Epifania – Cattedrale

06-01-2018
Care sorelle e fratelli,
il Vangelo che abbiamo ascoltato ci rappresenta in maniera narrativa sempre affascinante la visita dei Magi. Dobbiamo ammettere che queste figure che attirano molto l’attenzione sono quelle attorno alle quali si concentrano molto spesso le nostre riflessioni: i Magi che vengono da lontano, che appartengono a popoli che non sono quello di Gesù, le loro caratteristiche, lo studio del cielo e delle stelle, addirittura la tradizione li riconoscerà come dei Re. Molti tra noi guardano a queste figure con una inesauribile attenzione.
 
Insieme alla figura dei Magi nel racconto evangelico è anche di grande rilievo la stella e ciò che essa rappresenta. Attorno alla stella ruotano molte delle nostre considerazioni.
 
Poi vi è Erode e gli scribi nel palazzo del Re. Anche su questo nascono ulteriori considerazioni.
 
Sono tutte considerazioni di spessore perché in questi personaggi e nella stella noi possiamo riconoscere molti atteggiamenti che gli uomini assumono nei confronti di Dio, nei confronti di Gesù, nei confronti della vita stessa. Queste attenzioni rischiano però di farci dimenticare il cuore di questo Vangelo che è Gesù, nella sua nascita e nella sua manifestazione a tutti gli uomini e a tutti i popoli. È questo quello che oggi la comunità cristiana ricorda e celebra. È da questo che noi vogliamo attingere nutrimento per la nostra fede, per la nostra vita, per la nostra testimonianza.
 
Che cosa significa che Dio nella persona di Gesù, che vediamo ancora bambino, si manifesta a tutti gli uomini e a tutti i popoli?
 
Possiamo ricondurre quelle che sarebbero riflessioni molto ampie alla coscienza cristiana che l’opera di Gesù è universale. Ciò che avviene nella vicenda di Gesù non può essere circoscritto solo al suo tempo ma investe tutta la storia. Tutto il tempo e tutta la storia, dalle origini dell’universo fino al suo compimento. La storia delle donne e degli uomini che abitano questo pianeta e la storia dell’universo in tutte le sue forme. Gesù è il cuore, è il centro del tempo, della vita e dell’universo.
 
L’Epifania ci riconsegna questa consapevolezza e la consegna alla nostra fede e quindi al nostro modo di vedere le cose e di viverle. L’opera di Gesù è un’opera universale che abbraccia veramente tutto e tutti.
 
Ancor più affascinante e sconcertante è lo sguardo che si concentra sul bambino Gesù: quest’opera incalcolabile, inesauribile, inimmaginabile di Dio vede protagonista un uomo che nasce, uno come noi. E nasce in condizioni diverse da quelle che ci potremmo aspettare quando noi immaginiamo che il nostro riscatto, la nostra salvezza, la nostra speranza dipendano da una serie di possibilità che non vediamo rappresentate nella grotta di Betlemme.
 
Lasciarci abitare da Dio, lasciare illuminare la nostra mentalità da questa universalità dell’opera di Gesù significa superare continuamente ogni forma di esclusione.
 
Nel momento in cui io celebro e credo nell’opera universale di Gesù, alimento, nutro, formo la mia mentalità a un superamento costante di quella che è una tentazione permanente, quella dell’esclusività o dell’esclusione. Da sempre forme religiose dicono: la salvezza, la speranza, Dio stesso è “per noi”, per noi che siamo i suoi fedeli e gli altri sono gli infedeli.
 
Siamo continuamente e istintivamente tentati da logiche esclusive: “i miei, i nostri, noi e gli altri”. C’è rispetto, c’è attenzione, comunque determinante è il noi, la nostra famiglia, il nostro clan, il nostro paese. Noi e gli altri. Gli altri che rispettiamo ma non sono noi. Qui è casa nostra.
 
Oggi siamo fortemente sensibili al tema dell’identità perché la vediamo frammentata e facciamo fatica a riconoscerci. Tutto ciò che sembra in qualche modo dare lineamento alla nostra identità di persone, di famiglia, di popolo ci vede sensibili. Il rischio è che questa ricerca di identità avvenga a scapito di chi non è come noi.
 
A volte non ci accorgiamo nemmeno che respiriamo questa aria e poi noi stessi la alimentiamo. Le logiche esclusive sono le logiche di cooptazione: quelli che sono come me, quelli che la pensano come me, quelli che mi rassicurano.
 
Sono logiche comprensibili, ma quando io dico che l’opera di Gesù investe l’umanità e supera ogni confine, non esclude nessuno, sto dicendo esattamente il contrario.
 
Le logiche esclusive sono quelle generalizzanti e generiche, quelle che non si fermano sul volto delle persone ma le definiscono in base alle categorie: noi e gli altri, i cittadini e gli stranieri, gli intelligenti e gli ignoranti, gli uomini e le donne, gli onesti e i delinquenti. E via così, categorie su categorie. E quando noi raggruppiamo per categorie le persone spariscono.
 
E poi procedendo per categorie succede che sorge la categoria che merita di essere riconosciuta e quella che non lo merita e addirittura rappresenta un pericolo per la mia categoria.
 
Gesù si manifesta a tutti e a tutto l’universo e la sua opera è per tutti, è offerta a tutti.
 
Questo significa alimentare in noi una apertura di cuore e di mente che poi si traduce in gesti, in scelte, in giudizi, in modi di essere, in scelte per la costruzione della comunità o della famiglia o della società.
 
Le logiche esclusive sono logiche che inevitabilmente creano degli esclusi e a volte possiamo esserlo anche noi. Anche noi siamo sottoposti a questa implacabile logica dell’esclusione per cui avviene che oggi o domani o comunque ci sarà una circostanza o un ambiente in cui noi – che in qualche modo siamo stati protagonisti di logiche esclusive – finiamo a nostra volta nella categoria degli esclusi, degli scarti, degli invisibili, degli irrilevanti.
 
Cari fratelli e sorelle, guardando il Vangelo del Natale, guardando l’immagine del presepe, guardando questi Magi che vengono da lontano a rappresentare tutti i popoli e tutto del popolo – cioè tutta la ricchezza umana – noi siamo interpellati. Gesù è per tutti, l’amore di Dio è per tutti, non c’è confine che metta limite all’opera di Gesù, alla speranza che lui porta, al riscatto dal male e dal peccato offerto proprio a tutti. Questo vuol dire che la mia mente, il mio modo di ragionare e di pensare e di costruire e di agire sarà formato da questa fede.
 
L’opera di Cristo per tutti non significa che noi la imponiamo a tutti. È successo così – dobbiamo essere sinceri – anche nella storia del cristianesimo, cioè che in nome del fatto che la salvezza di Cristo è per tutti, noi in qualche modo l’abbiamo imposta a tutti. Qualche volta la tentazione per chi crede è di farlo ancora. Le dinamiche familiari a volte sono connotate da questo fatto: quando ti sembra che i tuoi figli tradiscano ciò che ti sta più a cuore, sei tentato dal desiderio di imporre qualcosa, ammesso che sia ancora possibile. Questa salvezza, questa opera di Cristo che investe tutti e non esclude nessuno non può essere imposta.
 
Non è neppure l’esito di una conquista o di un merito: io mi merito ciò che Cristo ha fatto. È un dono affidato alla libertà dell’uomo e questa libertà prende il nome di fede.
 
Cari fratelli e sorelle, la fede non è un ornamento della vita. La fede non è facoltativa, nel senso che è la stessa cosa se c’è o se non c’è. La fede è l’atto di libertà più grande che l’uomo può compiere e il dono di Dio è affidato alla libertà di ciascuna persona umana.
 
Queste parole sono rappresentate concretamente dalla nascita di Gesù: un bambino si affida alla libertà e alla fede di coloro che lo accolgono e lo riconoscono.
 
Annunciamo il Vangelo a tutti, così come lo ha annunciato Gesù, nello stesso stile che Dio nella persona di Gesù ci insegna. Viene affidato ancora una volta alla nostra fede questo annuncio e noi con gioia, con speranza lo affidiamo alla libertà delle persone con cui il Signore ci accompagna.
(trascrizione da registrazione)