La questione, nel momento della creazione di una nuova opera d’arte è questa: “In ciò che vediamo, c’è più di quello che riusciamo a vedere solo con gli occhi?”. E la risposta è sempre sì. Persino nell’oggetto più umile possiamo trovare ciò che cerchiamo — bellezza, verità, realtà, divinità — e queste qualità non le crea l’artista: lui le scopre soltanto, nel momento in cui inizia a dipingere.
Questo sguardo che vede di più è quello che esige il Natale: non basta guardare, non basta neppure vedere. Per comprendere bisogna amare. Succede proprio così nel Natale: l’invisibile, diventa visibile; si offre ai nostri sensi, alla nostra conoscenza, ma non si ferma lì. Gesù cerca il nostro cuore, risuscita la nostra capacità di amare, di credere, di vedere oltre le cose.
Il Natale di Gesù alimenta il nostro desiderio e continua a nutrirlo anche quando il giorno tramonta. Passato il Natale si smontano gli addobbi, si spengono le luci, si ripongono alberi e presepi e anche i desideri e i propositi vengono riposti negli scatoloni per il prossimo anno; ma se il nostro sguardo ha riconosciuto Gesù, non riusciremo a smontare i desideri che il suo Natale ha risvegliato.
Si tratta di un desiderio di paternità e di maternità che, se pur, a volte deformato, non può essere mortificato. Ci è stato donato un Figlio, perché potessimo riconoscerci figli come Lui. Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio». Abbiamo bisogno di figli, in un mondo che sembra avervi rinunciato: insieme a tutte le condizioni materiali e sociali necessarie, il Natale ci consegna la meraviglia e la bellezza dell’essere figlio, come Gesù, di vivere la relazione con il Padre come Lui. Abbiamo pensato che la nostra autonomia, indipendenza e maturità richiedesse l’eliminazione del padre e ci siamo ritrovati semplicemente orfani, figli di madre vedova, riottosi a diventare padri.
Il Natale risveglia quella che non si risolve in una semplice necessità, in un tratto della cultura bergamasca, ma in un intimo desiderio: che parole, programmi, progetti, diventino veri, diventino realtà. Non ci basta l’organizzazione, la politica, i servizi: tutte risposte necessarie, ma insufficienti. Non ci bastano neppure i soldi e il potere. Abbiamo bisogno di uomini, donne, dei loro volti, dei loro sguardi, delle loro intelligenze, del loro cuore, del loro corpo. Nessuna realtà virtuale, nessun robot, potrà corrispondere al desiderio di incontrare finalmente una persona umana, veramente umana, intensamente umana. Dio si è fatto uomo, perché potessimo credere in Dio e nell’uomo. Si è fatto umano, perché potessimo credere all’amore, si è fatto povero, perché questa ne è la misura. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
Nel Natale Dio si è fatto ospite: Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Il Natale risveglia il desiderio di ospitalità: attendiamo tutti di essere accolti, non soltanto oggi, non soltanto per finta, per convenienza, per un attimo. Abbiamo sostituito l’ospitalità con l’ostilità, e ci siamo ritrovati soli. Abbiamo bisogno di ospitalità e rischiamo di passare la vita senza corrispondervi, ingabbiati nelle nostre paure, estranei a chi ci è vicino, ripiegati su noi e il nostro particolare: solo l’incontro ci salva, l’incontro generoso, l’incontro cordiale, l’incontro ospitale. Lì scopriamo la gioia: la gioia della solidarietà non solo delle opere ma delle persone, la gioia della condivisione di ciò che abbiamo e di ciò che siamo nelle nostre diversità, la gioia dell’umiltà che non solo riconosce il proprio limite, ma si lascia accogliere nel proprio limite. Il Natale di Gesù è l’offerta gratuita di un’ospitalità quotidiana e, più ancora, la richiesta umile e disinteressata di ospitalità, confidando nel fatto che la fiducia genera fiducia e libera le forze creatrici del faccia a faccia, segno discreto della presenza dello Spirito. Una «presenza» ospitale dei cristiani presso i loro concittadini può avere un impatto importante sul clima globale della società e ripristinare la fiducia: nelle loro famiglie, nelle scuole e istituti di formazione, nelle postazioni del loro lavoro, nella vita associativa e politica, nelle condizioni di sofferenza e fragilità. «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Ebrei, 13, 2).
L’augurio natalizio apre il cuore alla speranza: il giorno di Natale tramonta, i desideri suscitati dal Vangelo del Natale, trovino risposta in ciascuno di noi.