1° maggio – S. Giuseppe Lavoratore – Cooperativa Ecosviluppo di Stezzano

01-05-2017
Care sorelle e fratelli,
vorrei sottoporre alla vostra attenzione alcune riflessioni con la consapevolezza che in questo momento ciascuno di voi è la vera parola che corrisponde a quella che il Signore ci ha rivolto.
 
In apertura della preghiera del salmo responsoriale è stata proposta questa invocazione: “Signore rendi santa l’opera delle nostre mani”. Il mio desiderio è quello di portare in questa Eucaristia esattamente questa preghiera, immaginando le mani, l’intelligenza, la competenza, l’esperienza e il cuore di ciascuno di voi e di tutti gli uomini e le donne, i giovani e gli anziani che hanno incarnato l’esperienza del lavoro.
 
Un’esperienza, quella del lavoro, che attinge per i credenti addirittura all’opera di Dio: la creazione. Nell’orazione iniziale abbiamo usato la parola “cooperazione”: abbiamo detto a Dio “ti ringraziamo per averci creato a cooperare all’opera della redenzione”. Una parola che in questo ambiente risuona con particolare significato.
 
Nell’udire poi la pagina conosciutissima di Genesi è stata sottolineata questa parola: Dio stesso lavora. La creazione è il lavoro di Dio. Un lavoro non ancora terminato, nel quale Dio chiama come partner la persona umana.
 
Non è patrimonio solo di noi credenti, ma certamente in modo particolare nostro. Un patrimonio non solo da custodire, ma un patrimonio vivo e quindi da giocare continuamente, per cui siamo convinti che il lavoro umano non potrà mai essere assimilabile a quello di una macchina. Potrà essere sostituito. Pensavo a dei robottini che viaggiano su delle strisce magnetiche e passano a ritirare i rifiuti davanti ad ogni casa: non avviene ma avverrà, ammesso che ci sarà ancora qualche rifiuto che dovremo esporre.
 
La macchina grazie al cielo ci ha sostituito e ci sta sostituendo in termini sempre migliori e impressionanti, ma il convincimento che ci ispira è che il lavoro dell’uomo non potrà mai essere assimilato a quello di una macchina. La macchina è un mezzo, anche la più perfetta. L’uomo è sempre un fine.
 
Noi stiamo moltiplicando all’inverosimile i mezzi e stiamo dimenticandoci i fini, cominciando dall’uomo.
 
Abbiamo poi udito di Gesù, il Figlio di Dio per noi, che diventa uomo e lavora. E viene riconosciuto proprio per questo: il figlio del falegname. Questo ci dice che il lavoro appartiene a quei processi di identificazione che sono molto importanti oggi in un contesto in cui a volte non sappiamo più bene chi siamo.
 
D’altra parte i suoi compaesani lo identificano per il suo lavoro, ma in maniera polemica: “può un profeta essere il figlio del falegname?”. Dirà Gesù: “Un profeta non è disprezzato se non proprio nel suo paese”. In questo ci dice anche un limite: se è vero che il lavoro contribuisce a questo processo per cui uno può riconoscersi – e credo che in un ambiente come questo il lavoro abbia contribuito molto al riconoscimento della propria densità umana – nello stesso tempo dobbiamo ammettere che il lavoro non esaurisce tale densità.
 
Il luogo in cui ci troviamo è particolarmente significativo soprattutto oggi. Questa impresa rappresenta in maniera evidente e provocante alcune dimensioni del lavoro che non per tutti sono così evidenti: non solo la produzione, ma la produzione di servizi; non solo il giusto sostentamento, non solo l’utile necessario, ma un nuovo inserimento, una integrazione, un riscatto, una liberazione, una autonomia ritrovata, una dignità per mezzo del lavoro e una dignità nel lavoro.
 
Il lavoro è connaturale all’uomo. La dignità dell’uomo esige la dignità del lavoro. Non si tratta quindi di corrispondere soltanto ad una esigenza materiale, ma anche ad una esigenza spirituale.
 
Questo che sto condividendo con voi e che voi non solo conoscete bene, ma ispira il vostro modo di lavorare, desidero riaffermarlo in questo contesto di preghiera in un momento in cui il lavoro sembra diventare per alcuni un optional o per altri un privilegio, più che un diritto per ciascuno e una responsabilità per tutti.
 
Un lavoro concepito come optional perché qualcuno in questi decenni si è preso la briga di svalutare il lavoro. Svalutarlo, togliergli valore: è molto grave. Per molti il lavoro non può essere un optional, ma abbiamo diffuso una cultura per cui si può vivere anche senza lavorare: basta imbroccare l’investimento giusto in borsa o in qualche prodotto finanziario. Viviamo in un mondo in cui il lavoro è necessario ancora ma non ha più valore. Un lavoro concepito come optional anche a partire da una problematica idea di libertà che sembra circolare.
 
Il lavoro rischia anche di assumere il volto del privilegio, non perché riservato a pochi, ma perché troppi sono esclusi e scartati dall’esperienza del lavoro.
 
È interessante renderci conto che stiamo abitando un mondo che non è solo segnato dalla disoccupazione, anzi la disoccupazione assume sempre di più la forma e il volto delle disoccupazioni e delle persone disoccupate.
 
Noi diciamo “disoccupazione”, ma è una realtà molto frastagliata, diversificata, se non unica pensando ad ogni singola persona che si trova in questa situazione. Pensate alla condizione di un licenziato, piuttosto che di un giovane, o di una donna, che faticano a rientrare o rimanere nel mondo del lavoro. Pensate ai cinquantenni, ai precari, agli sfruttati, ai rassegnati, ai migranti, agli inutili, agli inutilizzati.
 
Disoccupazione sono tante disoccupazioni diverse.
 
Care sorelle e fratelli, siamo in un luogo caratterizzato da un’impresa cooperativa. Per me la cooperazione è un grande valore che ha tutta la dignità di stare nella grande piazza del mondo del lavoro. Cooperazione non è corporazione. Cooperazione significa condivisione. Non so dove ci porti la competizione. Io posso dire e qui vengono raccontate storie di dove invece ci porta la condivisione.
 
Cooperazione vuol dire legami, vuol dire un territorio che certamente è fatto anche dalle istituzioni, dai mondi vitali, ma alla fine è fatto soprattutto dai legami tra i mondi vitali, le istituzioni e finalmente ogni persona.
 
Vi consegno quindi in questo tempo pasquale il seme della risurrezione (che non è semplicemente una ripresa), nella forma della ritessitura.
 
La risurrezione credo che oggi debba incarnarsi in un impegno e in uno sforzo di ritessitura quotidiana. Certi risentimenti sono comprensibili, come quelli nei confronti della divaricazione sociale sempre più marcata. Meritano una condivisione. Ma non bastano i risentimenti.
 
Non bastano neppure le attenzioni agli interessi particolari. Credo che se in questi anni abbiamo commesso un peccato sociale è quello di far diventare l’interesse particolare così imponente da metterci nella condizione poi di dover affrontare i problemi del lavoro in termini individualistici e qualche volta corporativi. Alcune rabbie sociali sono somme di individualità, invece che costruzioni di reali solidarietà.
 
Care sorelle e cari fratelli, non basta dare per avere. Non basta dare per dovere. Ma è necessario dare per amore.
 
C’è un appello a porre rimedio all’errore della cultura contemporanea che ha fatto credere che una società democratica possa progredire tenendo disgiunti il codice dell’efficienza e il codice della solidarietà. È questa divaricazione ad aver impoverito la nostra società. Qui siamo davanti alla testimonianza invece della declinazione di questi due codici.
 
La parola chiave che oggi meglio di altre esprime l’esigenza di superare questa dicotomia – dice il Papa – è fraternità. Occorre squarciare il velo di quelle scelte strategiche, spacciate come la conseguenza inevitabile della competizione globale, che hanno ingenerato una fatale inversione di priorità: piuttosto che un lavoro per l’uomo e per la donna, si è finito col piegare l’uomo al servizio del lavoro.
 
Continuiamo la nostra preghiera in un clima di festa, perché il lavoro ha bisogno della festa. Ha bisogno della festa vera: di quel momento che è fatto di riposo ma anche di incontro; che è fatto non solo di recupero di energie, ma soprattutto di recupero di significati. I cristiani dovrebbero essere maestri della festa, come luogo in cui le persone umane ritrovano il significato del loro lavoro, del loro sacrificio, della loro stessa vita.
 
Oggi celebriamo una festa. Che veramente per noi, attraverso la preghiera in modo speciale, diventi l’occasione per ritrovare il profondo significato e la profonda motivazione del nostro lavoro. 
(trascrizione da registrazione)