ma non possiamo accettare soluzioni parziali e discriminanti, giustificate con criteri esclusivi ed escludenti. In un momento storico in cui realmente le risorse diminuiscono, particolarmente per i più deboli e i più poveri, lo sguardo evangelico si apre su visioni di più convinta solidarietà, piuttosto che su scelte che dividono ed escludono.
Il coraggio della fede, della speranza e della carità permette di ridurre le distanze che separano dai drammi umani. Gesù Cristo è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli, e anche in questo modo ci chiama a condividere le risorse, talvolta a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere. Lo ricordava il Beato Papa Paolo VI, dicendo che «i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri”. (Messaggio)
Il riconoscimento di Gesù avviene anche attraverso l’ascolto.
Samuele, con l’aiuto del vecchio e saggio Eli, riconosce la voce di Dio, in quel sussurro notturno: “Parla Signore, il tuo servo ti ascolta” è la sua risposta.
L’esercizio dell’ospitalità e dell’accoglienza, i processi di integrazione e di convivialità, esigono una reale disponibilità all’ascolto: all’ascolto concreto dell’altro che sta davanti o accanto a me; alla conoscenza del suo mondo senza sordità pregiudiziali; all’interpretazione e alla comprensione della sua cultura e mentalità, al progressivo apprezzamento non solo delle novità di cui è portatore, ma delle ricchezze umane che è capace di manifestare.
E’del tutto sensato che l’ascolto debba essere reciproco; che ai diritti di cui ogni persona umana è portatrice, si uniscano indissolubilmente i doveri che è chiamata a corrispondere.
Gli eventi tragici di questi giorni, la reale minaccia del terrorismo che uccide in nome di Dio, stravolgendo il contenuto fondamentale di ogni fede, ci inducono non solo ai necessari provvedimenti che garantiscano la nostra sicurezza, ma ad una più convinta e coraggiosa determinazione sulle strade di una pace che si costruisce solo attraverso condizioni di reale accoglienza reciproca.
La nostra ispirazione cristiana ci impegna comunque ad essere sempre i primi ad offrire l’ascolto accogliente e comprensivo e a ricominciare ogni volta che la sordità che ci separa sembra insuperabile.
In questo ambito un’enorme responsabilità la rivestono gli strumenti di comunicazione sociale: la quantità di notizie che ci offrono, il taglio e le prospettive con le quali ci sono offerte, l’insistenza su alcuni aspetti (spesso i più sconcertanti e irritanti), diventano decisivi per determinare un sentire comune le cui ricadute condizionano i comportamenti sociali e personali. Se non possiamo ridurre la realtà al ristretto angolo di visuale delle nostre conoscenze dirette, non possiamo nemmeno accettare che i grandi orizzonti ci vengano rappresentati in modo distorto, parziale e condizionato da interessi dei diversi potentati che stravolgono le condizioni capaci di creare incontro, comprensione e fiducia.
Infine il riconoscimento avviene attraverso il corpo.
Tra qualche minuto vi accosterete alla mensa del Signore e riceverete il suo pane, riconoscendolo come il suo corpo: il Corpo di Cristo. Amen.
Ebbene il Signore, dice l’apostolo è per il corpo. Non limitiamo la nostra cura alla pur necessaria dignità del corpo rispetto ad ogni tentazione che stravolge il significato della sessualità e dell’amore; ma raccogliamo la parola dell’apostolo come appello alla cura del corpo, delle sue necessità fondamentali che coincidono con la dignità di ogni persona umana: il nutrimento e la salute, la sicurezza e il rispetto, la casa e il lavoro, l’istruzione e il futuro.
Assistiamo con grande preoccupazione ad un persistente atteggiamento che considera le migrazioni del nostro tempo come una permanente emergenza, come una sorte di epidemia da contenere e per la quale trovare il vaccino adatto. E’proprio questo atteggiamento che ci ha condotto nella situazione di grande fatica che stiamo vivendo. E necessario superare le risposte dettate soltanto dall’emergenza: le comunità cristiane, le associazioni, la Diocesi di Bergamo sono in prima linea per risposte che corrispondono alle attese fondamentali di ogni persona umana, ma sono assolutamente necessarie scelte politiche lungimiranti che aprano al futuro e non lo affidino a incontrollabili o interessati processi che alimentano l’incomprensione, l’emarginazione e di conseguenza l’odio e la violenza.
Il Papa ha intitolato il suo Messaggio per la Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato: “Chiesa senza frontiere, madre di tutti”.
Concludiamo con le sue parole ”In effetti, la Chiesa allarga le sue braccia per accogliere tutti i popoli, senza distinzioni e senza confini e per annunciare a tutti che «Dio è amore» …Fin dall’inizio la Chiesa è madre dal cuore aperto sul mondo intero, senza frontiere. …La Chiesa senza frontiere, madre di tutti, diffonde nel mondo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare. Se vive effettivamente la sua maternità, la comunità cristiana nutre, orienta e indica la strada, accompagna con pazienza, si fa vicina nella preghiera e nelle opere di misericordia. (Messaggio)