Servire la vita dove la vita accade. È questo l’invito della Lettera Pastorale che il Vescovo Francesco ha consegnato alla diocesi nei mesi scorsi. In prima persona, mons. Beschi, ha deciso di vivere questo come impegno personale e come stile episcopale, con il “Pellegrinaggio Pastorale”: un cammino lungo che lo vedrà percorrere tutte le strade della diocesi per mesi, volendo raggiungere ogni singola parrocchia della diocesi.
Con ogni comunità il Vescovo condividerà l’ordinarietà quotidiana, visiterà un ambito significativo, incontrerà i sacerdoti familiarmente nelle loro case, celebrerà l’Eucaristia e, come promesso nei momenti di preghiera vissuti uniti a distanza durante i mesi più oscuri della pandemia, pregherà un Rosario affidando alla Madonna le intenzioni e le sofferenze di tutti e di ciascuno.
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L’immagine che farà sottofondo a questo pellegrinaggio pastorale è significativa. Innanzitutto non si è voluto scegliere un quadro famoso protetto in qualche museo, ma si è scelta un’opera di Mario Gilberti, pittore autodidatta, che vive e lavora a Carcina (BS). Il quadro fu realizzato per il Vescovo in occasione della prima visita alla comunità Emmaus di Chiuduno nel 2009, poco dopo il suo arrivo come Vescovo di Bergamo.
Quindi la prima grande idea è proprio quella del legame alla vita concreta. Così scrive il Vescovo: “Care sorelle e fratelli, il mio Pellegrinaggio Pastorale avviene nel momento in cui siamo giunti a delineare tre corsie di un unico percorso contrassegnato dall’esigenza pastorale di declinare e soprattutto coniugare fede e vita, vangelo e cultura, chiesa e mondo. Le tre corsie sono: le Comunità Ecclesiali Territoriali, le Fraternità Presbiterali e la Parrocchia fraterna, ospitale e prossima. Come ogni pellegrinaggio, la meta non è un luogo, ma un incontro, lì dove si manifestano e si possono riconoscere i segni della presenza del Crocifisso Risorto che ci precede. Il pellegrinaggio diventa immagine della vita e di ciò che rivela il suo significato”.
Una seconda caratteristica di questa immagine è che i confini della chiesa bergamasca sono lo sfondo, ma i personaggi non sono dentro un edificio sacro, ma lo formano loro stessi, come pietre vive di una Chiesa viva, come membra del corpo di Cristo radunato attorno al Vescovo, con età diverse, situazioni diverse, modalità diverse. Questo richiama la recente riforma della struttura della nostra diocesi con la creazione delle Comunità Ecclesiali Territoriali (CET) e delle Fraternità Presbiterali al posto dei Vicariati Locali. È il passaggio da una interpretazione statica a una dinamica, da una struttura organizzativa a una relazionale.
Il nucleo fondamentale della parrocchia si apre nella condivisione del percorso peculiare di ogni unità pastorale (attuato in alcune situazioni ma comunque principio valido per tutti), sostenuto e alimentato dalle fraternità presbiterali. Insieme e parallelamente a questo si unisce la necessità della constatazione di un mondo cambiato, dalla società cristiana al piccolo gregge, che richiede un nuovo sforzo di comprensione dell’impegno di una Chiesa in uscita come invita Papa Francesco: non è più il tempo di pensare a come portare la gente in chiesa, ma di come portare la Chiesa alla gente.
Alla Chiesa è chiesto di entrare in se stessa (parrocchie, unità pastorali, fraternità presbiterali) per imparare ad essere in uscita in dialogo con il territorio, ma è necessario però anche il movimento contrario, tipico di ogni famiglia: quello di tornare a casa per arricchirsi vicendevolmente delle esperienze fatte. Ciò attua un circolo virtuoso di maturazione che si gioca là dove la vita accade, nelle “terre esistenziali” che sono gli incroci delle strade della vita: relazioni, lavoro e festa, tradizione, fragilità, cittadinanza.
L’immagine, a questo riguardo, ha un dettaglio curioso: il Vescovo ha in una mano il pastorale e nell’altra un violino. È il riferimento alle caratteristiche specifiche di ognuno, in base alle sue qualità e competenze, che vengono messe a servizio degli altri, come ad esempio il violino ricorda gli studi musicali di mons. Francesco nella sua gioventù. Ma insieme indica lo stile della “sinodalità”: in una orchestra gli strumenti sono fatti di materiali diversi, hanno suoni diversi (c’è il violino o il flauto, come pure il tamburo e il trombone), ognuno suona note diverse con ritmi diversi, eppure tutta questa differenza è resa armonia da un’unica partitura. Così succede nelle comunità dove ognuno, diverso dagli altri, interpreta a modo suo le note del Vangelo. A servizio di questa armonia, per gustarne la melodia e per sostenerne l’unità, il Vescovo Francesco si fa pellegrino nel servire la musica della vita della Chiesa di Bergamo, là dove la vita accade.