Una delle iniziali conseguenze della pandemia è stata la scomparsa della Chiesa. Vietate tutte le liturgie, ogni forma di incontro comunitario, la possibilità di visitare famiglie, anziani e malati, chiusi oratori, centri di ascolto, scuole parrocchiali e paritarie, impediti gli ingressi negli ospedali e nelle case di riposo, la Chiesa si è ritrovata senza corpo, invisibile. In realtà le nostre chiese sono rimaste sempre aperte, ma vuote di cristiani e l’immagine del Papa nella Piazza San Pietro deserta è certamente indimenticabile e suggestiva, ma rappresenta appunto questo dramma sconcertante: la Chiesa era diventata invisibile. Il corpo è sparito. Non dimentichiamo che questa invisibilità per alcuni è diventata motivo di condanna: da un verso determinata dall’appiattimento su logiche mondane e dalla passività rispetto alle normative dettate dallo Stato; d’altro verso, determinata dalla sua insignificanza e inutilità. Dov’è la Chiesa? Dove sono i preti? Che cosa sta facendo? Vale la pena che goda ancora di riconoscimenti pubblici, sociali e anche finanziari? Per altri ancora, la Chiesa invisibile, sembrava rappresentare un’occasione preziosa di purificazione, di conversione, di ritorno alle origini, di concentrazione sull’essenziale. La Chiesa invisibile, consegnata al mondo degli “invisibili”.
Bisogna ammettere questo sconcerto iniziale, questo esilio da ciò che dava forma alla vita della Chiesa: proprio come l’antico Israele, deportato a Babilonia, ci sentivamo deprivati dei nostri santuari, dei nostri riti, dei sacramenti, della presenza dei sacerdoti, poi lo Spirito ha soffiato non più forte del virus, ma dentro i drammi del virus. A me sembra che sia proprio da attribuire al soffio dello Spirito quella creatività pastorale che la Chiesa e non soltanto i preti ha sviluppato in tante forme diverse, così che abbiamo percepito una forma nuova di presenza, di vicinanza, di condivisione, riconosciuta ampiamente. Non ritengo che sia convincente attribuire questa presenza nuova ad una volontà di esserci, ad una volontà di potenza, alla paura di essere tagliati fuori, a quelle tentazioni prestazionali che sono continuamente in agguato. Nel dolore, nello sgomento, nello sconcerto, abbiamo avvertito che la preghiera e l’esercizio umile della carità sono diventati decisivi, per alimentare il nostro spirito e così anche una forza morale capace di sostenere un peso così imponente.
Abbiamo ritrovato il senso della presenza della Chiesa, anche se non stiamo ancora sperimentando la realtà del suo corpo, se non per timidi cenni. La Chiesa è incontro, relazione, concreta fraternità e prossimità; la Chiesa sono volti, storie, peccati e virtù, mani e piedi, sguardi e ascolto. La Chiesa è storia, è forma, è impasto di spirito e materia … La Chiesa è corpo, non corporazione: è proprio il corpo di Cristo, generato e abitato dallo Spirito Santo, esposto come ogni corpo all’esperienza della debolezza e anche del peccato di coloro che lo formano.
Celebriamo la festa del Corpus Domini, il corpo di Cristo crocifisso e risorto, il corpo eucaristico di Cristo. Riconosciamo la sua presenza nel pane e nel vino trasformati dallo Spirito di Dio. E’ Lui che trasforma anche noi, è Lui che apre i nostri occhi sul corpo crocifisso nella moltitudine dei crocifissi, sul corpo risorto, nella moltitudine di coloro che incarnano germogli di risurrezione, sul corpo di Gesù di Nazareth, il Gesù della vita comune, della vita di ogni giorno, che in realtà è gran parte della nostra vita. La presenza reale di Cristo nel pane e nel vino dell’Eucaristia è dono supremo di una presenza vitale, che dà vita e che possiamo ritrovare nella vita in quel corpo, che non è la carrozzeria dell’anima, ma ne è l’incarnazione.
Care sorelle e fratelli, molti non riconoscono Gesù nel pane eucaristico, molti neppure lo conoscono: quel corpo di Cristo che è la Chiesa si nutre di questo pane, per diventare sempre più somigliante al suo Maestro e Signore. Non si tratta soltanto di preti, frati, suore, di devoti e praticanti: si tratta di ogni battezzato che nella semplicità della sua fede e della sua vita, unito ai suoi fratelli e sorelle, può condurre l’umanità a riconoscere la presenza stupenda del pane della vita e a nutrirsene per vivere.
Mangiamo dell’unico pane per diventare un unico corpo. Adoriamo l’unico pane perchè lo riconosciamo come il pane della vita, riconosciamo che Gesù è il pane della vita. Un pane che unisce, che nutre che dà vita.