Consulta Regionale per la Scuola della Lombardia

SEMINARIO REGIONALE DI STUDIO “PER UNA SCUOLA DELLA SOCIETÀ CIVILE”

La Consulta Regionale per la Scuola della Conferenza Episcopale Lombarda ha avviato, insieme ad altre Consulte Regionali per la Scuola, una riflessione sulle problematiche emergenti nel mondo scolastico al fine di ricercare indicazioni che costituiscano per questo decennio – ispirato dagli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano “Educare alla vita buona del Vangelo” – punti di riferimento per i cristiani e per tutti coloro che sono disponibili a spendersi nel rinnovamento delle istituzioni educative.

Di seguito sono presentati i 9 temi di discussioni affrontati durante il seminario regionale.

1 - Premesse del documento

In ascolto del mondo della scuola, si avverte la comune responsabilità di elaborare con tutti un progetto, che realizzi i valori della Costituzione. L’intera comunità scolastica ha come finalità la crescita integrale di ogni persona umana, offrendo le possibilità di uno sviluppo personale capace di superare l’immobilismo sociale a cui sono purtroppo destinati molti giovani, con una attenzione particolare ai più deboli e fragili. Si vuole costruire una scuola in cui si impari a diventare “uomini” in un mondo da vivere come casa di tutti gli uomini, in cui i beni della terra sono destinati a tutti, e non possono appartenere solo a qualcuno o ad una sola generazione.
L’attuale crisi economica rischia di far dimenticare che l’educazione, l’istruzione e la formazione sono i più efficaci motori di ogni dinamica economica: per questo la scuola deve essere vissuta da tutti come il più grande bene comune.Il dibattito che si intende promuovere, libero da pregiudizi ideologici, costituisce un appello perché Stato, Regioni, Province e Comuni sostengano con più forza l’intero sistema scolastico, superando – fermi restando i livelli essenziali validi per ogni studente – la funzione diretta di gestori per assumere quella di garanti e di regolatori del sistema. Per questo è necessario avviare un confronto con le forze sociali, sindacali e politiche, disponibili a riflettere per una evoluzione dell’assetto istituzionale, amministrativo e contrattuale, del sistema scolastico, dove allo studente e alla sua famiglia vengano garantiti i diritti inalienabili, a chi insegna il riconoscimento pieno della professionalità, al territorio il soddisfacimento dei bisogni educativi e formativi di cui ha necessità. Occorre dare applicazione alle Leggi 59/97 e 275/99 (Autonomia delle istituzioni scolastiche) e al dettato del Titolo V della Costituzione, Legge 3/2001. Infine occorre operare una riflessione critica sull’attuazione in questi anni della Legge 62/2000 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione).

“La crisi del sistema scolastico è il riflesso di quella che, a vari livelli, coinvolge tutti. Il clima culturale in cui la scuola opera è quello della postmodernità, caratterizzata dalla frammentazione, dalla complessità e dalla prevalenza della dimensione individuale. Il desiderio di autorealizzazione conta più del bene comune; i legami tradizionali si allentano; tutto si fa più precario. Contemporaneamente si è trasformato, se non il concetto, certamente il senso della conoscenza. Il valore della scienza e della tecnologia sta ormai nel fatto che sono diventate il maggior fattore produttivo, e il sapere teorico è importante quasi solo perché è in grado di generare innovazione. In quest’ottica anche la scuola è costretta sempre di più a inseguire modelli efficientisti, lasciando in secondo piano la dimensione propriamente educativa.

La convinzione diffusa è che educare non significhi più trasmettere un sapere, proporre contenuti, valori, visioni del mondo, esperienze significative, ma addestrare gli alunni a muoversi agilmente nella complessità, utilizzando tutto senza mai impegnarsi veramente con nulla. Di conseguenza l’insegnante non è più un «maestro» capace di far comprendere le tante sfaccettature di una problematica generale, ma soltanto un allenatore, un trainer, la cui funzione è di far acquisire ai giovani delle competenze ben localizzabili, intese come abilità ristrutturabili e plasmabili in vista dell’acquisizione di altre informazioni. Ma gli educatori non possono essere considerati semplici facilitatori; hanno un ruolo e un compito ben più ampio e importante: presentare, attraverso le diverse discipline, riferimenti simbolici e modelli di comportamento che possano essere significativi per la vita reale dei giovani” (cfr. La Sfida Educativa, a cura del Comitato per il progettoculturale della Conferenza Episcopale Italiana, ed. Laterza, 2009, cap. 3).

Oggi si assiste all’eclissi dei maestri, non solo nella scuola ma anche nella società. Il linguaggio mediatico tende a imporre modelli che sono mobili solo in apparenza perché in realtà non fa che produrre schemi fissi che sempre meno coincidono con il senso più profondo del linguaggio scolastico la cui funzione è quella di educare – attraverso contenuti disciplinari – al senso critico, condizione stessa della libertà e quindi del dialogo.

2 - L’educazione e la scuola: la famiglia e la libertà di scelta educativa

Le persone convinte della centralità della funzione educativa della scuola sono oggi la risorsa più importante. Tra queste ci sono i cristiani che hanno un’idea di “scuola per la persona” e di “scuola delle persone” fondata su alcune convinzioni, su cui credono di poter costruire alleanze educative con tutti.

L’essere umano come persona trascende ogni realtà naturale, ogni condizione socialmente o storicamente determinata e ogni visione dell’uomo e dell’educazione di stampo funzionalistico e individualistico. Viene qui assunto come prospettiva un umanesimo integrale, quale fine specifico dell’educazione, comprensivo di ogni sua dimensione, nell’ottica di una laicità rettamente intesa[1].

I genitori sono i primi educatori: sono educatori perché genitori. “Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante. Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; insostituibile e inalienabile, nel senso che non può essere delegato né surrogato” (C.E.I., Educare alla vita buona del Vangelo, cfr. 36). Per questi motivi, ancor prima che per dettato costituzionale e diritto internazionale, le famiglie devono godere di una piena libertà di scelta non solo tra scuole statali e scuole paritarie, ma anche all’interno della scuola stessa, cooperando più fattivamente alla definizione del progetto educativo. Una scuola, che non valorizza la presenza dei genitori e delle loro associazioni, tradisce la sua missione educativa.

[1] Da questo punto di vista le ultime indicazioni del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca sono di una povertà antropologica, in quanto escludono o riducono accuratamente qualsiasi riferimento alla sfera religiosa (cfr. ad esempio Atto di indirizzo per il primo ciclo dell’8-9-2009 e Profili per i licei e gli istituti tecnici e professionali).

3 - L’autonomia delle istituzioni scolastiche

La scuola necessita della collaborazione tra le varie componenti scolastiche e il territorio, ovvero tutte le forze sociali nelle quali, secondo l’art. 2 della nostra Costituzione, ogni uomo sviluppa la sua personalità: la famiglia primariamente, e poi gli enti locali, le parti sociali, il territorio, gli enti del volontariato e della cooperazione.

Così l’autonomia, garantita dallo Stato, si sviluppa nell’incontro di tre libertà educative: la libertà di scelta delle famiglie, la libertà di insegnamento dei docenti e la libertà di apprendimento degli studenti. Queste componenti si devono incontrare con forme nuove di partecipazione nella definizione del “piano dell’offerta formativa” e del “patto educativo di corresponsabilità”. A partire dalla Legge 59/97 si è invece assistito ad un aumento di vincoli, che non hanno fatto crescere la responsabilità insita nell’autonomia.

È necessario pertanto che la personalità giuridica riconosciuta ad ogni scuola comporti una completa autonomia didattica, finanziaria, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Fermi restando i diritti del personale e gli obiettivi di apprendimento stabiliti dalle indicazioni e linee guida nazionali previste per ogni ordinamento, la scuola deve poter assumere anche la piena titolarità del rapporto di lavoro con il personale. Si è consapevoli che questa affermazione modifica in modo sostanziale l’attuale modalità di rapporto di lavoro del personale stesso. La riflessione e i confronti necessari su tale proposta dovranno saper escludere ogni forma di discrezionalità. Libertà non significa assenza di regole.

La riforma degli organi collegiali della scuola è un elemento importante per la completa attuazione dell’autonomia. In tale direzione si colloca il Testo unificato approvato dalla Commissione Cultura della Camera su “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali” (Aprea, Napoli e altri). In esso si rileva l’esigenza di disporre di organismi che siano di indirizzo e di controllo del sistema educativo a livello territoriale, anche attraverso reti tra scuole autonome, una maggiore responsabilità del dirigente, nonché un’organizzazione della scuola che fa capo al consiglio dell’autonomia.

4 - Il valore educativo e culturale del lavoro

Il realizzarsi della società della conoscenza, la rapida innovazione del lavoro e della sua organizzazione, hanno portato al superamento della distinzione tra attività lavorativa e riflessione intellettuale.

Competenze specifiche sono oggi necessarie in ogni ambito dell’attività lavorativa. La scuola deve saper guardare al lavoro quale risorsa non solo per lo sviluppo professionale, ma anche educativo e culturale. In tale contesto va considerato l’emergere di una didattica centrata sulle competenze. Ciò comporta il passaggio dal processo di insegnamento al processo di apprendimento, con una attenzione ai risultati dell’apprendimento piuttosto che ai percorsi formali. Va superato il pregiudizio di una gerarchia di valore tra scuole liceali e quelle tecnico professionali, con la pari dignità dei percorsi.

Si devono infine aprire nuove alleanze tra scuola e lavoro, anche nelle forme dell’alternanza scuola-lavoro e dell’apprendistato, non solo finalizzate all’occupabilità, ma rivolte alla crescita reale della persona, non strumentalizzata a logiche di mercato e di profitto.

5 - La professione docente come identità della persona: selezione e gestione del personale

La crisi della scuola è oggi soprattutto una crisi del docente spesso relegato in un ruolo semimpiegatizio. Egli vive la condivisa esigenza di una scuola che si fa sempre più comunità, ma anche la solitudine nell’esercizio del proprio insegnamento.

La carenza più grave sta forse nella difficoltà a coniugare ciò che il docente insegna con le ragioni profonde del suo essere persona adulta in mezzo ai giovani: separazione tra ciò che si fa e ciò che si è. Si rende urgente promuovere con la formazione degli insegnanti una nuova “deontologia” della professionalità docente, valorizzando i medesimi docenti e le loro associazioni professionali. E questo vale per tutti i docenti. Infatti “il carattere pubblico della scuola non ne pregiudica l’apertura alla trascendenza e non impone una neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di ogni autentica formazione della persona e della realizzazione del bene comune. In questa prospettiva, è determinante la formazione degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e del personale amministrativo e ausiliario, chiamati a essere capaci di ascolto delle esperienze che ogni alunno porta con sé, accostandosi a lui con umiltà, rispetto e disponibilità” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 46).

Lo sviluppo dell’autonomia necessita di nuove forme di selezione ed assunzione, poiché una scuola, chiamata a “rendere conto” del raggiungimento dei propri risultati, non può prescindere dalla selezione del personale con cui deve operare.

In tal modo – ferma restando una norma generale che regola l’accesso ai ruoli – la selezione e il reclutamento del personale affidata alle scuole o alle reti di scuole permette una scelta meglio rispondente alle effettive esigenze professionali, alla valorizzazione delle qualità delle persone e alla responsabilizzazione degli organi di governo, superando procedure meccaniche e burocratiche. Le scuole devono poter selezionare il personale attraverso un bando pubblico coerente con il proprio progetto educativo e con riferimento ai posti disponibili. I candidati devono essere docenti abilitati, iscritti nell’albo della Regione di appartenenza della scuola. Si tratta di saper coniugare il diritto della scuola di scegliere i propri insegnanti con quello del docente abilitato iscritto nell’albo della Regione. Da qui nasce la prospettiva che le scuole scelgono gli insegnanti e gli insegnanti scelgono le scuole.

In questo contesto sarà necessaria una evoluzione del contratto di lavoro che ne preveda la stipula da parte dei docenti con le singole scuole autonome, o con reti di scuole, la costituzione di figure professionali specialistiche e di coordinamento, una maggior flessibilità organizzativa e un reale sviluppo di carriera.

6 - L’insegnamento della religione cattolica

La scelta di avvalersi o non avvalersi dell’IRC, secondo la normativa concordataria, è un fattore di responsabilizzazione di tutta la scuola, non solo dei genitori e degli insegnanti di religione, e va nella direzione della “corresponsabilità educativa” tra famiglia e scuola.

In questo contesto non può essere dimenticata la situazione inaccettabile degli alunni che non si avvalgono dell’IRC né di attività ad esso alternative. Va cancellata, per la dignità della scuola e dei ragazzi, l’ora del “nulla”.

7 - La valutazione

La valutazione è un elemento decisivo del processo educativo. Essa riguarda tutti gli attori e tutte le azioni, non soltanto gli studenti, i loro apprendimenti e comportamenti. Questi ultimi aspetti sono oggetti propri della valutazione formativa interna affidata ai docenti. Accanto a questa valutazione interna ne esiste, però, un’altra che attiene all’autovalutazione d’istituto, processo indispensabile che unisce la progettazione dell’offerta formativa dell’istituzione, la sua realizzazione, la sua valutazione quantitativa e qualitativa e la successiva ri-progettazione.

Questi due momenti devono però essere connessi ad un sistema ordinato e funzionale di valutazione esterna. Quest’ultimo deve fornire a ciascuna istituzione scolastica parametri nazionali di riferimento utili per valutare il livello di acquisizione raggiunto dagli studenti. L’INVALSI e le sue misurazioni diventano strumenti significativi per l’istituzione scolastica che intende esercitare la propria autonomia in modo responsabile e rendicontabile.

Tali processi di valutazione non possono prescindere dalla valutazione dei docenti e dei dirigenti scolastici. La comparazione internazionale fa emergere come una cultura della valutazione efficiente ed efficace possa essere realizzata solo se esiste un sistema di valutazione dei professionisti chiamati ad operare in ciascuna istituzione scolastica. In questa direzione non è possibile però assumere come unico criterio gli esiti di apprendimento degli alunni, stanti le molteplici variabili presenti nell’attività didattica. E’ necessario definire una valutazione sistematica dell’operato sia del dirigente scolastico che del personale docente e non docente al fine di riconoscere e implementare le situazioni di eccellenza e di correggere e di migliorare le situazioni di criticità. E’ questo un passaggio culturale, prima ancora che istituzionale, molto delicato che merita di essere affrontato all’interno del più ampio problema della selezione e del reclutamento dei docenti e dei dirigenti e della loro formazione in servizio. A tal fine si auspicano sperimentazioni locali, supportate da una normativa a livello nazionale, che superino l’attuale autoreferenzialità della scuola, predisponendo una “rendicontazione” in chiave di bilancio sociale, finalizzata ad aumentare la partecipazione e la condivisione.

8 - Il finanziamento alle scuole

La spesa per il personale delle scuole non dovrebbe più avvenire attraverso il pagamento diretto del personale da parte dello Stato, ma attraverso un finanziamento statale complessivo gestito in autonomia da parte delle istituzioni scolastiche comprendente il “costo standard per allievo” (federalismo solidale; costo dei docenti; riorganizzazione amministrativo-gestionale delle singole scuole) da assegnare alle scuole sulla base principalmente del numero degli alunni[1] e la “dote scuola” del singolo alunno, riferita al reale costo della vita.

Nell’elaborazione da parte dello Stato del “costo standard per allievo” è necessario tener presente le diversità tra scuole collocate in situazioni morfologicamente e socialmente diversificate e tra modelli formativi diversi. Qui si inserisce la necessità della riflessione sulla Legge 62/2000, dato che anche i contributi alle scuole paritarie dovranno riferirsi a tali costi standard, sulla base di una nuova legge statale o norme regionali.

[1] Il “costo standard” intende superare il concetto di spesa storica declinato nel concetto di fabbisogno standard (già in parte introdotto nei decreti emanati sul federalismo fiscale). Nel “costo standard” sono compresi i costi per il pagamento di tutto il personale comprensivo degli oneri per le supplenze, per il sostegno e per la formazione permanente a cui si aggiungono i costi relativi al funzionamento della scuola. Questi ultimi possono essere integrati dal territorio (ente locale, risorse produttive, culturali, ecc).
Stabilito tale costo, l’ente che gestisce la scuola accreditata, statale o paritaria, sulle risultanze del servizio svolto nel precedente anno scolastico (numero di iscritti effettivi e frequentanti, valutazione positiva da parte dei fruitori del servizio), ha diritto al contributo statale o regionale unificato per quota pro-capite, riferita in particolare al numero degli alunni iscritti.
Per l’accreditamento (che riconosce la qualifica di “pubblico” in senso oggettivo al servizio svolto) si può tener conto della normativa prevista dalla Legge regionale della Lombardia n.19 del 2007).

9 - Il rapporto tra competenze statali e regionali relative a tutto il sistema scolastico: la situazione della Regione Lombardia

La scuola dell’autonomia deve diventare la scuola della società civile o della comunità. Tale cambiamento implica un nuovo modello di statualità, così come appare nella revisione del Titolo V della Costituzione del 2001. Lo Stato deve determinare e garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili all’istruzione e all’educazione sututto il territorio nazionale. La “gestione” del personale attiene alle competenze regionali, mentre il “governo” attiene al livello nazionale.

In un sistema di governo fondato sul principio costituzionale della sussidiarietà, lo Stato si deve limitare alle norme di carattere generale del sistema educativo e al controllo e alla valutazione dei risultati raggiunti e deve intervenire con il potere sostitutivo nei confronti degli enti territoriali che non assicurano l’erogazione del servizio ed il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni. Si tratta di passare da un sistema scolastico centralizzato all’autonomia piena delle singole istituzioni scolastiche, anche attraverso le competenze legislative regionali in materia ancora non esercitate se non in rari casi.

La Regione Lombardia ha sperimentato in questi anni il sistema della “dote-scuola” e dell’accreditamento regionale per le scuole, in particolare per i percorsi di istruzione e formazione professionale promossi dalle Province o da Centri “privati”, accreditati gli uni e gli altri con le medesime regole. In questi percorsi è previsto dalla Legge n. 19 del 2009 anche l’insegnamento della religione cattolica, secondo la normativa concordataria. Per i percorsi di istruzione e formazione professionale viene erogata dalla Regione alla istituzione formativa, scelta liberamente dalle famiglie, una “dote” di 4.500 euro.

La “dote” è l’insieme di risorse riservate alla persona (e destinate agli istituti formativi) perché fruisca liberamente del servizio di istruzione erogato da soggetti pubblici e privati accreditati. La Regione Lombardia non eroga direttamente il servizio, ma trasferisce risorse alla persona perché acquisti il servizio in un sistema controllato. Purtroppo la “dote” finanzia soltanto le richieste fino ad esaurimento delle risorse economiche disponibili, indipendentemente dalle necessità del territorio.

Per concludere viene riportata solo una esemplificazione, stante la difficoltà a reperire dati economici della spesa dello Stato per il funzionamento della scuola statale. La spesa media dello Stato per uno studente degli istituti professionali statali è pari a 7.388 euro (secondo l’Annuario 2006 del MIUR), rispetto ai 4.500 euro erogati dalla Regione Lombardia per uno studente della formazione professionale nell’anno 2011[1].
All’impegno economico dello Stato, vanno poi aggiunti gli impegni economici delle Regioni, delle Province e dei Comuni, per il funzionamento della scuola statale.

[1] Nel 2006 il MIUR ha reso pubblici i seguenti costi di gestione per singolo alunno della scuola statale:
– 5.828 euro scuola dell’infanzia
– 6.525 nella scuola primaria
– 7.232 nella secondaria di primo grado
– 7.147 nella secondaria di secondo grado
(I contributi dello Stato alle scuole paritarie, sempre calcolati pro capite, ammontavano invece, rispettivamente a 584, 866, 106 e 51 euro).

L’Opera S. Alessandro della diocesi di Bergamo ha svolto sull’anno scolastico 2011-12 uno studio sui costi di gestione per singolo alunno nelle proprie scuole:
Scuola dell’infanzia: costo medio di gestione: 2.700 (analisi del bilancio di due scuole dell’infanzia entrambe con tre sezioni e rispettivamente con 73 e 78 bambini)
Scuola primaria
– Scuola con 10 classi – 225 alunni – costo medio per singolo alunno 3.371 euro
– Scuola con 5 classi – 118 alunni – costo medio per singolo alunno 3.274 euro
– Scuola con 5 classi – 66 alunni – costo medio per singolo alunno 5.173 euro
Scuola secondaria di I grado
– Scuola con 6 classi – 153 alunni – costo medio per singolo alunno 3.609 euro
– Scuola con 3 classi – 68 alunni – costo medio per singolo alunno 4.274 euro
– Scuola con 4 classi – 88 alunni – costo medio per singolo alunno 4.509 euro

In Italia (dati statistici del MIUR, 2011) esistono oggi poco più di 13.000 scuole paritarie, in gran parte (quasi l’86%) gestite da enti non-profit, sia di origine religiosa che laica. Di queste, circa 9.500 sono scuole dell’infanzia, 1.500 scuole primarie, poco meno di 700 scuole secondarie di primo grado e poco più di 1.400 le scuole secondarie di secondo grado; gli alunni che le frequentano rappresentano circa il 12% della popolazione scolastica totale, che ammonta a circa 8 milioni e 800 mila studenti.

A seguito della legge 62/2000, che ha riconosciuto la parità a tutte le scuole private purché in linea con determinati requisiti fissati dalla legge stessa, è stato riconosciuto alle scuole paritarie un contributo finanziario che nell’anno 2006 ha raggiunto il suo apice (circa 530 milioni di euro), che poi è stato sistematicamente messo in discussione e diminuito dalle successive leggi finanziarie.