02-02-2018
Care sorelle e fratelli,
care sorelle e fratelli consacrati al Signore,
cari presbiteri, Abate Giordano, Vescovo Serafino,
desidero all’inizio di queste riflessioni salutarvi personalmente e attraverso di voi salutare tutte le vostre comunità e ringraziarvi anche per il dono della vostra partecipazione a questa celebrazione diocesana della Presentazione di Gesù al tempio, nella 22ma giornata mondiale della vita consacrata.
Grazie di cuore perché vivo la vostra presenza come un segno rinnovato di profondissima comunione al servizio del Signore e del suo Vangelo.
Abbiamo ascoltato parole conosciute, sempre capaci per opera dello Spirito di toccare profondamente il cuore. Gesù è presentato al tempio e la testimonianza del Vangelo di Luca e di Matteo è del tutto trasparente rispetto a questo gesto compiuto da Maria e da Giuseppe. Appaiono poi queste due figure, Anna e Simeone.
Simeone parla e le sue parole ci sono consegnate. Parole misteriose e inquietanti rivolte a Maria. Parole luminose rivolte a Dio che diventeranno per sempre il suo “cantico” che ogni sera noi ripetiamo.
Gesù viene consacrato al Signore perché ogni primogenito, secondo la legge di Mosè, deve essere consacrato al Signore. Ciò ci sorprende. Anche noi cristiani del XXI secolo che ascoltiamo ancora queste parole e questa testimonianza alimentando la nostra fede siamo di fronte alla sorpresa che questo primogenito consacrato “al” Signore, è il primogenito di Dio, è il consacrato “del” Signore.
La consacrazione al Signore è preziosa, appartiene comunque già alla grande storia dell’Israele antico, ma qui siamo di fronte ad una assoluta novità: questo è il primogenito di Dio ed è il suo consacrato.
Tutto questo non lo ripetiamo soltanto a parole, ma lo vediamo in quella storia di salvezza che per noi è assolutamente decisiva: la storia del popolo di Dio, dell’antico Israele. Dirà Simeone: “Gloria tu sei del tuo popolo Israele”.
Nello stesso tempo vediamo incarnate queste parole in una persona: è un bambino, di nome Gesù: lui è “la luce per rivelarti alle genti”.
Come tutti sappiamo vi è una traduzione ufficiale della Chiesa italiana, recentemente riproposta con alcune variazioni significative. Le traduzioni possono essere diverse, quella ufficiale diventa quella comunitaria che viene utilizzata nella celebrazione liturgica. Noi ci troviamo nella condizione tutte le sere di ripetere il cantico di Simeone con parole leggermente diverse a quelle che abbiamo sentito annunciare poco fa nella liturgia. Infatti noi siamo abituati a ripetere “luce per illuminare le genti”, mentre la nuova traduzione dice “luce per rivelarti alle genti”.
È importante illuminare le genti e Gesù è luce per illuminare le genti. Anche nel nostro percorso con le nostre piccole luci noi abbiamo illuminato il giorno che sta finendo e il fascino di queste scintille portate da donne e uomini evidentemente consacrati al Signore è stato rimarcato dalle persone che ci osservavano in silenzio.
C’è bisogno di luce! Non è riferito solo al tempo di Gesù quando l’oscurità percepita era un’evidenza. C’è bisogno di luce anche in un mondo a volte sovra-illuminato come il nostro.
Queste parole risuonano in maniera ancora più intensa nella traduzione che ora ci è offerta: “luce per rivelarti alle genti”. Gesù è quella luce che rivela a tutti gli uomini, a tutti i popoli il volto di Dio.
Care sorelle e fratelli, celebriamo ancora una volta la giornata mondiale della vita consacrata, che il Santo Papa Giovanni Paolo II ha voluto istituire nel 1997. Aveva sostenuto la proposta di questa giornata con dei motivi che voglio ricordare perché non li dimentichiamo: “Lodare e benedire il Signore per il dono della vita consacrata alla sua Chiesa; alimentare nel popolo cristiano la coscienza di questo dono e sostenerlo presso il popolo cristiano, con la possibilità che da questo popolo nascano risposte alla chiamata alla vita consacrata”. Finalmente, come terzo motivo, il Santo Papa indicava “la rinnovata consapevolezza da parte dei consacrati della loro vocazione e missione”.
Come eco delle parole che abbiamo ascoltato dal Signore e che io ho cercato di riconsegnarvi, vorrei invitarvi ad essere ognuna e ognuno, come persone consacrate, testimoni di vita.
La luce è necessaria alla vita e noi abbiamo bisogno di luce perché abbiamo bisogno di vita. Fatichiamo a vedere. Fatichiamo a vivere. Il Signore vi chiede di essere testimoni di vita. Testimoni della vita. Non della vita consacrata, ma della vita umana. Di quella vita che Gesù è venuto a promuovere e ad esaltare: “sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza”.
Care sorelle e fratelli, a fronte di possibilità di vita immensamente maggiori rispetto anche a quelle che i le più anziane e i più anziani tra noi hanno potuto sperimentare nella loro giovinezza, noi paradossalmente ci troviamo di fronte ad una maggiore fatica a vivere.
Che voi, giovani e anziani, possiate essere testimoni di vita! Chiamati alla vita, chiamati a vivere in un contesto così plurale in cui ognuno ha la sua idea di vivere, ha la sua immagine di vita. Oggi è come se ognuno fosse portatore non solo di un modo di vivere, ma addirittura di una idea di vita. Un tempo – lo sappiamo molto bene – tutto era più omogeneo e forse omologato. In questo nostro contesto plurale in cui tutti portano la loro idea di vita, le persone consacrate sono chiamate a testimoniare quella vita che è frutto della fede, che è frutto con l’incontro con il Cristo, il vivente.
Care sorelle e fratelli, ci avviciniamo alla celebrazione di un Sinodo dei Vescovi assolutamente rilevante. Non sottovalutiamo questo Sinodo. L’attenzione alle giovani generazioni è espressione della speranza della Chiesa, ma la Chiesa deve essere testimone della speranza di tutta l’umanità nei confronti delle giovani generazioni.
La vocazione è assolutamente decisiva nel modo di concepire la vita perché la prima chiamata è proprio la chiamata alla vita, la chiamata a vivere. Tutti voi, tutte voi, siate testimoni di questa chiamata a vivere! Non semplicemente a sopravvivere o a trascinarsi nella vita.
La testimonianza che vi sto proponendo è alimentata alla sorgente della vita. La vita ha una sorgente, ogni vita ha una sorgente. Noi vogliamo testimoniare l’inesauribile sorgente che è il Signore nella sua paternità: Dio padre creatore è la sorgente della vita; Gesù Cristo il risorto è sorgente della vita; lo Spirito è sorgente di vita.
A volte sembra che per molti la sorgente della vita si sia inaridita. Essere testimoni della sorgente della vita vuol dire indicare attraverso la nostra umile e modesta esistenza dove sta la sorgente inesauribile della vita e possibilmente mostrare che questa sorgente non sta qua o là, ma sta in noi. Che possano vedere in noi la sorgente della vita!
Questa testimonianza della sorgente della vita che affido e che riconosco in tutti e tutte voi, vogliamo particolarmente riconoscerla in quella dimensione della vita consacrata che è la contemplazione e quindi in questo momento ricordare le comunità monastiche che sono presenti nella nostra Chiesa diocesana. Come all’inizio ho ringraziato tutti e tutte voi e attraverso voi le vostre comunità, desidero salutare e ringraziare le comunità monastiche della nostra Chiesa. Sono testimoni viventi, particolarmente provocanti, della sorgente della vita.
Non voglio dimenticare le tante persone consacrate, religiose e religiosi, anziani, malati e infermi, testimoni della sorgente della vita. Spesso sono persone che hanno operato con grande generosità nelle diverse opere che i carismi hanno incarnato ed ora si trovano in una condizione di debolezza, di limite. Nelle visite che il Signore mi concede di fare, vedo la meraviglia di quello che rappresenta la sorgente della vita.
Vorrei dirvi che le molteplici opere che mettiamo sotto il segno della testimonianza dell’amore, di quel rivelare il volto di Dio che è amore, sono testimonianza non delle ragioni della vita, ma della ragione della vita, della ragione per cui si vive, del motivo per cui si vive. Care sorelle e fratelli, le opere – le più diverse – legate alla ricchezza dei carismi, rappresentate da tutte le vostre comunità, non solo sono segno rivelatore dell’amore di Dio, “luce per rivelarti alle genti”, ma sono concretamente la possibilità per tutti gli uomini di cogliere quale è la ragione della vita, di cogliere il motivo per vivere.
Il motivo per vivere è proprio l’amore e quell’amore inesauribile che è l’amore di Dio. Noi lo testimoniamo parzialmente, ma in questa parzialità vogliamo mostrare la ricchezza inesauribile della ragione della vita che è l’amore e l’amore di Dio.
Testimoniare la vita nella sua varietà, che non è soltanto la varietà dei carismi, che non è soltanto la varietà delle personalità di ciascuno di noi. Siamo chiamati a testimoniare la varietà della vita che è chiamata a formare una armonia.
Care sorelle e fratelli, non voglio ritornare su quella sensibilità o convinzione che vi appartiene, perché gran parte della vita consacrata prende poi la forma della comunità, dove il tema della diversità e della comunione è quotidianamente declinato nella sua fatica ma anche nella sua profezia. Soprattuto nel mondo contemporaneo, dove il tema della varietà e della pluralità è certamente presente, ma il tema dell’unità diventa sempre più dimenticato. Lo constatiamo giorno dopo giorno.
Non pensate che la vostra piccola comunità sia debole o insignificante rispetto a questi processi che investono il mondo. La dimensione della vicenda di Gesù è tutta sotto questo segno, però è diventata generativa di un mondo nuovo. Noi siamo chiamati a mantenere questa generatività.
Oggi poi questa varietà nelle comunità religiose è rappresentata proprio anche concretamente da persone che vengono da Paesi diversi, culture diverse, sensibilità diverse, unite dall’unica fede, dall’unica vocazione, da un’unica risposta, in un continuo intrecciarsi di varietà e comunità. Non nascondiamo le fatiche che conosciamo tutti, ma non sottraiamoci a questo segno veramente profetico in un mondo connotato da una pluralità che ci sorprende ogni giorno perché sembra moltiplicarsi all’infinito e così faticosamente capace di ricostituire ragione di unità.
Infine, vi chiedo di essere testimoni di speranza per la vita di tutti.
Testimoni di vita, testimoni della sorgente della vita, testimoni della ragione della vita, testimoni della varietà della vita e finalmente testimoni della speranza per la vita di tutti.
Sotto questo profilo metterei la riforma che ridisegna gli attuali vicariati locali in quelle che abbiamo chiamato “Comunità Ecclesiali Territoriali”. Non si tratta di un disegno puramente organizzativo, si tratta piuttosto di corrispondere a questa ulteriore chiamata del Signore che ci manda a comunicare la sua vita a tutti gli uomini, a comunicare la speranza della vita che viene dalla fede.
Sotto questo profilo le vostre comunità religiose diffuse in tutta la diocesi sono veramente un dono di Dio per questa missione. Le terre di missione non soltanto sono Paesi lontani dai nostri, ma sono le “terre esistenziali”, quelle che appunto con la riforma che ci stiamo proponendo vorremmo raggiungere perché la vita – la cui sorgente è nel Cristo vivente – possa raggiungere la vita di tutti gli uomini, come un fiume con le sue acque limpide.
Care sorelle e fratelli, chiedo scusa se mi sono un po’ prolungato, ma desideravo in questa Eucaristia ricordare ciò che ai vostri occhi forse non appare, perché tutto questo lo vivete. Desideravo restituirlo perché ne siate consapevoli e possiate benedire il Signore insieme con me.
Mi ha colpito questa espressione di Thomas Merton che mi sembra particolarmente pertinente a ciò che ho voluto ricordare: “Penso che oggi sia importante lasciare che Dio viva in noi, in modo che gli altri possano sentire Dio e credere in Dio perché sentono Dio vivere in noi”.
(trascrizione da registrazione)