Festa di Sant’Alessandro – Basilica di S. Alessandro in Colonna

26-08-2013
Cari fratelli e sorelle,
la figura di Sant’Alessandro e del suo martirio ci attira immediatamente a considerare quella dimensione assolutamente decisiva della vita cristiana che è quella della testimonianza. Proprio qui, in questa comunità parrocchiale, che si allarga a tutta la nostra città e addirittura alla nostra diocesi, vorrei ancora una volta riflettere con voi su questo appello alla testimonianza cristiana che ci viene dalla vita e dalla morte di Sant’Alessandro.
 
È un appello che risuona alla nostra coscienza di fedeli attraverso la Parola di Dio che abbiamo ascoltato. Particolarmente vorrei ricordare tre aspetti colti appunto dalle tre letture che sono state annunciate.
 
Il primo è rappresentato da quello che questo padre, grande padre, dice ai suoi figli che si apprestano al martirio: “Ricordate le gesta compiute dai padri ai loro tempi e traetene gloria insigne e nome eterno”. La testimonianza si nutre di un ricordo. Non di un ricordo nostalgico, ma di una memoria viva, trasmessa attraverso una narrazione che è capace di trasformare il cuore: narrazione di parole, narrazione di vita, narrazione di sentimenti, narrazione di gesta. È quello che ricordiamo dentro, sono le dimensioni essenziali che si sono iscritte nel nostro cuore. A volte sono stati proprio i nostri padri e le nostre madri le persone che hanno disegnato la nostra coscienza con il loro esempio. Sono le persone che hanno scritto trasformando e modellando la nostra interiorità, la nostra fede. Questo è il ricordo: un ricordo trasformante. Se noi non accogliamo questa dimensione del ricordo e ci limitiamo alla memoria delle cose che non sono più, a volte cadiamo in forme che sono di nostalgia e di pessimismo non evangelico. È invece un ricordo che continuamente ci provoca, ci trasforma, ci spinge. Il testimone è un narratore, un narratore vivente che usa anche parole, ma soprattutto un narratore che ci ha consegnato la sua fede attraverso la sua stessa vita, a volte estremamente sobria ma così capace di incidere. Questo è il testimone che vorremmo essere. Noi siamo diventati credenti attraverso uomini e donne che non solo ci hanno parlato, ma ci hanno testimoniato così la fede.
 
L’Apostolo poi ci dice: “A voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui”. Abbiamo ricevuto la grazia non solo di credere in lui, ma di soffrire per lui. Io non so quanti di noi implorano questa grazia. È “una grazia” che tutti cerchiamo di evitare. Qualche volta evitiamo questa grazia in modo strano: la nostra testimonianza di incattivisce. Invece che soffrire per lui, ci incattiviamo per lui: perché i nostri figli, i nostri nipoti, il mondo non credono, dimenticano gli insegnamenti dei padri. Il nostro dolore non diventa sofferenza per lui, ma diventa incattivimento, giudizio severo, amarezza del cuore. Il testimone invece è sempre un appassionato: in questo senso soffre. Una persona che ama inevitabilmente soffre. Soffre per amore. È questa la grazia che il Signore ci concede: di soffrire per amore, cioè di dare una testimonianza appassionata che di fronte anche al rifiuto o all’indifferenza non si incattivisce assolutamente, ma continua a sperare. Si nutre della passione della speranza. Cari fratelli e sorelle, quanti siamo! Dobbiamo essere dei testimoni appassionati non perché enfatizziamo le nostre parole e i nostri gesti, ma perché crediamo che siano quelli che alimentano la nostra vita e crediamo che possano alimentare anche la vita dei nostri fratelli senza che noi imponiamo nulla. Il testimone non si impone con la forza, ma si impone per la sua passione, per la sua convinzione. Abbiamo ricevuto la grazia non solo di credere il lui, ma di soffrire per lui.
 
Infine la parola evangelica ricchissima che abbiamo ascoltato. Come Sant’Alessandro anche noi apriamo le nostre orecchie e i nostri cuori a questa parola di Gesù: “Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto”. Non pensate che queste parole siano solo per il Papa, i Vescovi, i sacerdoti. Sono per ognuno: “Io ho scelto te perché vada e porti molto frutto”. Pensate alla varietà della natura, delle piante e dei loro frutti: è ugualmente la varietà delle nostre vite, delle nostre vocazioni, dei frutti che ciascuno di noi ha portato e può ancora portare, qualsiasi sia la sua età. In questi anni insistiamo molto sulle radici, ma il Card. Tettamanzi ricordava anche che Gesù più che di radici parla di frutti: “dai vostri frutti vi riconosceranno”. Certo, non ci sono frutti se non ci sono radici, però ugualmente non vogliamo essere come il fico sterile. Gesù ci dice: “Vi ho scelti perché portiate frutto”. Allora ritornano le immagini evangeliche della seminagione abbondante: una parte cade sulle pietre e tra le spine, non importa. Non ci amareggiamo, non ci scoraggiamo. Vi è anche la grande immagine del chicco di grano e Gesù ci dice: ” Se non muore non porta frutto”. Infine l’altra grande immagine del tralcio: “Se il tralcio non è unito alla vite, come porterà frutto?”.
 
Possiamo riassumere questa immagine del testimone fecondo, fruttuoso, che porta frutti di Vangelo. La gente, i nostri figli e nipoti, i nostri compagni di lavoro, i vicini di casa hanno bisogno di vedere dei frutti della nostra fede. Testimoni fruttuosi. Abbiamo cantato – se le nostre preghiere non sono solo parole, a volte anche nella melodia, ma sono qualcosa di vero – “Chi semina nel pianto, raccoglie nella gioia”. A volte appunto seminiamo, piangiamo e ci fermiamo lì. E qualche volta siamo tentati dalla disperazione: chi semina nel pianto, raccoglie nella gioia. Chi semina come ha seminato lui, giocando se stesso, sacrificando se stesso, non aspettandosi immediatamente il frutto.
 
Gesù non parla di prodotti, parla di frutti. Il frutto ha bisogno del suo tempo. Chi semina nel pianto, raccoglie nella gioia. Cari fratelli e sorelle, testimoni che seminano, a volte soffrendo di non vedere immediatamente il raccolto, ma ci dice il Signore: “raccoglierete nella gioia”.
 
Sant’Alessandro viveva in una comunità perseguitata e lui ne è il frutto. Oggi noi abbiamo una grande responsabilità: seminiamo. Seminiamo la nostra vita, seminiamo la nostra fede, semplice e modesta, a volte segnata dal peccato, ma non abbiamo paura. Seminiamo anche nella sofferenza di non vedere immediatamente i frutti, ma alla luce dei Santi vogliamo anche noi raccogliere questa parola: “Chi semina nel pianto, raccoglie nella gioia”. Testimoni fruttuosi, che sanno narrare trasformando il cuore, così come qualcuno ha narrato a noi la fede trasformando il nostro cuore. Testimoni appassionati. Così è stata la vita di un uomo antico, soldato, che ha testimoniato e noi ne vediamo i frutti ancora dopo tanti secoli, addirittura millenni. Che il Signore ci conceda la grazia dell’umiltà e dello stesso tempo di una grande serenità. Che ciascuno di noi si senta chiamato da lui a portare la propria testimonianza, che nel momento in cui scaturisce dalla fede porterà sicuramente frutto.
 
(trascrizione da registrazione)