Care sorelle e fratelli,
cari sacerdoti, diaconi, seminaristi, religiosi e religiose,
tra qualche istante rinnoveremo il rito della lavanda dei piedi. Nel Vangelo ci è stato consegnato questo gesto di Gesù, come suo insegnamento. Il rito che si ripeterà diventa un’occasione per noi che siamo qui riuniti per meditare e in qualche modo assimilare il Vangelo che ci è stato annunciato. Lo assimila il Vescovo, lo assimilano le persone che si dispongono a questo rito ed è un’occasione preziosa perché nel momento in cui si svolge il rito ciascuno abbia motivo di riflettere e di meditare su questo Vangelo.
Vorrei mettere questo gesto sotto il segno della speranza, come un po’ tutte le celebrazioni in questo Giubileo, rinnovando in noi la certezza che la speranza nasce dall’amore.
Lo abbiamo udito: “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. La speranza nasce dall’amore.
Lo scrive anche il Papa nella bolla di indizione del Giubileo: “La speranza nasce dall’amore e dal sentirsi amati. È l’amore di Dio a generare speranza. E l’amore di Dio passa attraverso il nostro amore: Dio ama sempre tramite qualcuno”.
La speranza quindi nasce dall’amore e si nutre della dolcezza dell’amore.
Non vi sembri un’espressione mielosa. Non esiste un amore amaro. In che cosa consiste la dolcezza dell’amore da cui fiorisce e di cui si nutre la speranza? Consiste nell’amore fraterno, nell’amore umile, nell’amore donato, nell’amore giubilare.
L’amore fraterno. Ha detto Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Il frutto dell’amore fraterno è la gioia. Lo viviamo in famiglia. Lo viviamo in una comunità che si riconosce fraterna. Nel momento in cui noi riusciamo a vivere – pur sempre imperfettamente – relazioni improntate alla fraternità, scaturisce la speranza caratterizzata dalla gioia. L’amore fraterno moltiplica la nostra capacità di gioia, poiché ci rende capaci di gioire del bene degli altri.
L’amore umile. Il gesto della lavanda ce lo richiama. È l’amore che prende la forza del servizio: “Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi”. L’amore non si impone, ma l’amore si depone. L’amore che diventa servizio è l’amore che si depone ai piedi delle persone. A volte c’è un po’ il rischio di un “arrivano i nostri”. L’amore invece secondo il Vangelo è un amore umile che si depone ai piedi delle persone. L’amore stesso di Dio per arrivare a noi ha preso la strada dell’umiltà.
L’amore donato. La dolcezza dell’amore prende la forma del dono: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue dato per voi”. Il dono più grande è il dono della propria vita. Qui penso a ciascuno di noi. Penso al dono della vita che ciascuno di voi fa alla propria sposa, al proprio sposo, ai propri figli, ai propri genitori, ai propri fratelli, alla propria famiglia e poi via via. Non riguarda solo le cose e le azioni, ma il cuore. Questo è il dono che fa nascere la speranza. La dolcezza dell’amore consiste nella sorpresa del dono che ci viene offerto ma anche del dono che viene accolto.
L’amore giubilare. È uno sguardo. Uno sguardo capace di accogliere le attese del prossimo. Tutti abbiamo bisogno di questo sguardo che ci riconosca e raccolga la nostra attesa e la nostra speranza, ma il Papa nella bolla di indizione del Giubileo evoca alcune persone in modo particolare cominciando proprio dalla famiglia. Quanto vorremmo essere una comunità cristiana che con amore volge il suo sguardo alle attese delle nostre famiglie. Una famiglia che non è lasciata sola, ma può contare sulla comunità. Poi il Papa ricorda i giovani, per uno sguardo che raccolga le loro attese. Quindi le persone con disabilità, gli anziani, i detenuti, i malati, i migranti, i grandi, i poveri. Questo è lo sguardo non solo del Papa, ma è lo sguardo di un amore giubilare per ciascuno.
Mi sembra che il rito, ma soprattuto la celebrazione che stiamo vivendo ci conduca a questa consapevolezza: la speranza nasce dall’amore. E l’amore assume la tonalità della dolcezza, che si scandisce in tante forme, alcune delle quali ho cercato di ricordare.
Viviamo un periodo di crisi. Una crisi politica, sociale, personale, ambientale, ma non dobbiamo aver paura. Del resto l’Eucaristia è la celebrazione della più grande crisi della storia: l’amore di Dio si è fatto uomo e noi l’abbiamo ucciso, ma Gesù trasforma questo momento di disperazione nel dono della speranza più grande.
La sua vita sta per essere presa con la forza, ma lui la fa diventare un dono per la vita di tutti.
L’umanità matura solo attraverso le crisi: se fuggiamo dalle crisi non cresceremo mai. Il grande segno della speranza è allora l’Eucaristia. Nel cuore della crisi più grande che è la morte di Cristo, sboccia la speranza più forte che è il frutto del suo amore incondizionato.
(trascrizione da registrazione)