Care sorelle e fratelli,
ben ritrovati a questo appuntamento di preghiera con il Santo Rosario nel mese di maggio. In questi mesi abbiamo pregato con intensità a partire da una prova che ci ha coinvolto tutti e che ha visto protagonisti tante persone che abbiamo ricordato di volta in volta in modo particolare.
Non possiamo dimenticare quella comunità fondamentale che è rappresentata dalla famiglia. Desidero pregare ancora una volta in modo particolare per tutte le famiglie. Hanno vissuto una condizione particolarissima e si sono rivelate una forza troppo spesso sottovalutata.
Ho pensato come nelle famiglie ci fossero anche situazioni delicate e difficili che pure hanno dovuto essere portate durante questa crisi. Tra queste ci sono quelle rappresentate da persone diversamente abili che sono un dono, ma nello stesso tempo un grande impegno. Era mio desiderio dare voce a queste famiglie e pregare tutti per queste famiglie.
Ho pensato allora di venire in una casa che racconta una grande storia, molto lunga, di testimonianza di fede e di carità che vede nella figura di un Santo, il Beato don Luigi Palazzolo, sacerdote della nostra diocesi di Bergamo, che tra qualche mese sarà canonizzato da Papa Francesco e riconosciuto nella pienezza della sua santità. Insieme a Madre Gabrieli ha dato vita alla comunità religiosa delle Suore delle Poverelle, consacrate alle persone nella loro fragilità. Qui a Grumello del Monte sono ospitati, accolti, accompagnati, curati, valorizzati coloro che portano i segni di una diversa abilità, come ci siamo abituati a chiamare.
Sono felice che questa preghiera salga a Maria e per sua intercessione al Signore Gesù proprio da questo luogo, testimonianza di una carità alla quale consacrare tutta la vita per le persone che maggiormente rivelano quei tratti di fragilità che appartengono comunque a tutti, a volte più evidenti, altre volte più nascosti.
***
Care sorelle e fratelli,
carissime Suore delle poverelle,
carissima comunità di Grumello del Monte,
carissimi tutti,
l’intensità della nostra preghiera oggi è dettata da ciò che interpella il nostro cuore e che ha sempre interpellato il cuore di Gesù: tutta la sua vita è stata una consegna e una risposta a quell’appello al suo cuore che viene da ogni condizione umana di debolezza, di fragilità o anche di peccato.
Non dimenticheremo mai le sue parole nella parabola del giudizio finale, con le quali Gesù si identifica con il povero, con il malato, con l’affamato, con l’assetato, con l’emigrato, con il carcerato, con l’ignudo. Gesù dice – e lo abbiamo imparato bene – ogni volta che avete corrisposto a questa condizione umana limitata, lo avete fatto proprio a me.
È una delle grandi parole evangeliche che fa da luce, da guida, da criterio della nostra esistenza e delle nostre relazioni con il prossimo.
Gesù si identifica con la persona nella sua condizione di limite, ma c’è qualcosa che ancora di più ci stupisce: la possibilità per noi di identificarci con lui nel momento stesso in cui corrispondiamo a questo bisogno. Ogni volta che un uomo o una donna, un cristiano ci auguriamo, una persona consacrata, si dispone a dar risposta a queste condizioni segnate dalla fragilità, in quel momento lui stesso si fa somigliante presenza di Gesù presso gli uomini.
È Gesù che ci apre questa via. Pensate che bello. Il limite – lo dice la parola stessa – è di per sé qualcosa che ferma, è qualcosa che interrompe, è qualcosa che chiude. Gesù invece apre, spalanca una via, sembra quasi che sfondi il limite.
E lo fa con questo criterio, con questo sentimento, con questo comandamento, con la sua stessa vita tutta impregnata dall’amore per il prossimo, dall’amore per l’uomo. Questo è il nostro Dio: un Dio che ama sconfinatamente l’uomo al punto tale da aprire vie lì dove il limite sembra segnarne l’impossibilità.
Alla luce di questo principio evangelico fondamentale, che deve essere guida ad ogni nostra azione nei confronti di ogni persona, noi riconosciamo che i diritti delle persone nella loro debolezza non sono mai abbastanza.
La dignità della persona, soprattutto quando rivela la sua fragilità, esige una giustizia. La dignità di ogni persona umana esige l’esercizio della giustizia che non sostituisce la carità, ma in qualche modo – dobbiamo dirlo – la giustizia è la prima forma della carità.
Papa Benedetto XVI in una sua lettera, che non vogliamo e non possiamo dimenticare, “Caritas in veritate”, la carità nella verità, dice: “La carità supera la giustizia perché amare è donare, offrire del mio all’altro, ma non è mai senza la giustizia. Non posso donare all’altro del mio senza avergli dato in primo luogo ciò che gli spetta secondo giustizia. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità, ma la giustizia è inseparabile dalla carità. La giustizia è la prima via della carità. La carità esige la giustizia, il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti, soprattutto di chi è più debole”.
Vogliamo ricordarcelo, cari fratelli e sorelle, in nome di quella dignità che appartiene ad ogni persona umana e in nome di quella sorgente evangelica che ci è stata consegnata nelle parole del comandamento dell’amore, nella identificazione di Cristo con la persona nel suo limite e nella identificazione di noi con Cristo quando rispondiamo a questo limite.
D’altra parte ci rendiamo conto che ci possono essere infiniti diritti a cui deve corrispondere la giustizia, ma c’è un’attesa che non può diventare un diritto: dire “il diritto l’essere amati” non esprime ciò che il cuore dell’uomo sente. La parola “diritto” qui non rende ragione di ciò che l’uomo spera. È piuttosto un’attesa, un desiderio.
Il nostro cuore, il cuore di ogni persona umana, il cuore della persona che ci sembra più limitata, il cuore di una persona che non ci sembra essere presente, il cuore di tutti attende l’amore. È un’attesa di infinito. Non è soltanto un bisogno, non è soltanto un diritto: è una grande attesa, è una infinita attesa, che accumuna tutte le persone umane, quelle che ci sembrano le più consapevoli e quelle più inconsapevoli. Ogni persona è in attesa non soltanto di un gesto di pietà, non soltanto della risposta al suo bisogno, ma di amore.
C’è un bellissimo episodio in un grande scrittore, Ennio Flaiano, padre di una figlia gravissimamente disabile. Quest’uomo piuttosto asciutto e distaccato, nei confronti della figlia invece dimostrava un amore sconfinato. Non si dichiarava credente, ma si immagina un racconto in cui Gesù un giorno scende di nuovo sulla terra. Attorno a lui si fa un folla: tutti lo vogliono incontrare, tutti lo vogliono toccare, tutti chiedono un miracolo. Lui vede se stesso avanzare in mezzo a questa folla, che si apre davanti a lui, mentre tra le braccia porta questa sua figlia davanti a Gesù, a cui rivolge questa preghiera: “Non ti chiedo che tu la guarisca, ma che tu la ami”.
Anche lui, che non si dichiarava credente, mostra la più grande attesa: l’amore.
È il modo con cui noi possiamo raggiungere tutte le persone anche quando ogni soluzione umana ci sembra diventare impossibile: l’amore non è mai impossibile.
E dà ragione di quella dignità di cui dicevamo: ogni persona è irriducibile. Non si la può ridurre al suo corpo che ha bisogno di salute, al suo spirito che ha bisogno di serenità, alla sua intelligenza che ha bisogno di conoscenza, alle sue potenzialità e capacità che hanno bisogno di potersi esprimere. La persona è sempre più grande di ognuna di queste dimensioni, di ognuna di queste caratteristiche. Soltanto l’amore rende ragione della irriducibilità di ogni persona umana, anche quella segnata dalla più grave fragilità.
Care sorelle e fratelli, abbiamo pregato per queste persone, ma queste persone, che sono limitate nel corpo ma a volte hanno una grande potenzialità di spirito e di intelligenza, in qualche modo con la loro stessa vita, a volte anche solo con uno sguardo o un sorriso o una parola, sono una preghiera vivente per noi. Una preghiera anche sofferta, ma vivente.
La comunità – non dimentichiamolo – non solo di fa vicina a questa persone, ma viene avvicinata dal Signore attraverso queste persone.
Abbiamo ricordato le famiglie. Qui c’è una casa, una famiglia, una grande storia, c’è il Beato Palazzolo con le sue figlie che continuano l’opera, ci sono le persone che sono ospitate, curate, accompagnate; ci sono gli operatori che si adoperano. Non può mancare la famiglia che è la comunità cristiana.
Le nostre parrocchie in questo tempo di pandemia hanno scoperto delle vie che prima percorrevamo magari senza esserne tanto consapevoli: ci siamo resi conto di quanta importanza ha la comunanza nella sofferenza, nella prova, nel limite. Una enorme lezione di vita! Non torniamo semplicemente a correre e a lavorare come se tutto questo non fosse importante.
La comunità intera possa esprimere questa meraviglia di Dio che attraverso chi è più debole ci interpella, che attraverso chi è più debole ci ama, che attraverso chi è più fragile spalanca il nostro cuore alla capacità di amare.
L’intercessione del Beato – presto Santo – don Luigi Palazzolo e di Maria Santissima che abbiamo invocato nel Santo Rosario ci accompagnino.