Pontificale del giorno di Pasqua

31-03-2013
Cari fratelli e sorelle,
 
la risurrezione di Gesù apre il cuore alla speranza. Sappiamo quanto in questo tempo abbiamo bisogno di speranza, abbiamo bisogno di ragioni di speranza.
 
La speranza si proietta sul futuro, la speranza appartiene a qualcosa che attendiamo ma ancora non possediamo. D’altra parte la speranza ha bisogno di una certezza: deve poter affondare le sue radici in qualche cosa che ci convince, in qualcosa in cui non possiamo dubitare, o meglio in qualcosa che è più forte dei nostri dubbi. Non possiamo affidare la nostra speranza semplicemente alla fortuna o al suo contrario.
 
Guardando il volto e gli occhi dei vostri figli nutrite per loro grandi speranze, che non coincidono necessariamente col successo ma con qualcosa di buono e di bello nella vita. Sono i vostri figli, volete loro bene. Pur nella difficoltà di pensare al futuro, soprattutto in questo momento, e paradossalmente nella difficoltà di programmare quel futuro che pensavamo di poter programmare fin nei minimi dettagli fino a pochi anni fa, quella speranza che voi nutrite per voi stessi e per i vostri figli deve pur affondare in qualche certezza.
 
Ci sono quelle certezze che appartengono alla saggezza che è pure tanto necessaria: una saggezza che viene dall’esperienza, dalla conoscenza, che viene da un interiore equilibrio. La saggezza è fonte di speranza.
 
Non possiamo però semplicemente ridurre la saggezza a qualche slogan. Non fosse altro quello che con un aggettivo un po’ approssimativo e superficiale potremmo definire come “nostrano”: quando va male non ci resta da sperare che cambi e cominci ad andare bene. Non possiamo semplicemente rassegnarci ad attendere che cambi, come se questo cambiamento fosse il frutto di chissà quale imperscrutabile fato.
 
La risurrezione di Cristo apre le porte alla speranza, perché la risurrezione di Cristo è una certezza.
 
In questi giorni, cominciando da stanotte, la comunità cristiana canta “il Signore è veramente risorto”. Lui è veramente morto e come è vera la sua morte, è vera la sua risurrezione.
 
Qualcuno – e non solo nell’intimità della propria coscienza, ma nel corso della storia – ha sostenuto che è impossibile che Dio, se è Dio muoia, che suo Figlio, se è Dio, muoia, e tanto più in una maniera così scandalosa come è la morte in croce. D’altra parte, quanti sono quelli che pensano assolutamente impensabile la resurrezione di quel crocifisso.
 
La comunità cristiana vive di questa certezza, che non è semplicemente la certezza di un lieto fine, di una morte apparente, di una rianimazione ante litteram. La risurrezione di Cristo è qualcosa di assolutamente nuovo. Quanto ci meraviglia la storia dell’universo, quanto ci affascinano le scoperte dell’uomo che ci riportano all’origine dell’universo. È qualcosa di straordinario quell’inizio che ancora ci sfugge, per sapendoci avvicinare e descrivendolo anche con le nostre conoscenze. ma da dove quell’inizio?
 
La risurrezione di Cristo è un nuovo inizio. È questo ciò che custodisce quella piccola comunità iniziale in una maniera così incandescente che la sua forza è paragonabile a quella del big bang iniziale che si espande, non semplicemente perché cresciamo di numero, ma perché cresce la storia di coloro che hanno creduto nella risurrezione di Cristo e lo hanno testimoniato con la loro vita e non solo lo hanno predicato.
 
Un’espansione. Qualche volta però facciamo i conti con i buchi neri dell’universo, con i buchi neri di questa esperienza che è affidata alle nostre precarie vite, alle nostre precarie coscienze.
 
D’altra parte, nel momento in cui per qualche istante ci fermiamo e ascoltiamo la parola e raccogliamo quella testimonianza che è fatta di mille altre testimonianze – anche quelle che abbiamo avuto vicino a noi, in persone credenti e non semplicemente ingenue – noi siamo consapevoli di questa espansione dell’inizio nascosto, ma assolutamente inarrivabile, della risurrezione di Cristo.
 
Questa certezza apre il cuore alla speranza, perché non è soltanto il Cristo che è vivo, ma in lui noi riconosciamo la sorgente della vita. Quante volte anche negli anni passati e oggi con maggiore modestia e qualche paura abbiamo impostato le nostre esistenze a partire dal criterio “devo realizzarmi”. Tutto abbiamo misurato a partire da questo assoluto: la mia realizzazione. Il prezzo più grosso che abbiamo pagato a questo idolo è stata la solitudine: la mia realizzazione a qualsiasi costo, in ultima analisi senza guardare in faccia a nessuno, nemmeno chi mi è più vicino.
 
Ci è successo così. Il Cristo crocifisso e risorto ci consegna non soltanto la vita, ma – se non apparisse un po’ troppo favolistico – il segreto della vita. Una vita che è consegnata, offerta, donata. Una vita trasformata, innervata dall’amore che effonde vita attorno a sé anche al prezzo di un sacrificio. Questa è la realizzazione che noi vediamo in Cristo, il crocifisso risorto.
 
È una realizzazione che si compie poi nella storia. Non è un attimo che è passato: lui è il vivente. Chi crede in lui percorre la sua via, una via di verità. Non quella verità che si afferma prepotente, quasi a schiacciare le persone. Il Risorto è una verità che germina dalla terra, dal profondo della terra, da un sepolcro. È una verità che ti conquista non imponendosi, non costringendo, ma con la forza dell’amore, con la forza del percepire piano piano l’autenticità di una vita nelle sue dimensioni essenziali. Quante persone – anche persone che non hanno pratica di fede – che avvertono nel profondo questa autenticità, questa verità dell’uomo. È questa la via sulla quale camminiamo nel momento in cui ci rendiamo conto che la risurrezione è qualcosa di vero e di certo.
 
È una via umile. Non soltanto perché adesso alla luce della figura di Papa Francesco sembra che tutti quanti siamo invitati, quasi trasformati, da questa istanza di umiltà. L’umiltà che Papa Francesco sembra consegnarci in maniera così limpida attraverso le sue parole e i suoi gesti, la percepiamo come il modo con il quale avvicinarsi alla realtà della vita.
 
Cari fratelli e sorelle, oggi viviamo questa solennità e questo splendore perché la risurrezione di Cristo ci conquista. Ma questa solennità e questo splendore non devono diventare un alibi, non devono diventare una giustificazione rispetto alla attenzione alla vita nella sua modestia.
 
La modestia di una persona malata che è privata di tutto, ma non della sua dignità, non di quell’interiore forza che noi avvertiremo anche quando quella persona non parlerà, sarà immobile. Quell’umiltà che ci fa veramente vicino ai poveri, non perché siamo trascinati perché adesso è il momento dei poveri, ma perché ci fa vicini a tutte le condizioni di vita, tutte, a partire dalle più deboli, dalle più delicate, dalle più impoverite.
 
Questa via del Risorto è la via dell’amore, di un amore in tutte le sue dimensioni. L’amore di Cristo abbraccia tutte le dimensioni dell’amore che l’uomo può sperimentare, nessuna esclusa. Camminiamo, cari fratelli e sorelle, su questa via. All’inizio i cristiani venivano chiamati “quelli della via”, la via di Cristo, crocifisso e risorto.
 
Su questa via cerchiamo con verità, con umiltà e con amore di aprire il cuore di tutti alla speranza, non solo il nostro cuore, ma il cuore di tutti: il cuore di chi in questo momento fa fatica a credere, il cuore di chi è talmente provato che per lui la parola “speranza” sembra quasi un insulto.
 
Apriamo il cuore non solo nostro, ma di tutti, alla speranza come lo ha aperto Gesù. Apriamolo esercitando lo stesso perdono che Gesù esercita con noi, allora vinceremo il male. Apriamo il cuore di tutti, facendo loro sperimentare una fedeltà che si avvicini a questa fedeltà indissolubile che Cristo ci ha manifestato con la sua morte e risurrezione: allora nessuno si sentirà abbandonato. Apriamo il cuore di tutti alla speranza con l’amore e allora veramente quell’odio che a volte sembra diventare la regola dei rapporti umani sarà vinto.
 
Celebriamo in questa Eucaristia il mistero di Cristo Risorto che ci viene comunicato. Celebriamolo con l’intima gioia di chi non vede magicamente trasformata la sua vita, ma nella fede vede l’inizio di una vita nuova. Così, nella preghiera, potremo dar forza ai nostri sentimenti e alla nostra fede, per aprire il nostro cuore alla speranza e aprire anche quello di tutte le persone che il Signore ci affida. 
(trascrizione da registrazione)