25-03-2016
Care sorelle e fratelli,
abbiamo ascoltato il grande racconto della Passione che ci viene offerto come insegnamento inarrivabile al quale disporre non soltanto l’ascolto, ma la nostra stessa esistenza.
Il racconto della passione assume il valore di qualcosa di universale, ha proprio il sapore dell’universalità. Ho avvertito in più di una circostanza che anche persone che non scelgono di credere, rimangono comunque pensose e addirittura affascinate dal grande racconto della passione di Gesù.
Assurge ad una dimensione universale come il segno della croce. Dobbiamo in questo momento riconoscere che, al di là di tante incomprensioni, il segno della croce ha un valore universale, perché pochi altri segni come la croce sono capaci di restituire ad ogni persona umana l’esperienza del dolore. Ognuno racconta il suo dolore, ma possiamo proprio ben dire, al di là degli stessi confini della fede, che la croce è capace di abbracciarli tutti.
La croce assurge a simbolo universale anche dell’ingiustizia e anche questo è fonte di riflessioni mai esaurite. La morte di Gesù in croce è veramente la rappresentazione più intensa di ogni ingiustizia. L’ingiustizia è prevaricazione della giustizia, è deformazione della giustizia, è qualcosa che presenta l’esito drammatico della deformazione della verità. L’esito più drammatico è la morte dell’innocente, è la sofferenza dell’innocente. Qui non è difficile rammentare tutte le persone che scontano una pena di qualcosa di cui non sono responsabili e tra tutti certamente non possiamo dimenticare i bambini, così assimilati a Cristo: l’innocente ingiustamente condannato. Possiamo appunto dire come la croce rappresenti questa ingiustizia radicale: la condanna e la pena inflitta all’innocente.
Vi è un terzo elemento che fa assurgere la croce a segno universale ed è l’esperienza della morte, alla quale come dice San Francesco “nullo homo può scappare”. Noi che non possiamo raccontare della nostra esperienza di morte, possiamo raccontare della morte dei nostri cari, di chi ci è stato amico, maestro, compagno di vita. È appunto la croce.
Noi questa sera siamo riuniti per commemorare la morte di Gesù sulla croce e tra qualche istante venereremo la croce, adoreremo il Crocifisso inchiodato ad una croce, ad un segno così potente che supera i confini della fede ma anche quelli della cultura.
C’è poi qualcosa che supera anche le descrizioni che ho cercato di condividere, sperando di cogliere aspetti che pure voi riconoscete. La croce, proprio per quel Crocifisso che vi è inchiodato, diventa rivelazione di un amore impensabile.
Questo non è frutto immediatamente di un riconoscimento universale nel senso che ogni persona umana ha motivo per vedere nella croce qualcosa che ha vissuto e che vive, ma qui ci troviamo di fronte a qualcosa che ci precede e che darà significato ad ogni gesto d’amore compiuto da chi crede e anche da chi non crede. L’amore del Crocifisso, l’amore che vediamo espresso dalla morte di Gesù in croce ci precede.
È una rivelazione che va al di là di ogni previsione, di ogni misura, di ogni ragionamento. È l’amore che condivide, che si espone, che rompe l’implacabilità di ogni ragione mondana, ma soprattutto cari fratelli e sorelle la sorpresa è che questo amore ci salva dal male, ci salva dal peccato, ci salva dall’ingiustizia, ci salva dalla morte. Noi abbiamo bisogno di giustizia, abbiamo bisogno di pace, abbiamo bisogno di libertà e di verità, ma abbiamo soprattutto bisogno di qualcuno o di qualcosa che ci salvi dal male, dalla morte, dall’oscurità, dalla bruttezza, dall’insensatezza, dalla disperazione, dalla morte appunto.
L’amore del Cristo crocifisso è un amore che salva perché chi muore in croce è il figlio di Dio: Dio nella sua umanità.
Mentre ascoltavo la lettura della passione di Gesù, pensavo all’universo intero davanti al figlio di Dio che muore in croce. Il gesto più grande che ci riscatta e ci salva dal male, dalla morte, dal peccato che ne è la ragione.
Cari fratelli e sorelle, nella croce di Cristo noi vediamo una giustizia nuova. La misericordia non cancella la giustizia, ma la supera: perché la giustizia dà a ciascuno il suo, Dio invece nella sua misericordia dà a ciascuno se stesso.
(trascrizione da registrazione)