Anniversario della Dedicazione della Cattedrale

Cattedrale
14-01-2020

Desidero accompagnarmi al ricordo della Dedicazione della nostra Cattedrale condividendo alcuni sentimenti personali a partire dallo stupore. Lo stupore per la bella Comunità di Città Alta e di molti, che nelle feste cristiane più importanti, salgono intenzionalmente per partecipare alle celebrazioni presiedute dal Vescovo. La constatazione positiva della crescita, in questi anni, del numero di turisti che visitano questa chiesa e la speranza che il loro passaggio non sia solo quello del “consumatore”, ma quello più ampio e significativo del “visitatore” o addirittura del credente. Lo sguardo sereno, curioso e pensoso dalle finestre della casa del Vescovo: la gente in piazza, i visitatori e i fedeli, i matrimoni e i funerali; i monumenti che la circondano, il giorno e la notte, il silenzio, il chiasso e il mormorio di sottofondo; la facciata, la cupola, il campanile, la statua del patrono, il cielo: sono immagini che non solo riempiono gli occhi, ma alimentano la consapevolezza di ciò che è e rappresenta la Chiesa di Bergamo, la sua storia, il suo rapporto con le persone e la loro vita.

A questo sguardo si aggiunge quello di quando ci si avvicina alla nostra città; è diverso lo skyline delle città di pianura e quello della nostra città: nelle prime, le chiese e i loro campanili scompaiono, sovrastate da “nuove cattedrali” e “nuovi campanili”. Lo skyline di Città Alta invece, rimane e rimarrà fortemente connotato dai campanili e dalle cupole della sue chiese e della Cattedrale: una meditazione visiva sul passato, il presente e il futuro della Chiesa di Bergamo. Le cattedrali, con la loro imponenza e diversità rispetto alle dimore degli uomini, non sono appena dei meravigliosi monumenti d’arte e di storia; sono anche un interrogativo posto all’uomo inquieto o distratto, un grido dell’anima, un esame di coscienza: «Da dove prende l’ispirazione una così intensa espressione d’arte? Perché tanti sacrifici da parte di tanta gente per così tanto tempo? Insomma, per che cosa o per chi sono state costruite?».

Siamo noi che oggi dobbiamo rappresentare la risposta a questo interrogativo: la Cattedrale, nata dalla fede dei nostri antenati, manifesta anche in questo nostro tempo, la speranza nell’amore di Dio più forte dell’odio, nella sua Vita più forte della morte.

“La questione che si pone oggi è: abbiamo vergogna della fede dei nostri padri? Abbiamo vergogna di Cristo oggi?”, ha chiesto mons. Michel Aupetit nell’omelia in occasione della prima Messa celebrata in Notre Dame, dopo il devastante incendio che l’ha parzialmente distrutta. E continua: “Questa cattedrale è un luogo di culto. È questa la sua finalità unica e vera”.

“Molti entrano per curiosità senza sapere neanche perché”, ha continuato l’arcivescovo: “ci auguriamo che non ne escono mai nello stesso modo perché qui c’è una presenza misteriosa, ma incontestabile. Possiamo, forse per ignoranza o per ideologia, separare la cultura e il culto, ma l’etimologia stessa ci mostra il legame forte che esiste tra le due. Il dramma che stiamo vivendo è proprio questo: la separazione tra il culto e la cultura. Noi stessi, che celebriamo il culto, rappresentiamo una cultura che spesso è lontana, se non opposta od ostile al culto che abbiamo celebrato.

La Cattedrale rimane ancora nella fede di chi crede e nell’immaginario diffuso, la chiesa del vescovo; il nome stesso evoca la “cattedra”, che non è un tavolo o una scrivania, ma un seggio. E’ il seggio dell’antico “magistrato” della città e del “maestro” allora riconosciuto da tutta la cittadinanza, dove appunto, l’autorità di colui che presiede si alimenta e si esprime nell’insegnamento “decisivo”.

Per quanto riguarda il Vescovo, si tratta di un insegnamento “decisivo” in ordine al rapporto tra Dio e gli uomini: una chiesa infatti non è una grotta dei misteri o l’antro dell’oracolo, né la casa di Dio (che non ne ha bisogno), né quella degli uomini (che ne hanno altre per la loro vita privata e pubblica), ma è la casa dell’incontro tra Dio e gli uomini.

E’ un insegnamento decisivo in ordine al rapporto tra la Parola e la vita, il rapporto tra il tempio e il tempo. La Chiesa è chiamata non a indugiare sul passato – quasi compiaciuta del suo carico di storia, arte e tradizione – ma a volgersi al domani come un cantiere sempre in costruzione, secondo la promessa di Gesù: «Aedificabo ecclesiam meam», dove il verbo è messo al futuro.

La “domus ecclesiae” esiste per farci passare dalle case riservate per il culto al vasto mondo, dal tempio di pietra al tempio vivo della persona. Questa cattedrale è frutto del genio umano, capolavoro umano. Ma la persona umana è il frutto del genio divino, è il capolavoro di Dio. Diceva Sant’Agostino in un’omelia della dedicazione: “Se queste pietre materiali non fossero unite tra loro, se non combaciassero facilmente, se non si amassero in qualche modo aderendo tra loro vicendevolmente, questo tempio non ci sarebbe”. E aggiungeva: “Anche noi dobbiamo essere uniti nella carità”.

La festa della Dedicazione della Cattedrale, alimenti quella fede che diventa esercizio della carità che ci unisce e ci rende testimoni di un’unità che abbraccia la città di tutti. Splenda in alto la Cattedrale di Bergamo: splenda quella Cattedrale della carità rappresentata dalla vivente comunità dei cristiani.