01-11-2013
Vogliamo meditare sulla condizione di coloro che riposano in questo cimitero e che qui rappresentano per noi oggi tutti coloro che sono morti in ogni tempo e in ogni luogo. Una condizione che appartiene alla condizione della nostra stessa vita, alla vita di ogni essere vivente: la morte, la fine.
Lo facciamo alla luce dei Santi, di tutti i Santi. Da credenti riteniamo che il destino, cioè la nostra destinazione, non sia rappresentata solo dalla morte, ma sia rappresentata da una vita che noi riconosciamo in tutti i Santi, in tutti i morti che sono presso Dio.
La morte sembra un po’ l’ultimo fotogramma di un film, quando vediamo uscire la parola “fine”, the end, la fine. Non si può più aggiungere nulla, o meglio ciò che verrà aggiunto è messo da coloro che vivono, ma non più da colui che è morto. Noi aggiungiamo il nostro ricordo, la nostra preghiera, il nostro dolore, a volte il nostro sollievo. Solo chi vive può aggiungere qualcosa a chi è morto, solo chi “raccoglie” quella vita conclusa, solo chi “accoglie” quella vita conclusa. Voi pensate quanto uomini e donne di ogni tempo e noi stessi aggiungiamo alla vita di chi è morto quello che ho appena ricordato: il nostro affetto, la nostra riconoscenza, i nostri rimpianti, a volte quelle situazioni non concluse che avremmo voluto concludere in pace. Noi facciamo così. La stessa preghiera che depositiamo sulla tomba di un nostro caro è un aggiungere alla sua vita che ormai è conclusa e alla quale ormai non si può più aggiungere nulla.
Se esiste Dio, se la vicenda di Cristo è veramente la vicenda decisiva, allora che cosa può aggiungere Dio? che cosa può aggiungere Cristo alla vita di chi è morto?
Proviamo ancora a riflettere su quel mistero che appartiene ad ogni essere vivente, ma certamente all’uomo (anzi la persona umana, uomo o donna, giovane, anziano, adulto ne è consapevole), che è il desiderio di vivere. Appartiene ad ogni essere vivente ed è qualcosa di istintivo, ma noi ne siamo consapevoli. Noi a volte lo alimentiamo, altre volte è come se lo vedessimo spegnersi dentro di noi questo desiderio, perché non è solo istinto. Pensate ai momenti gioiosi, con una gioia fatta di mille ragioni, che alimentano la vita e non solo la salute. Pensate invece ai momenti in cui la nostra salute tentenna: come si logora il nostro desiderio di vivere.
Non ci basta la vita, non ci basta questa vita, noi desideriamo sempre qualcosa di più. Anche nel momento in cui volessimo desiderare di morire, in realtà noi desidereremmo una liberazione, una fine che sia appunto pace. Ogni persona umana desidera qualcosa di più e qualcuno ha giudicato questo nostro desiderio come il principio, il seme di un’illusione, come se la vita che va oltre la morte fosse una specie di grande illusione che risponde a questo nostro desiderio. È chiaro, nessuno di noi può rispondere a questa obiezione. L’unica cosa che possiamo dire è questa: il fatto che noi proviamo questo desiderio di una vita che non sia soltanto questa vita, che non si riduca solo a una misura di anni, ma che è fatta appunto di gioia, di soddisfazioni, di una pienezza complessiva, non significa – appunto – che sia soltanto una illusione.
Tutto questo che vi ho ricordato e che ricordo a me stesso mentre ricordo i miei cari, ma anche mentre ricordo tutte le persone che all’inizio abbiamo indicato in modo particolare, ha a che fare con la vicenda di Gesù di Nazareth. Un uomo che anche a fatica uomini e donne hanno conosciuto, non solo allora ma anche oggi, ma non possono ritenere che la sua sia solo una rappresentazione meravigliosa.
Pur nella sua morte drammatica, un uomo che ha reso la vita degna di essere vissuta. Quella dignità ha raccolto la vita di un’infinità di uomini e di donne. La vicenda di Gesù, che i cristiani credono non solo uomo ma figlio di Dio, ci consegna non solo la sua morte, ma la sua risurrezione. Il principio di una vita: questo è quello che i cristiani credono.
Non abbiamo niente da dimostrare, ma possiamo mostrare Gesù, il suo modo di vivere, il suo modo di morire e anche il suo modo di risorgere. Sì, cari fratelli e sorelle, perché la risurrezione certamente è affidata alla fede.
Noi arriviamo tutti alla fine, a quel “the end”, tutti, credenti e non credenti. Noi possiamo raccontare storie di resurrezione. In tanti modi si può risorgere: pensate al fatto di una persona che sempre proprio per morire, a volte un nostro caro, altre volte un giovane, e poi finalmente le conquiste della medicina lo restituiscono alla vita e questa è una specie di resurrezione. E poi pensate a tanti altri momenti: una persona smarrita, magari per il tema del lavoro, oggi così decisivo, e finalmente ritrova un lavoro e quindi una speranza e quindi risorge. Ma la forza più grande della risurrezione, in qualsiasi condizione una persona si trovi, è l’amore, nella sua gratuità e nella sua bellezza. L’amore fa risorgere.
La vicenda di Cristo ci ha consegnato un amore così: ci è consegnato l’amore di Dio che è capace di riscattare dal potere della morte. Siamo qui, preghiamo per i nostri cari, preghiamo per tutti gli uomini e le donne che hanno sacrificato la loro vita per il bene della comunità, preghiamo per coloro che abbiamo visto o sentito morire in condizioni drammatiche, preghiamo per i giovani che sono morti, quasi come contraddizione al desiderio di vivere che appartiene ad ogni essere vivente. Preghiamo alimentando per chi crede questa convinzione che scaturisce dalla nostra relazione con Dio nella persona di Gesù: veramente una vita che non basta alla vita, una forza dell’amore che è più forte della morte.
Preghiamo anche per chi non crede, eppure è accumunato con noi in questo gesto di legame, di pietà, di affetto, di riconoscenza nei confronti dei defunti, che possa cogliere l’avvertenza che questa resurrezione già percorre la vita e già riscatta la vita dal potere della morte.
Finalmente, il silenzio davanti a quella fine che per Gesù Cristo è stato un nuovo inizio, che così è per tutti coloro che sono uniti a lui, che è per ogni uomo che dalla sua morte e dalla sua resurrezione è stato riscattato dalla dimenticanza, dalla lontananza, dall’oblio, appunto da quello che noi chiamiamo la morte.
(trascrizione da registrazione)