S. Natale – Pontificale in Cattedrale

25-12-2017
Care sorelle e fratelli,
 
fra le tante componenti che fanno il Natale vi è certamente la musica e i canti natalizi, che soprattutto negli ultimi secoli hanno assunto delle caratteristiche particolari che ce li fanno riconoscere subito e che in qualche maniera sono capaci di connotare questi giorni, sia perché tutti abbiamo piacere ne risentirli, sia perché li riteniamo profondamente uniti ai giorni del Natale. Udire canti natalizi in un altro momento dell’anno avrebbe tutt’altro effetto.
 
Ancora una volta ci confermiamo come la musica e il canto siano capaci di toccare la nostra sensibilità, di emozionarci, di arrivare fino nel profondo dei nostri sentimenti.
 
È proprio per questo ci appare strano e in qualche modo vorremmo resistere ad una realtà che sembra contraddire quanto abbiamo detto: se la festa è spesso contrassegnata dal canto, noi siamo donne e uomini che stanno vivendo fortemente il cosiddetto disincanto. Noi siamo donne e uomini disincantati. Forse anche per questo ci riesce più difficile cantare, perché siamo una generazione di disincantati.
 
I disincantati sono donne e uomini che non si lasciano più toccare da ciò che il canto rappresenta, dall’armonia. Il disincanto è la nostra condizione: un disincanto sofferto. noi che siamo qui vogliamo ancora alimentare un desiderio e una resistenza al disincanto, ma l’atmosfera è invece proprio questa: non ci facciamo più incantare da nulla e da nessuno. Molti nemmeno dall’esperienza della fede, dalla meraviglia che esteriormente mantiene il Natale nei suoi connotati. Anzi, proprio nei confronti della fede in Gesù Cristo molti ormai sono del tutto disincantati.
 
Una qualche ragione c’è e non sta soltanto nella debolezza, nell’oscurità e nel peccato dei cristiani, ma sta anche nel fatto che – care sorelle e fratelli – noi stiamo celebrando la nascita di Gesù da ben duemila anni e forse ci siamo un po’ abituati, forse abbiamo detto tutto quello che avevamo da dire e abbiamo sperimentato tutto quello che dovevamo sperimentare. E non ci sembra che tutto questo abbia portato molto alla vita del mondo e degli uomini, sembra quasi di ricominciare ogni volta tutto da capo.
 
Forse questo è proprio importante: la nascita di un bimbo, di qualsiasi bimbo, è sempre un ricominciare da capo. Non ci si abitua mai. È una novità che si impone paradossalmente non con la potenza e la forza, che non appartengono alla figura di un bimbo, ma in quella novità della vita che continuamente si presenta nella sua originalità sorprendente.
 
Siamo esposti al disincanto e nello stesso tempo facciamo fatica a resistere all’incanto della vita, al canto della vita.
 
Vi è un’altra immagine che in questi giorni ricorre in un modo particolare ed è l’immagine del presepe. Si realizza da tanti secoli e sembra ritornare con attenzione significativa in questi anni, realizzato nei modi più diversi. Una delle forze attrattive che il presepe ha è proprio la diversità con la quale viene realizzato. Molto spesso a fronte di presepi molto essenziali, ve ne sono di ricchissimi di paesaggi, di dettagli, di personaggi. I personaggi vogliono rappresentare la vita quotidiana di un paese, la vita quotidiana degli uomini con il loro lavoro, le loro case, i loro affetti, le loro preoccupazioni, le loro luci e le loro ombre. Questo avviene in modo particolare nei presepi viventi, che sono incentrati attorno alla capanna di Gesù con Maria e Giuseppe, ma poi ci rappresentano una civiltà con i suoi mestieri e la sua vita quotidiana.
 
Tutto questo sta a dirci due cose. Innanzitutto che attraverso questa rappresentazione noi vorremmo narrare il mistero di un Dio che viene ad abitare la vita proprio nelle sue dimensioni quotidiane. La realtà, la sorpresa, il mistero del Natale sta proprio in questo fatto: non è un Dio che giunge agli uomini su un carro di fuoco, piuttosto che sulle nubi del cielo, ma è un Dio che entra nella vita degli uomini in condizioni di assoluta quotidianità, facendosi vicino non sono ai momenti eccezionali dell’esistenza umana, ma a quelli più normali.
 
Nello stesso tempo a volte ho l’impressione che questa vita quotidiana rappresentata nei presenti dica anche una certa indifferenza: la vita scorre, un bambino nasce tra i tanti che sono nati sulla faccia della terra e nulla cambia.
 
Care sorelle e fratelli, queste considerazioni che si accompagnano alla nostra celebrazione e alla vostra fede ci portano a considerare la celebrazione del Natale che ricorre ogni anno come una possibilità che Dio ci offre.
 
Vorrei sottolineare particolarmente questo: il Natale come una possibilità che Dio ci offre.
 
Abbiamo udito nel Vangelo dell’annunciazione che l’angelo dice a Maria: “niente è impossibile a Dio”. Molto spesso noi siamo convinti che all’uomo nulla sia impossibile, siamo i testimoni di un progredire di cui non vediamo assolutamente la fine: dai tempi di Gesù evidentemente è avvenuto un cammino di progresso della condizione umana che ci fa immaginare che nulla ci sia impossibile. A Dio nulla è impossibile? Ma anche all’uomo.
 
Nello stesso tempo avvertiamo che questa moltiplicazione di possibilità oggi – che anche solo qualche anno fa non potevamo neanche immaginare – sembra non siano capaci di acquietarci, sembra non siano capaci di darci sicurezza. Anzi, siamo sempre più insicuri nonostante abbiamo molte più possibilità. Avvertiamo una precarietà che stando al progresso di cui siamo protagonisti non dovrebbe aver ragione. È come se mantenessimo nel profondo di noi una continua attesa di una possibilità nuova.
 
Non solo, ma dobbiamo ammetterlo che spesso ogni miglioramento delle condizioni di vita è esposto ad una smentita: la salute, la tranquillità familiare, il lavoro.
 
In questi giorni il Natale ci fa considerare in quest’ottica anche il grande tema della pace. Abbiamo vissuto per decenni in pace e nemmeno questa ci appare più scontata. I fenomeni di violenza, di terrore, la stessa guerra sembra rappresentare un orizzonte al quale non pensavamo da tempo se non relegandolo in Paesi lontani dai nostri.
 
Tutto questo ci dice che il Natale è una possibilità offerta da Dio. Una possibilità che evidentemente non ha a che fare con il potere: “io posso”, “io mi posso permettere”, “io a partire dai mezzi che ho o dalle esperienze che ho fatto posso…”. Quel “posso” spesso diventa espressione di una salvezza che noi riteniamo consista nel potere: tanto più posso tanto più mi riscatto, tanto più sono salvo.
 
In questo senso abbiamo udito nel Vangelo che Dio è venuto nel mondo nel suo Figlio che si è fatto uomo, ma il mondo no lo ha riconosciuto e tanto meno lo ha accolto. Non perché il mondo sia cattivo, ma perché ha logiche diverse, che non sono quelle della possibilità di Dio.
 
Tutto questo lo possiamo riconoscere nel fatto che la possibilità di Dio si rappresenta e si manifesta in un bambino che nasce: Dio che nasce alla vita degli uomini come tutti gli uomini, anzi tra i più poveri degli uomini. La nascita del figlio di Dio è proprio caratterizzata da questo: sembra proprio la rappresentazione dell’impotenza totale a fronte della attesa di una potenza risolutiva.
 
Cari fratelli e sorelle, noi da cristiani abitiamo dentro queste considerazioni e vogliamo accogliere anche quest’anno la possibilità che Dio ci offre.
 
La possibilità di Dio non è nel segno del potere, ma è nel segno di una gratuità radicale.
 
È di questa che noi abbiamo essenzialmente bisogno. Noi abbiamo bisogno di una radicale gratuità. Viviamo nel mondo della necessità, ciò che facciamo è tutto contrassegnato dalla necessità. La gratuità invece rappresenta la sorpresa.
 
Qualche volta abbiamo deformato anche la gratuità facendola diventare qualche cosa che non vale: è gratis, non costa niente e quindi non vale niente.
 
La gratuità soprattutto in questo tempo ci sorprende: il gesto, l’amore, il dono che non ha motivo se non in se stesso.
 
Gratuità vuol dire che se io mi impegno per la giustizia non lo faccio per la mia giustizia e per il mio interesse. Tutti siamo sensibilissimi alla giustizia, ma perché riguarda me, riguarda i miei diritti, riguarda il mio interesse. Gratuità vuol dire che la giustizia è un bene in se stesso e quindi io mi impegnerò nel mio piccolo per questo bene gratuitamente, perché è un bene in sé, come è un bene la libertà, come è un bene la verità. Non lo faccio per il mio interesse per vedere quanto ci porto a casa, ma lo faccio perché è vero, perché è giusto, perché è libero, lo faccio perché è buono.
 
Cari fratelli e sorelle, questa è la gratuità che Dio ci rappresenta in maniera totalmente radicale affidandosi a noi. Affidandosi: è il rischio più grande per Dio. Dio si affida alle nostre mani. Il bambino Gesù è proprio la rappresentazione di un Dio che si affida alle mani dell’uomo.
 
Così ci rivela la strada da percorrere: in un mondo in cui il contrassegno è la necessità, in un mondo in cui il contrassegno è il calcolo degli interessi, la gratuità è sorprendente.
 
Cari fratelli e sorelle, vogliamo raccogliere dal Natale di quest’anno questo messaggio: l’amore che è necessario, che tutti noi attendiamo, che così decisamente è capace di trasformare la vita è un amore gratuito, è un dono.
 
I nostri doni di questi giorni siano rappresentazione di questa gratuità e non nascondano un segreto interesse.
 
Il messaggio del Natale di quest’anno ci dice della gratuità di Dio: Dio si dona, senza alcuna remora, senza alcun interesse si affida alle nostre mani. Che ciascuno di noi, nella sua vita quotidiana, possa riconoscere il dono che è l’altro, ciascuna delle persone che ci avvicinano, che vivono con noi. Scoprire il dono gratuito dell’altro come il dono che Dio ci sta facendo: questo è quanto vogliamo accogliere contemplando e cantando il mistero del Natale.
(trascrizione da registrazione)