03-06-2014
E’ con gioia grande che celebro con tutti voi, con il Vescovo Francesco Beschi, con tutti i Vescovi lombardi questa Eucaristia di ringraziamento per la canonizzazione di Giovanni XXIII.Saluto con affetto e riconoscenza il cardinale Loris Capovilla che mi ha accolto insieme ai confratelli Vescovi prima della Messa per un colloquio ricco e cordiale.
1. «Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura» (Prima Lettura, Ez 34,11). La storia della famiglia umana e del mondo intero è lo scenario su cui, generazione dopo generazione,vediamo compiersi questa promessa che il Padre ha fatto agli uomini attraverso il profeta Ezechiele.Anche il nostro prezioso convenire qui a Sotto il Monte ne è significativa conferma. Davvero Diocontinua ad uscire in cerca dei Suoi figli e se ne prende cura. E lo fa, in modo insistente ed efficace, suscitando nella Chiesa di Dio pastori secondo il Suo cuore, come ci ha detto oggi la Preghiera di Colletta riferendosi a San Giovanni XXIII: «Dio onnipotente ed eterno,… in San Giovanni, papa, hai fatto risplendere per tutto il mondo l’esempio di un buon pastore». Le nostre generazioni, dal dopoguerra ad oggi, hanno vissuto il privilegio di veder succedersi una serie di santi papi che hannoguidato la vita della Chiesa a favore di tutta l’umanità.
Papa Roncalli rappresenta un punto di arrivo di una plurisecolare tradizione pastorale e un solidissimo punto di partenza per una rinnovata proposta della storia della salvezza ad ogni uomo. Come insegna la Gaudium et spes, alla Chiesa sta a cuore il singolo uomo nella trama inevitabile delle relazioni, soprattutto di quelle costitutive. Sulla scia di San Giovanni XXIII, l’ormai Beato Paolo VI e San Giovanni Paolo II hanno esercitato, con differenti stili, in modo santo ed illuminato il ministero petrino.
2. Ma qual è il cuore ardente di questa straordinaria autorevolezza della santità di Giovanni XXIII? La risposta è quasi ovvia, ma non per questo meno vera: è l’immedesimazione personale e diuturna con Gesù, buon pastore.
Gli storici hanno documentato con acribia come fin dall’inizio Roncalli interpretò e visse il suo ministero episcopale richiamandosi all’immagine evangelica del buon pastore. Come suo successore a Venezia ho potuto toccare con mano, attraverso testimonianze e scritti, il suo continuo e tenace approfondimento di questo tema decisivo. Così scriveva il 23 febbraio del 1954: «Qui si vive come in famiglia, con rispetto, con sincerità, con evangelica carità. Riprenderò dunque il mio passo. “Bonus Pastor animam suam dat pro ovibus suis: il buon Pastore dà l’anima sua per le sue pecorelle”. Questo è tutto per me: il mio proposito, la mia vita». E proprio questo chiese a Gesù, buon pastore, nel corso degli esercizi spirituali con l’episcopato triveneto nel maggio 1955: «Per altro il pastor deve essere soprattutto bonus, bonus. Diversamente senza essere lupus come il mercenarius, rischia, se dormitat, di divenire inutile e inefficace. O Gesù, bone pastor, che il tuo spirito mi investa tutto: cosicché la mia vita sia, in questi anni ultimi, sacrificio ed olocausto per le anime dei miei diletti veneziani». In seguito, nella prima e terza allocuzione al clero venezianodurante il sinodo del 1957, Roncalli svilupperà ulteriormente la riflessione sul pastore, interpretando il pastor come pater: la “pastoralità” diventa paternità che si fa tutto a tutti per salvarne ad ogni costo qualcuno». E il tema della paternità dà al pastore la carica espressiva dell’amore oggettivo ed effettivo per i suoi fedeli.
3. Noi, vescovi lombardi, riconosciamo questa sera, davanti a voi fedeli carissimi, nella figura e nell’intercessione di san Giovanni XXIII una strada sicura per meglio comprendere ed assumere il compito pastorale che la Chiesa ci ha affidato. E vogliamo impegnarci davanti a voi tutti in questo senso.
Dall’inizio della seconda metà del Novecento i tempi sono indubbiamente cambiati, anche nella Chiesa. E questo grazie all’immenso dono del Concilio Vaticano II che ebbe in Papa Roncalli il suo profetico iniziatore. Eppure il nostro ministero resta solidamente ancorato alla figura del Buon Pastore-Padre, capace di amore generativo. Il Santo Vangelo di oggi ce ne offre una decisiva chiave di lettura. Il dialogo tra il Risorto e Pietro non è solo assai toccante, ma soprattutto per noi vescovi è pro-vocazione – di cui Papa Francesco si fa continuamente eco – ad un permanente atteggiamento di confessione e di conversione.
Nell’affidare a Pietro il compito pastorale Gesù fa precedere, per tre volte, la domanda: «Mi ami tu?». E noi pastori ad essa non possiamo che rispondere con le stesse parole del pescatore: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo» (Vangelo, Gv 21,15-17). E le nostre debolezze le nostre contraddizioni, i nostri peccati? Alla fine se riconosciuti e perdonati non rappresentano una obiezione insuperabile. Perché? Ce lo mostra bene il dialogo evangelico. In esso Gesù precedePietro. Siamo sempre preceduti come vescovi, come presbiteri e come fedeli dal Risorto. Qui sta la sorgente della carità pastorale. Con parole sempre attuali il decreto conciliare Presbyterorum Ordinis ci ricorda: «Cristo… rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a lui nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato» (PO 14).
4. I pastori sono quindi chiamati a dare la vita per il gregge a loro affidato perché tutti arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Seconda Lettura, Ef 4,13). In questa tradizione epocale il primo e fondamentale scopo dei ministeri ordinati è la rigenerazione del Popolo di Dio, in tutte le vocazioni e gli stati di vita che lo Spirito suscita, affinché la Chiesa possa adempiere nell’oggi la sua missione.
In questa rigenerazione sta però anche il contributo più prezioso che la comunità cristiana è chiamata ad offrire a tutti i nostri fratelli uomini percorrendo il delicato ma affascinante cammino che ci conduce dalla convenzione alla convinzione. Infatti, quando i cristiani vivono consapevoli della loro fede confessando «un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti», non faticano a riconoscere che Egli «agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Seconda Lettura, Ef 4,6).Vivono così quella passione per l’unità con tutti che si esprime in «umiltà, mansuetudine e pazienza» (Seconda Lettura, Ef 4,2). Queste virtù trasparivano dal volto di San Giovanni XXIII a beneficio dei cristiani come degli uomini di buona volontà.
Carissime, carissimi, il nostro mondo, attraversato da fatiche e violenze la cui portata spessospaventa, ha oggi più che mai bisogno di questo stile di vita buona che San Giovanni XXIII alimentava immergendosi nella Parola di Dio e nei Padri della Chiesa. Essa non è certo bonomia, ma discreta e costante volontà di farsi carico degli altri, per camminare insieme verso la casa del Padre.
Le nostre comunità cristiane sono chiamate ad essere, sempre più, case dalle porte aperte, capaci, nella verità che la carità legittima, di ricevere tutti e tutti consolare, perché tutti possano conoscere il volto del Padre e vivere da figli di Dio.
Questo domanda a noi tutti conversione continua: un dono che, questa sera, imploriamo dalPadre per intercessione di San Giovanni XXIII. Amen.