29-01-2017
Care sorelle e fratelli, cari giovani,
mentre ascoltavo annunciare il Vangelo delle beatitudini che apre il discorso della montagna, mi ha attraversato questo pensiero: credo che a tutti sia noto l’inno alla gioia che conclude la nona sinfonia di Beethoven; noi cristiani vorremmo poter annunciare sempre un altro inno meraviglioso che ci è consegnato in una lettera dell’apostolo Paolo: l’inno alla carità; non mi sembra che esista un inno alla pace, esistono tante canzoni di pace anche molto bello: potremmo considerare le beatitudini l’inno alla pace. La scansione delle beatitudini e di coloro che le incarnano è proprio la scansione delle condizioni e dei frutti della pace.
Quest’anno il tema della giornata mondiale della pace che noi celebriamo in maniera così intensa in queste 24 ore (e ringrazio di cuore gli organizzatori e le comunità che ci ospitano) è: “La non violenza stile della politica della pace”. Il tema lo detta ogni anno il Santo Padre e siamo arrivati alla cinquantesima giornata mondiale della pace.
Quando parliamo di non violenza vediamo immediatamente scorrere alcune delle beatitudini che abbiamo ascoltato: beati gli operatori di pace, beati i misericordiosi, beati coloro che amano la giustizia. Le beatitudini che si rincorrono sono veramente un inno alla pace.
Ma c’è una beatitudine che particolarmente quest’anno è in consonanza con il tema della giornata della pace: beati i miti. La mitezza è stata tradotta con quel vocabolo ormai molto diffuso che suona come non-violenza.
Dice il Santo Padre: “Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la non-violenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme”.
Mi permetto di sottolineare appunto questa indicazione preziosa: la non violenza come stile di vita a cominciare dalla nostra quotidiana fino a quella del mondo intero.
Dire “non-violenza” significa però evocare immediatamente “la violenza”, quella violenza che sembra assediarci in maniera sempre più stretta. Noi siamo segnati dalla paura che la violenza possa mettere in pericolo le nostre esistenze in un istante. È la grande violenza delle guerre e del terrorismo, fino ad arrivare a quelle violenze che ci sembrerebbero inconcepibili all’interno delle nostre famiglie, all’interno delle nostre scuole, qualche volta all’interno dei nostri stessi oratori.
È sotto gli occhi di tutti che evocare violenza significa evocare non soltanto paura ma soprattutto sofferenza. È indiscutibile che la violenza crea sofferenza ed è proprio causa di sofferenza la sua moltiplicazione e diffusione. Dice il Santo Padre: “La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato”.
Questa consapevolezza ci porta ad ascoltare l’insegnamento di Gesù, maestro supremo di mitezza e di non violenza, con particolare attenzione. Che ci dici Gesù sulla non-violenza come stile di vita e come stile addirittura dell’esercizio della politica?
Gesù ci ricorda che il campo di battaglia tra violenza e non-violenza è il nostro cuore. Ogni volta che proiettiamo fuori di noi tutte le ragioni e le cause che determinano violenza nel mondo a tutti i livelli, noi facciamo un’operazione che ci mette nella impossibilità di comprendere le radici della violenza, perché queste stanno nel cuore. Gesù innanzitutto ci ricorda e ci insegna questo.
Non è un insegnamento a prescindere (sì, lo sappiamo), ma è un insegnamento decisivo: questo ci fa consapevoli che responsabili della violenza, ma anche capaci di non-violenza sono tutti gli uomini nella loro singolarità. Ricordo in alcune veglie della pace testimonianze relative ai grandi del mondo, ai potenti, a coloro che hanno la responsabilità di governare e di decidere della pace e della guerra e rimanevo colpito quando con uno spessore di verità impressionante veniva detto come queste decisioni che a noi sembrano imponderabili e qualche volta frutto di una necessità inevitabile in realtà scaturiscono dal cuore di un uomo, dalla sua coscienza. Dire che violenza e non-violenza si giocano nel cuore di ciascuno non significa fare semplicemente una evocazione di tipo spirituale, quanto renderci conto di dove sta la questione, per noi (nel limite delle nostre assunzioni di responsabilità) e per tutti gli uomini, anche per coloro che hanno la responsabilità delle sorti di pace e di giustizia o di guerra. Nel cuore.
Gesù ci insegna anche che c’è un’esperienza che guarisce il cuore da quella malattia che sembra inesorabile, come un’epidemia, che è il rancore e la vendetta. Non ci siamo mai vendicati nella nostra vita? Forse però siamo stati provati almeno da quel sentimento rancoroso che inevitabilmente ci attraverso, soprattutto quando ci sentiamo oggetto di un’ingiustizia. È possibile guarire il rancore e la vendetta.
Gesù ci insegna che c’è una potenza e questa è un amore senza condizioni. Scrive il Papa: “La non-violenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità”.
A volte a noi questi sembrano discorsi impossibili e invece abbiamo davanti testimonianze stupende di donne e uomini che hanno pagato caro la potenza di un amore senza condizioni.
Papa Francesco dice ancora: “L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”» (riprendendo parole di Papa Benedetto). E continua: “Giustamente il vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6,27) viene considerato «la magna charta della non-violenza cristiana»: esso non consiste «nell’arrendersi al male […] ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia».
Quante volte abbiamo tradito queste parole.
Il Papa con una provocazione che mi ha impressionato dice che le beatitudini – inno della pace – sono “un programma” da applicare da parte di tutti e comincia proprio dai leader politici e religiosi, dai responsabili delle istituzioni del mondo e poi gli imprenditori, gli editori, i giornalisti. Un programma e una sfida che prevede che nella nostra quotidianità nell’organizzazione della società non si possa prevedere lo scarto delle persone. Se si mette in conto lo scarto delle persone allora anche senza compiere un atto evidente di violenza già stiamo costruendo una società violenta.
Non possiamo non pensare poi al danneggiamento dell’ambiente con quella non curanza e con quella pervicacia del criterio della vittoria ad ogni costo e con qualsiasi mezzo, criterio che rischia di alimentare lo stile di una certa politica.
Un appello alle religioni perché veramente esprimano il loro potenziale di edificazione della pace: “Nessuna religione – dice il Papa – è terrorista: la violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: mai il nome di Dio può giustificare la violenza. E se così è stato per i cristiani, pentiamoci. Solo la pace è santa”.
Ecco alcune indicazioni, ma al fondo sta che è la famiglia il crogiolo della pace, in tutte le sue dimensioni. Certo, abbiamo evocato anche le violenze familiari, ma sappiamo di quanto la famiglia sia veramente un potenziale di pace, di riconciliazione, di superamento dei conflitti.
Le nostre famiglie sono educatrici di pace.
Bisogna resistere alla vendetta e credere nella pace. Se c’è qualcosa di cui in questo tempo siamo deboli è proprio questo: forse non crediamo più nella possibilità della pace, ci rassegniamo sempre di più alla violenza. Ci difenderemo, ci batteremo, la guerra non ci raggiungerà, ma credere nella pace significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale.
La non-violenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente.
Care sorelle e cari fratelli preghiamo. Questa 24 ore ricca di segni, di momenti di riflessione e di preghiera culmina ora nell’Eucaristia. Mi ha colpito questa testimonianza: la forza della preghiera. La testimonianza dice: “Il 1989 ha visto la caduta del muro di Berlino cominciata con il movimento di preghiera nella Repubblica Democratica Tedesca (Germania dell’est) che metteva candele alle finestre e alle porte e pregava per la libertà”. Uno dei membri più importanti della leadership della Repubblica Democratica Tedesca dichiarò: “Avevamo pianificato tutto, eravamo preparati a tutto, ma non alle candele e le preghiere”,
(trascrizione da registrazione)