Care sorelle e fratelli,
La Pasqua ci consegna il dono della pace e insieme alla pace altri tre doni: il dono delle Scritture, della Parola di Dio, della Bibbia; il dono di una vita nuova; il dono infine di una comunità.
Possiamo raccogliere questi doni a partire proprio dalle parole che abbiamo ascoltato. Sono parole che possono essere ricondotte ad una semplicissima parola, una brevissima parola, una congiunzione formata da due lettere, una congiunzione avversativa: “ma”.
A volte si usa questa affermazione per dire qualcosa di indiscutibile: “senza se e senza ma”. Questa mattina noi in realtà abbiamo sentito il grande “ma” di Dio, il “ma” della Pasqua di risurrezione.
Brevemente ripercorro le letture che abbiamo ascoltato e le preghiere che abbiamo fatto.
Nel libro degli Atti degli Apostoli abbiamo udito: “Essi lo uccisero, MA Dio lo ha risuscitato e volle che si manifestasse non a tutto il popolo MA a testimoni prescelti da Dio”. Due “ma”.
Nel salmo abbiamo pregato: “Non morirò, MA resterò in vita”.
L’apostolo Paolo: “Celebriamo la festa non con il lievito vecchio, MA con azzimi di sincerità e di verità”.
Nel canto della sequenza abbiamo ripetuto: “Il Signore della vita era morto, MA ora vivo trionfa”.
Anche nel Vangelo c’è il “ma”: “Correvano insieme, MA l’altro discepolo corse più veloce, MA non entrò… MA vide il sudario avvolto in un luogo a parte”.
Può essere una curiosità, comunque dice questo “ma” che scaturisce da qualcosa di sorprendente, per molti inconcepibile. Il grande “ma” di Dio è la risurrezione.
Da questo “ma”, appunto, da questa risurrezione, da questa Pasqua che stiamo celebrando vengono tre doni che diventano tre consegne per noi.
Il dono della Scrittura. Abbiamo udito: “Non avevano ancora compreso la Scrittura, cioè che egli doveva risorgere dai morti”. Care sorelle e fratelli, senza la Parola di Dio la nostra fede diventa evanescente, diventa semplicemente un sentimento che ritorna, che va e viene, ma che faticosamente ispira la vita. Abbiamo bisogno di nutrirci della Parola di Dio, in modo particolare nel nostro tempo. Non possiamo essere cristiani di conserva, perché semplicemente siamo nati in questo Paese e perché per tradizione è così. Siamo cristiani perché affascinati da Cristo e quindi noi ci nutriamo della sua Parola. La Scrittura non è solo un bel libro che si apre in chiesa o che abbiamo da qualche parte nella nostra libreria. Noi dobbiamo nutrirci di questo grande dono. A volte siamo un po’ smarriti e confusi: allora la Parola di Dio diventa il nostro pane. È il primo dono e il primo impegno pasquale.
Il dono della vita nuova. È il secondo dono. L’apostolo ci ha detto: “Celebriamo la festa, non con lievito vecchio MA con azzimi di sincerità e di verità”. È vecchio il male, il male è sempre vecchio. Non c’è nessuna novità nel male e purtroppo ce ne rendiamo conto in quel male che ci riguarda da vicino e anche in quello imponente che ci sembra lontano. Non c’è mai niente di nuovo nel male. Invece anche nel più piccolo gesto di bene c’è sempre una novità, una sorpresa. Dentro il peccato, la morte, l’oppressione, l’ingiustizia, la menzogna, l’indifferenza, il dolore, la disperazione, l’oscurità – anche dentro la sofferenza che sta vivendo la nostra Chiesa, il nostro presbiterio in questo momento per la morte dolorosa di un sacerdote – dentro tutto questo risuona il “ma” di Dio e fiorisce il “ma” del cristiano che è la vita nuova.
Non ci spaventi l’espressione di Gesù “siamo nel mondo, ma non siamo del mondo”, cioè non adottiamo la mentalità “mondana”. Papa Francesco insiste spesso nel denunciare la mondanità: non è soltanto il lusso, il piacere, il superfluo, l’esteriorità, il materialismo. La mondanità della mente e del cuore ha a che fare con la potenza della forza ritenuta decisiva, oggi ancor più di ieri. La mondanità è pensare la logica del “che cosa ci guadagno? quanto ci guadagno?” sia le regola che misura la nostra attività. La mondanità è il calcolo: calcolare è importante, ma quando tutto viene valutato solo sul calcolo, si fa un grande torto all’umanità. Questo è il “ma” di Dio che diventa il “ma” del cristiano, come vita nuova, non mondana, cioè che non adotta certi criteri fondamentali del giudizio della vita. Invece dalla fede nasce un amore che è capace addirittura di vincere l’odio. Noi apparteniamo a Gesù e quindi apparteniamo al suo amore. Questo amore di Gesù a cui noi apparteniamo vince le nostre paure, vince l’odio, vince le frustrazioni che abbiamo nel cuore.
Il dono della comunità. È infine la terza consegna. Tutti i Vangeli della Pasqua sono al plurale e tutto quello che si dispiega dopo la Pasqua è sempre al plurale, è sempre un “noi”. Care sorelle e fratelli, facciamo così fatica a percepirci come un “noi”. Pensate alla vostra famiglia: è un noi. Pensate alle persone che fanno parte della vostra vita: è un noi. Pensiamo alle nostre comunità, ai nostri paesi, all’umanità: è un noi. Perché siamo vittime di un “io” così ingombrante? Dalla Pasqua scaturisce un “noi” nuovo: siamo un noi.
La comunità cristiana – anche se in occidente sembra diminuire, ma in altri continenti non è così – è un segno di questo “noi” nel segno del Vangelo, nel segno di una speranza così forte come quella che scaturisce dalla Pasqua. Siamo un “noi” ma non solo difensivo, tanto meno un “noi” aggressivo”. Siamo un “noi” comunitario, cominciando da noi cristiani (intendendo cristiani cattolici, cristiani ortodossi, cristiani anglicani, cristiani protestanti). Quest’anno c’è una coincidenza nel calendario: celebriamo la Pasqua tutti insieme. Non è così tutti gli anni a causa di diverse disposizioni storico-tradizionali. È una cosa che purtroppo rappresenta una divisione. L’umanità divisa e disgregata attende dei cristiani uniti, non come modo per imporsi, ma perché offrano una testimonianza. Patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme hanno scritto in questi giorni: “Preghiamo affinché questa felice confluenza di eventi – celebriamo la Pasqua insieme – possa ispirare le nostre Chiese a impegnarsi sempre di più per una maggiore unità in Cristo. L’unità tra i cristiani vuole essere un bene per tutti”.
Care sorelle e fratelli, viviamo in questa Pasqua il “noi” delle vostre famiglie per le quali prego, il “noi” delle nostre comunità, il “noi” dei cristiani per il bene dell’umanità. Abbiamo il dovere di celebrare la Pasqua. Non è un dovere esteriore o imposto, ma è un dovere interiore che scaturisce dalla nostra fede: un dovere spirituale che si trasformi in una comunità secondo il Vangelo, che diventa dono per l’umanità intera.
(trascrizione da registrazione)