Nessuna azione di guerra giustifica l’assassinio di civili, donne e bambini. Non c’è pretesa, rivendicazione, rivalsa che possa dare ragione di ciò che sta accadendo alla popolazione palestinese inerme e ridotta alla fame.
La pediatra Alaa Al-Najjar è diventata il simbolo di uno sterminio di fronte al quale non è possibile restare in silenzio: nove figli su dieci uccisi in un bombardamento, il più piccolo – l’unico superstite – e il marito ricoverati in ospedale con gravi ferite. La sua famiglia e la sua vita cancellate in un attimo da un razzo, lei si è salvata perché si trovava all’ospedale per il turno di notte.
Ci sono migliaia di storie come questa, segnate da lutti e sofferenza. Secondo le stime ufficiali sono oltre 50 mila le vittime palestinesi dall’ottobre 2023, e di queste più di 15 mila sono bambini. L’Unicef parla addirittura di 50 mila minori colpiti, in questo stesso periodo, uccisi o feriti. Sono stati quasi duemila gli attacchi contro strutture sanitarie, in cui sono morti 650 operatori che vi lavoravano.
Al di là dei numeri ci sono i volti di persone private di tutto, anche del cibo. Nei giorni scorsi le televisioni hanno mostrato gente disperata prendere d’assalto i depositi di aiuti umanitari: perfino la fame è diventata funzionale al conflitto.
“A Gaza – ha detto in un’intervista il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme – stiamo assistendo a qualcosa di inconsolabile e inaccettabile dal punto di vista umanitario, la fame di centinaia di migliaia di persone come strumento di guerra. Non possiamo accettarlo e ci rivolgiamo a tutti coloro che hanno il potere di prendere decisioni per porre fine a tutto questo”.
Ci sono altre vite in gioco, quelle degli ostaggi israeliani: almeno 250 (vivi e deceduti) catturati nel sud di Israele durante gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, ancora 59 detenuti da Hamas, usati come pedine politiche, sottoposti a torture e maltrattamenti. Fra loro anche mamme e bambini. In nessun caso è accettabile che vite umane siano ridotte a strumenti di lotta. Prendere ostaggi, come ricorda Amnesty International, è un crimine di guerra.
“Ascoltiamo il pianto delle madri” ha detto Papa Leone XIV, che ha scelto la pace come primo segno distintivo della sua azione come pontefice. Ha levato la sua voce in continui appelli perché cessi il rumore delle armi, perché quello che sta accadendo non può affondare nel silenzio e nell’indifferenza del mondo. Il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, l’assistenza ai civili sono scelte non più differibili.
“Se vuoi aiutare qualcuno – ha proseguito il Papa – non puoi pensare di tenerti a distanza, ti devi coinvolgere, sporcare, forse contaminare” e “sentire il peso del dolore dell’altro”: non è possibile voltarsi dall’altra parte, dimenticarsi del sangue e della sofferenza dei piccoli e dei deboli. Quello che sta avvenendo nella striscia di Gaza mette in crisi fin dalle fondamenta ciò che comunemente intendiamo come diritti umanitari, come se qualcosa, nel nostro sistema di valori, fosse sul punto di spezzarsi per sempre.
Non si può restare indifferenti, in disparte, in silenzio, perché, come ha ricordato il Papa nell’udienza di mercoledì scorso “prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani”.
6 giugno 2025
Sabrina Penteriani, delegato vescovile per la Cultura e la Comunicazione