Te Deum

Cattedrale
31-12-2024

Care sorelle e fratelli,
in questa celebrazione vorrei ricordare alcuni eventi della vita della nostra diocesi.

All’inizio dell’anno che sta concludendosi noi Vescovi di Lombardia abbiamo avuto la gioia di compiere la visita che periodicamente i Vescovi di tutto il mondo fanno alle tombe degli Apostoli e quindi a Pietro e al suo successore, il Papa. È stato un momento di grande intensità e familiarità nell’incontro con lui e tra noi.

Vorrei ricordare anche l’apertura – che ha visto molto consenso – della fase diocesana del processo di beatificazione di don Bepo Vavassori, il fondatore del Patronato.

Durante tutto l’anno si è dispiegato quello che ho chiamato il mio “pellegrinaggio pastorale” cioè la visita pastorale alle parrocchie, particolarmente nella fraternità di Zogno e della Val Serina, nella comunità ecclesiale di Scanzo – Seriate e poi ultimamente di Ghisalba, Romano, Spirano.

Vogliamo ringraziare Dio per i tre sacerdoti ordinati quest’anno e anche per un diacono permanente.

Durante l’anno ho vissuto un viaggio missionario a Cuba dove abbiamo diversi nostri sacerdoti e ultimamente anche un seminarista. È una terra molto molto molto provata. Le condizioni di questo paese sono pesanti e la fatica di vivere è molto forte. Voglio ricordare i nostri missionari a Cuba ma anche tutti i nostri missionari. Tra questi ricorda l’apertura di una nostra missione in Albania con la presenza di un sacerdote che da poco è partito per quel paese.

Una grande gioia è stata la beatificazione di Padre Luigi Carrara. Prete saveriano di Cornale che il Papa ha riconosciuto nella santità del martirio: è stato ucciso in Congo molto giovane.

Abbiamo celebrato con tutte le Chiese in Italia la prima assemblea sinodale nello scorso mese di novembre. Mille persone da tutte le diocesi. Bergamo aveva 5 rappresentanti in questa esperienza che vorrebbe promuovere la fede, l’annuncio del Vangelo, una vita ecclesiale significativa nella nostra nazione.

Permettete poi di ricordare l’avvenimento lieto della celebrazione e degli auguri molto condivisi al Vescovo Gaetano Bonicelli che ha compiuto recentemente 100 anni.

Infine, due giorni fa, l’apertura dell’Anno Giubilare con una partecipazione non solo numerosa ma sentita in questa nostra Cattedrale.

Ognuno è qui per ricordare i momenti gioiosi o dolorosi della propria vita personale, della vita delle proprie famiglie e dei propri cari dentro quell’orizzonte che è il dono del tempo.

Ogni volta che sentiamo annunciare il Vangelo avvertiamo quelle parole che spesso sfuggono ma che sono rilevanti: “in quel tempo”. È un tempo che si allontana, ma è anche l’inaugurazione di un tempo nuovo. Non è un guardare indietro a secoli prima, ma è farci prendere coscienza che da quel momento è cominciato un tempo nuovo.

Un tempo che è grembo di Dio. Gesù nasce dal grembo di una donna, ma l’apostolo aggiunge anche che Gesù nasce “nella pienezza del tempo”:”quando venne la pienezza del tempo – abbiamo ascoltato – Dio mandò il suo figlio, nato da donna”.

Il tempo che divora i suoi figli nella mitologia antica diventa il tempo nel quale Dio viene ad abitare trasformando il tempo in tempio.

Il tempo maledetto diventa benedetto, perché Dio viene ad abitarlo. Abbiamo sentito la benedizione che dalla presenza di Dio nel tempo scaturisce per tutti noi: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto, ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.

Per molti questo è un tempo maledetto, ma per tutti questo è un tempo benedetto, non dagli eventi, ma da un Dio che non si sottrae dagli eventi, ma in Gesù Cristo è diventato parte della nostra storia. Allora il tempo di Dio è il tempo del riscatto dalla disperazione, è il tempo in cui possiamo riconoscerci suoi figli, è il tempo in cui riceviamo un grande dono: il dono dello Spirito. Dice l’Apostolo: “non sei più schiavo, ma sei figlio; e se sei figlio sei anche erede per grazia di Dio”.

Questi sono i motivi per cui diciamo grazie: non per una maggiore o minore fortuna, ma per la speranza che in Gesù attinge come ad una sorgente inesauribile. Ed è così che vogliamo vivere l’Anno Giubilare, attingendo la speranza da Gesù.

La fortuna spesso ingombra la strada verso Dio, la ingombra più della disgrazia, perché ingombra la strada della riconoscenza.

Non siamo riconoscenti per la disgrazia ma per la fiducia in Dio, per la fiducia che Dio anche dalla disgrazia è capace di cavarne una grazia.

Il nostro non è il grazie del fariseo: “ti ringrazio perché non sono come gli altri”.

Non è neppure il grazie del fortunato: “ringrazio perché mi è andata bene”.

Non è neppure il grazie del salvato: “ecco io mi sono salvato” e forse accanto a te c’è qualcuno che non si è salvato.

Non è neppure il grazie del beneducato, seppur è cosa buona.

Il nostro è il grazie del credente.

Quando ripenso alla gratitudine del credente mi viene spontaneo ricordare un passaggio bellissimo ne “I promessi sposi”. L’Innominato si è convertito, Lucia è stata ricoverata nella casa del sarto. Lui torna con i suoi figli dall’Eucaristia e racconta la predica del Cardinale. Ad un certo punto dice che ha fatto vedere “che ancor che ci sia la carestia, bisogna ringraziare il Signore ed essere contenti; far quel che si può; industriarsi; aiutarsi; e poi essere contenti perché la disgrazia non è mica patire ed essere poveri, la disgrazia è fare del male. E non son mica belle parole perché si sa che anche il Cardinale vive da pover uomo e si cava il pane di bocca per darlo agli affamati”.

Noi diciamo grazie per quello che riconosciamo come dono e vogliamo diventare noi stessi dono per coloro che faticano a dire grazie: i devastati, gli abbandonati, i desolati, i disperati. Diciamo grazie in questa Eucaristia e diciamo grazie con la nostra vita donata a chi il Signore ci affida.

Gli anni passano. Rimane Dio e il bene che abbiamo compiuto.

Diciamo grazie nella speranza. Concludo allora con le parole che il Papa ci rivolge nella Bolla di indizione dell’Anno Santo: “Nel battesimo, sepolti insieme con Cristo, riceviamo in lui risorto il dono di una vita nuova che abbatte il muro della morte, facendo di essa un passaggio verso l’eternità. E se di fronte alla morte, dolorosa separazione che ci costringe a lasciare gli affetti più cari, non è consentita alcuna retorica, il Giubileo ci offrirà l’opportunità di riscoprire con immensa gratitudine il dono della vita nuova ricevuta nel Battesimo in grado di trasfigurarne il dramma”.

Care sorelle e fratelli, cari sacerdoti, nelle mani di Dio mettiamo la nostra speranza. A conclusione di questa Eucaristia canteremo il Te Deum. Le ultime parole dell’inno sono: “Sia sempre con noi la tua misericordia: in te abbiamo sperato! Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”.

(trascrizione da registrazione)