Le parole di Papa Leone XIV nell’omelia della Messa celebrata in occasione del Giubileo delle Famiglie, il 1° giugno scorso, in Piazza San Pietro
Carissimi, noi abbiamo ricevuto la vita prima di volerla. Come insegnava Papa Francesco, «tutti gli uomini sono figli, ma nessuno di noi ha scelto di nascere» (Angelus, 1° gennaio 2025). Non solo. Appena nati abbiamo avuto bisogno degli altri per vivere, da soli non ce l’avremmo fatta: è qualcun altro che ci ha salvato, prendendosi cura di noi, del nostro corpo come del nostro spirito. Tutti noi viviamo, dunque, grazie a una relazione, cioè a un legame libero e liberante di umanità e di cura vicendevole.
La mia gratitudine nasce da questa consapevolezza
La vocazione, ogni vocazione scaturisce da una relazione, fiorisce in una relazione, si alimenta ad una relazione
La famiglia, la comunità, i maestri e le maestre, i pastori, gli amici, i compagni, i testimoni…. E infine Dio stesso, la sorgente di ogni relazione
La sorpresa, la meraviglia, lo stupore sono il frutto di questa consapevolezza e alimentano una riconoscenza infinita, che abbraccia tutti coloro che sono stati protagonisti di questa rivelazione.
E’ la mia riconoscenza… è la riconoscenza di tutti coloro di cui mi faccio voce: i miei compagni di ordinazione, i presbiteri di Bergamo ordinati nello stesso anno, le consacrate, i consacrati, gli sposi che celebrano il cinquantesimo anniversario della loro consegna.
La riconoscenza si accompagna ad un senso di smarrimento, che potrebbe scivolare nello sgomento: chi sono io? Che cosa ne ho fatto del dono? L’oscurità del limite, dei difetti, dei peccati, ha consumato la sua luce vitale?
Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce…
La riconoscenza è anche riconoscimento di un dono ancora più grande, quello della misericordia: alla misericordia mi affido, alla misericordia ci affidiamo. Di misericordia abbiamo bisogno fino alla fine. Misericordia rigenerante, attraverso la consapevolezza, il pentimento, la riparazione.
Riconoscenza e riconoscimento, alimentati dall’esercizio della memoria sono il pane della responsabilità nei confronti del presente, illuminata dalla promessa generata dalla morte e dalla risurrezione di Cristo Signore.
L’apostolo: Abramo credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli… Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento.
La responsabilità di un prete è risposta al dono di Dio trasmesso dalla Chiesa, alimentato nella Chiesa, al servizio della Chiesa e attraverso la Chiesa, al servizio dell’intera umanità.
Il motto della nostra Ordinazione, cinquant’anni fa recitava: Al servizio di Cristo, per i fratelli. Il Vescovo di Brescia mons.Luigi Morstabilini, bergamasco di Gromo, ci ricordava nell’omelia dell’Ordinazione stessa: “Ogni qual volta vi richiamerete alla vostra ordinazione sacerdotale, l’abbiate a rinfrescare nel vostro proposito”. “Il vostro, vuole essere un servizio a Cristo, che vi ha chiamati, che vi ha scelti e che vi manda a curare il bene dei fratelli”.
La dignità intrinseca di ogni persona è un fatto che troppo raramente viene riconosciuto e celebrato. Ci vorrebbe una vita intera anche solo per iniziare a capire cosa significhi che i più poveri di noi sono teneramente amati dal loro Padre, che sente la stanchezza di ogni migrante e la solitudine di ogni rifiuto, e che li vede tutti come figli che aspetta di consolare.
La responsabilità di un prete coincide con la sua missione, con una vita che diventa missione secondo il Vangelo, mai separata dalla vocazione e dalla consacrazione ricevuta e dalla “meraviglia” che ne è scaturita.
Tutta la nostra vita non sarà sufficiente per esaurire la meditazione dell’inesauribile ricchezza delle cose grandi compiute dalla potenza e dalla bontà di Dio… Il sacerdozio non è per colui che ne è insignito, non è una dignità solo personale; non è fine a se stesso. Il sacerdozio è ministero, è servizio, è mediazione fra Dio e il popolo. Il sacerdozio è destinato alla Chiesa, alla comunità, ai fratelli; è destinato al mondo. Se vi è servizio che esige l’immersione di chi lo esercita nella esperienza multiforme e tumultuante della società, ancor più di quello del maestro, del medico, o dell’uomo politico, questo è il servizio del ministero sacerdotale. (Paolo VI – Ordinazioni 1975)
Il sacerdote non è colui che domina la vita, ma colui che si mette con umiltà al servizio della vita, della vita completa, della vita di ogni persona umana, della vita in tutte le sue dimensioni”. (Franceschetti don Gennaro)
Dopo cinquant’anni, avvertiamo l’inesauribile fascino e l’appello ancor più profondo ad un servizio all’umanità, alla Chiesa, alla vita di ogni persona umana, alla vita della creazione intera: “una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato”. (Papa Leone)
È bello che, guardando alla nostra chiamata, alle realtà e alle persone che ci sono state affidate, agli impegni che ci sono affidati, al nostro servizio nella Chiesa, ciascuno di noi possa dire con fiducia: anche se sono fragile, il Signore non si vergogna della mia umanità, anzi, viene a prendere dimora dentro di me. Egli mi accompagna col suo Spirito, mi illumina e mi rende strumento del suo amore per gli altri, per la società e per il mondo. Lui che, come abbiamo udito nel Vangelo, non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.
“C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, in quel culmine della dominazione romana. Ma Gesù non si sottrasse affatto. Non si ritirò affatto. Non si rifugiò affatto dietro i mali dei tempi […] non perse i suoi tre anni, non li usò per piagnucolare e accusare la cattiveria dei tempi… Lui tagliò corto. Oh, in un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Non incriminò, non accusò nessuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo». Charles Péguy
Un prete non salva il mondo, ma è chiamato, ordinato e mandato per annunciare e comunicare al mondo l’irriducibile speranza di un amore che salva il mondo.