Il Concilio, una nuova Pentecoste inaspettata e assai coraggiosa.
Per tradizione i Santi vengono segnati nel calendario nel giorno della loro «nascita al cielo». Il Santo Papa Giovanni Paolo II, beatificando il suo predecessore Giovanni XXIII, volle fare un’eccezione significativa, affinché la celebrazione della sua memoria fosse non il 3 giugno, data della morte, ma l’11 ottobre proprio per ricordare l’apertura del Concilio Vaticano II.
È interessante rileggere quanto il Papa Roncalli annotava quella sera dell’11 ottobre 1962 nel suo diario: «Questa giornata segna l’apertura solenne del Concilio Ecumenico. Ringrazio il Signore
che mi abbia fatto non indegno dell’onore di aprire in nome suo questo inizio di grandi grazie per la sua Chiesa santa. Egli dispose che la prima scintilla che preparò durante tre anni questo avvenimento uscisse dalla mia bocca e dal mio cuore. Con la stessa calma ripeto il fiat voluntas tua circa il mantenermi a questo primo posto di servizio per tutto il tempo e per tutte le circostanze della mia umile vita, e a sentirmi arrestato in qualunque momento perché questo impegno di procedere, di continuare e di finire passi al mio successore».
Così avvenne e infatti passò il testimone al santo Papa bresciano Paolo VI che guidò il Concilio dal 1963 fino alla conclusione l’8 dicembre 1965. La convocazione di un Concilio era un gesto
inaspettato e assai coraggioso.
Come precedente c’era il Concilio Vaticano I interrotto e mai concluso nel 1870 e prima solo il Concilio di Trento celebrato dal 1545 al 1563. I motivi che indussero Papa Giovanni XXIII ad invocare questa «nuova pentecoste» furono la percezione dei tempi nuovi e l’emergere di esigenze che richiedevano alla Chiesa l’elaborazione di risposte diverse da quelle tradizionali.
Uno spirito chiaroveggente che si dimostra di estrema attualità oggi, avverandosi nelle dinamiche del Sinodo che la Chiesa con Papa Francesco sta vivendo, nelle quali ciascuno è chiamato a sentirsi coinvolto, come ho indicato tracciando l’orizzonte di questo anno pastorale, per camminare insieme per servire la vita dove la vita accade, proprio partendo dal dono della santità.
«Desidero aprire questa lettera, – scrivevo – condividendo la consapevolezza riconoscente che i santi rappresentano la fecondità dell’azione dello Spirito Santo e della sorprendente potenza del Vangelo incarnato e nello stesso tempo si propongono come amici e compagni di viaggio. Se camminare insieme è il criterio a cui vogliamo ispirarci, camminiamo con i santi, ispirati e sostenuti dal loro esempio e dalla loro amicizia, in quella misteriosa e meravigliosa comunione, che alimenta la speranza».
Diceva Papa Giovanni: «Che è mai un Concilio ecumenico se non il rinnovarsi di questo incontro della faccia di Gesù Risorto, radiante su tutta la Chiesa, a salute, a letizia e a splendore delle genti umane?».
Annunciare il Vangelo in maniera nuova costituiva la grande sfida per la Chiesa nel mondo moderno. Scriveva: «La sapienza è semplificare, ridurre all’essenziale, ritmare la vita con poco, tornare al semplice, alla nuda verità dell’uomo e dei suoi meccanismi spirituali più semplici e profondi». Da qui uno sguardo fiducioso, ottimista, pieno di speranza sulle persone e sulle vicende. E nell’Enciclica «Mater et Magistra» insegnava: «Il bene comune è l’insieme delle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della persona».
Il Card. Suenens commemorando Papa Giovanni XXIII all’inizio della Seconda Sessione del Concilio, presieduta dal suo successore Paolo VI, ci offre un ritratto che apre a noi oggi una memoria che si fa prospettiva: «In Papa Giovanni luce e calore sono inseparabili, come il sole che nello stesso tempo illumina e riscalda. La sua bontà spontanea, diretta, sempre attenta, era simile al raggio di sole che dissipa la foschia, che scioglie il ghiaccio, che si insinua senza che ce se ne accorga. Raggio di sole che crea l’ottimismo al suo passaggio, dà gioia, non si sconcerta per qualsiasi ostacolo. Così appare Giovanni XXIII al mondo, non come il sole del tropico che acceca del suo splendore, ma come l’umile sole familiare di ogni giorno, che è lassù al suo posto, sempre fedele a se stesso, anche se talora velato da qualche nuvola a cui quasi non si bada tanto si è certi della sua presenza».
Potremmo ben dire noi, come il sole che si vede a Bergamo, che in punta di piedi sa sgretolare anche l’opaco e grigio muro della nebbia di una situazione sociale non facile che ci chiede di servire il Vangelo della vita, là dove la vita accade.
+ Francesco Beschi
Scarica l’approfondimento de “L’Eco di Bergamo” del 9 ottobre 2022