Veglia diocesana di Pentecoste -S. Alessandro in Colonna

14-05-2016
Care sorelle e fratelli,
eccoci qui in questo cenacolo come i discepoli di Gesù che attendono che si compia la promessa fatta da lui, quella promessa di cui Gesù offre la primizia proprio il giorno di Pasqua quando si manifesta ai suoi e dona lo Spirito in una prima Pentecoste.
 
 
Gesù accompagna questo dono con la prospettiva della pace: “La pace sia con voi”. Lo Spirito ci introduce nella pace che Gesù dona, quella pace che è il dono definitivo della sua opera e che gusteremo in modo definitivo quando questa opera si compirà. Quella pace che veramente è frutto della risurrezione: è vita nuova, è tutto quello che Gesù ha raccontato e incarnato nella sua esistenza e che ci è consegnato attraverso la testimonianza di coloro che ci hanno preceduto, cominciando da quelli che lo hanno visto risorto.
 
Lo Spirito in questa prima Pentecoste porta anche il dono del perdono. Quel perdono scandaloso di cui Gesù è stato il primo portatore: “Come può costui perdonare i peccati”. Questo perdono viene consegnato nelle mani di coloro che lui manderà.
 
La missione quindi dei discepoli che diventano apostoli è una missione di pace e di perdono.
 
In queste domeniche io e non pochi sacerdoti siamo felicemente impegnati a celebrare il sacramento della cresima, della confermazione per tanti ragazzi e ragazze delle nostre comunità parrocchiali e devo confessarmi che non mi stanco mai di annunciare il dono dello Spirito, di comunicarlo per il dono che anche io ho ricevuto. È veramente il dono più grande. Il Vangelo rimarrebbe una parola sublime, ma soltanto quella. L’Eucaristia sarebbe un gesto evocativo, coinvolgente, ma resterebbe solo quello. E la nostra stessa vita potrebbe essere nobilmente ispirata e convintamente coerente al Vangelo, ma sarebbe solo quello. Lo Spirito è l’inizio di un mondo nuovo, di una vita nuova, in cui veramente questa unione di Dio con la nostra umanità, con la mia stessa storia, diventa un’unione indissolubile. Non ci sarà peccato che possa spezzare questa unione.
 
Tutto nell’esperienza cristiana avviene per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo non è un di più, non è alla fine, non è un ornamento. Lo Spirito Santo è la sorgente, è il fuoco che trasforma.
 
Lo Spirito Santo è la sorgente di quella giustizia e di quella pace di cui siamo chiamati ad essere testimoni.
 
Abbiamo sentito parole di grande intensità, mescolate alla parola del Signore. A queste vorrei unire un ricordo evangelico, perché mi sembra che insieme alle parole udite possa dirci del dono dello Spirito che sta all’inizio, sempre all’inizio, come sorgente.
 
“Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito di sabato entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”.
 
Lo Spirito è la sorgente del Giubileo della Misericordia. Questa sera ciascuno, insieme ai fratelli e alle sorelle, insieme a quelle realtà comunitarie che sono rappresentate dalla condivisione di una finalità evangelica o da un dono o da un carisma particolare, mostrate che lo Spirito è il grande organizzatore del Giubileo della Misericordia.
 
È lo Spirito che ci introduce alla comprensione della GIUSTIZIA.
 
Siamo partiti dal luogo della comunità cittadina, dalla casa comunale. Una comunità che vorremmo si organizzasse giorno per giorno nel segno di una giustizia nella quale tutti si possano riconoscere e per la quale tutti possano vivere dignitosamente.
 
Siamo passati dal tribunale, lì dove si esercita la giustizia, si ristabilisce l’ordine della giustizia in nome di una verità alla quale vorremmo accedere con tutta limpidezza.
 
L’impegno per la giustizia è un impegno per l’uomo. Senza giustizia come può esserci umanità? Ma, cari fratelli e sorelle, noi stasera siamo riuniti aprendo il cuore allo Spirito che ci introduce ad una giustizia più grande, alla giustizia di Dio. E la giustizia di Dio ci salva: questa è la sorpresa!
 
La giustizia di Dio salva l’uomo. La giustizia degli uomini può ristabilire l’ordine delle cose, faticosamente si avvicina alla verità delle cose ma non può salvare. La giustizia di Dio è per la nostra radicale giustificazione.
 
C’è una espressione evangelica che a volte noi interpretiamo in maniera un po’ deformata: “Se uno vuol essere mio discepolo prenda la sua croce, rinneghi se stesso”. Che cosa significa questa espressione? Qui tra noi ci sono dei giuristi. Ebbene, l’espressione “rinneghi se stesse nel Vangelo, così come è letteralmente nella lingua in cui è scritto il Vangelo, significa rinunci alla propria difesa, rinunci alla propria giustificazione”. Se uno vuol essere mio discepolo si fidi della giustizia di Dio, cioè della giustificazione di Dio, della salvezza di Dio.
 
Cari fratelli e sorelle, nel momento in cui noi condotti dallo Spirito entriamo in questo mondo della giustizia e ne andiamo addirittura oltre i confini, entriamo nel mondo di una giustizia che è salvezza, che è riscatto dell’uomo, che è vita nuova.
 
Qual è il tribunale di questa giustizia? Qual è lo scranno di questo giudice? È la croce. La croce è il supremo tribunale del giudizio di Dio. E la croce che rappresenta la più radicale delle ingiustizie, per l’amore di Dio si trasforma nella radicale giustificazione di ogni essere umano.
 
Cari fratelli e sorelle, allora la misericordia non viene dopo la giustizia, ma la misericordia precede la giustizia.
 
Noi abbiamo costruito una giustizia che paradossalmente rischia di aumentare il male, non di diminuirlo. Soltanto una giustizia liberante, soltanto una giustizia nella quale al male non si risponde con il male, ma con la forza di un bene più grande è capace di dare vita. Altrimenti ristabilirà l’ordine o più radicalmente moltiplicherà il male. Alla luce di questa giustizia di Dio, la vera risposta al male, la vera risposta della giustizia è il bene. Il bene come risposta al male.
 
Spero che queste parole non vi risuonino come parole estranee. Questo dà significato alla vita delle nostre famiglie e delle nostre relazioni familiari, alla vita delle nostre relazioni comunitarie, alla vita dei nostri posti di lavoro, alla vita del nostro Paese, alla vita dei paesi del mondo.
 
Oggi parlavo con i ragazzi che hanno ricevuto la cresima di ciò che è giusto, cioè di ciò che necessariamente deve corrispondere alla dignità dell’uomo e quindi ai suoi diritti. Che cosa è diritto dell’uomo? Facciamo fatica a rispondere perché ci sembra che continuamente si moltiplichino questi diritti. Non dovremmo spaventarci perché la dignità dell’uomo è qualcosa che va continuamente oltre alle conquiste che abbiamo raggiunto.
 
D’altra parte che cosa è veramente necessario? Lo chiedevo ai ragazzi e mi guardavano con occhi attenti. Ho risposto così: è necessaria la casa e il lavoro. Senza la casa, modesta o addirittura povera, siamo perduti. Senza lavoro siamo senza il pane e quindi non c’è neppure la dignità. Attorno a questo mettete tutti quei beni che ci sono realmente necessari, ma riconduceteli a questi due. La casa e il lavoro sono beni materiali ma assolutamente necessari per la nostra dignità.
 
C’è ancora qualcosa di necessario? Ci sono altre due cose necessarie: la salute e l’istruzione. La salute: tutti concordiamo su questo, tanto che diciamo “quando c’è la salute c’è tutto”, ma non sembra sia proprio così. Comunque è assolutamente necessaria, come pure tutto ciò che garantisce la salute e nel momento della debolezza la sua cura. Ci è necessaria anche l’istruzione: sanità e scuola sono due delle grandi risposte che ogni convivenza umana si è data per essere una società dignitosa. Quanta povertà sotto questo profilo! Quanta sottovalutazione di questa necessità che ha a che fare con il mondo della scuola per un’istruzione che non solo introduca ad un lavoro, ma soprattutto introduca alla possibilità di essere donne e uomini liberi.
 
Per fare le dita di una mano ne manca una di necessità perché la vita umana sia giusta e quindi degna. Molti di noi, molti anche dei più giovani, metterebbero la famiglia e nella famiglia metterei quel compito al quale ci siamo drammaticamente sottratti che è l’educazione.
 
Cinque grandi diritti, cinque dimensioni della vita umana che ripetono le risposte della giustizia perché la vita e la dignità dell’uomo siano realmente rispettate.
 
Ma tutto questo necessario ci basta? No, non ci basterà mai.
 
Perché noi abbiamo bisogno, anzi ci è proprio necessario, ciò che è totalmente gratuito. È un paradosso dire che ci è necessario ciò che è gratuito, che ci è necessario ciò che non ci è dovuto, ma può essere soltanto donato.
 
L’altra mano che fa della nostra vita una vita degna di essere vissuta è la mano del dono, della gratuità, della misericordia, della carità, dell’amore.
 
La prospettiva è quella di una gratuità necessaria, che è proprio un paradosso, ma senza ciò che liberamente e gratuitamente ci è donato – e che noi stessi siamo capaci di donare – l’uomo non percepisce la profonda dignità e il profondo senso della sua esistenza.
 
Pensate al tema di quest’ano “donne e uomini capaci di carità” e al Giubileo della Misericordia come riecheggiano – alla luce di quello che vi ho ricordato – l’inno alla carità di San Paolo: posso avere tutto e posso anche fare tutto e consegnare tutto, ma se non ho la carità, se non ho l’amore tutto è inutile.
 
Io credo che possiamo raccontare tutti della verità di questo. Dobbiamo tutti diventare testimoni di come lo Spirito, che ha riversato nei nostri cuori l’amore di Dio, ci possa guidare ad essere portatori di giustizia e di pace nella luce di una carità e di una misericordia totalmente gratuite e del tutto necessarie.
 
Vi leggo queste parole – con le quali concludo – che ci aveva consegnato Papa Benedetto nello scritto che ha inaugurato il suo Pontificato, “Dio è carità, Deus caritas est”: “L’amore, caritas, sarà sempre necessario anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo e in quanto uomo”.
 
Cari fratelli e sorelle, invochiamo lo Spirito di Dio che comunichi al nostro cuore lo stesso amore di Dio, il quale ci renderà capaci di essere testimoni di giustizia, della giustizia di Dio, e della sua pace. 
(trascrizione da registrazione)