Care Sorelle e Fratelli,
si avvicina il tempo in cui il mio “pellegrinaggio pastorale” mi porterà ad incontrare la vostra comunità. Perché un “pellegrinaggio”, invece che la tradizionale visita pastorale? Le ragioni sono più di una. Non mi dispiace ripensare gli anni del mio servizio alla nostra Diocesi, come un pellegrinaggio: per cinque volte ho incontrato le diverse realtà comunitarie che davano forma ai Vicariati locali. Sono stati incontri importanti e generativi: proprio da questi è scaturita la riforma che ha dato vita alle Fraternità presbiterali e alle Comunità Ecclesiali Territoriali. La quasi totalità delle parrocchie è stata meta del mio pellegrinare: celebrazioni, incontri, feste patronali, inaugurazioni, funerali di sacerdoti, istituzione di Unità pastorali … molte occasioni per una visita che, se inevitabilmente breve, non è stata insignificante.
Ora, se il Signore mi dà salute, cominciano gli anni che porteranno alla conclusione del mio servizio diocesano: non riesco ad immaginare una visita pastorale con le caratteristiche di completezza che hanno caratterizzato quelle dei miei predecessori. Si tratta di qualcosa di più semplice ed essenziale, condizionato dal tempo limitato che mi è concesso. Inoltre, compiendosi nell’ultima parte di questo servizio, è prudente portare a sintesi alcuni percorsi che abbiamo incominciato, senza condizionare eccessivamente il ministero di chi mi succederà.
Questo pellegrinaggio avviene nel momento in cui siamo giunti a delineare tre “corsie” di un unico percorso contrassegnato dall’esigenza pastorale di declinare e soprattutto coniugare fede e vita, vangelo e cultura, chiesa e mondo. Le “tre corsie” sono: le Comunità Ecclesiali Territoriali, le Fraternità Presbiterali e la Parrocchia fraterna, ospitale e prossima.
Come ogni pellegrinaggio, la meta non è un luogo, ma un incontro, lì dove si manifestano e si possono riconoscere i segni del Regno di Dio e la presenza del Crocifisso Risorto che ci precede. Il pellegrinaggio diventa immagine della vita e di ciò che rivela il suo significato: l’incontro con il Signore, appunto, che diventa decisivo per la vita stessa.
Dove stiamo andando, chiede il poeta e risponde: “Stiamo tutti tornando a casa”. La casa è l’immagine dell’incontro. Dove ci si incontra nell’amore, lì c’è la nostra casa. La comunità cristiana, particolarmente nella forma della parrocchia, è la rappresentazione di questa esperienza: un incontro che diventa casa.
La cura dell’incontro è quindi caratteristica di questa visita. Se la parrocchia si qualifica come possibilità di incontro, allora la cura di questa esperienza e la cura delle relazioni che ne scaturiscono è la “priorità” da perseguire insieme. Cura delle relazioni, diventa prendersi cura gli uni degli altri. “Da questo vi riconosceranno …”.
La visita del Vescovo in forma di pellegrinaggio è dunque caratterizzata dall’esperienza dell’incontro: personale con i presbiteri, comunitario con gli organismi pastorali, con la comunità eucaristica, con un’esperienza “segno” rappresentativa della comunità parrocchiale.
L’orizzonte che caratterizza questo Pellegrinaggio pastorale è: “La parrocchia, fraterna, ospitale e prossima e il ministero presbiterale”. In questi anni abbiamo sentito insistente l’invito a dar nuova forma alla missione della parrocchia. Mi sono convinto che queste tre dimensioni possono rappresentare lo stile missionario della parrocchia. Si tratta dunque di individuare, far emergere, valorizzare i tratti del volto della parrocchia che esprimono queste caratteristiche e di declinarli con il servizio che il presbitero svolge nella comunità.
In questi anni, abbiamo condiviso in maniera sempre più diffusa l’idea e l’immagine della parrocchia come comunità fraterna riconoscibile, a partire dalla “cura delle relazioni” perseguita non solo dal Parroco nei confronti dei fedeli, ma da parte di tutti coloro che formano la Comunità.
L’esperienza che alimenta e rappresenta nel modo più intenso e significativo la fraternità comunitaria è la celebrazione dell’Eucaristia. Insieme a questa, la condivisione della Parola e della fede nella preghiera. Infine l’esercizio quotidiano della carità fraterna, che frequentemente definisce l’appartenenza alla comunità anche di coloro che non partecipano all’Eucaristia.
La fraternità, dunque, come espressione della comunione e dell’unità della Chiesa, nella varietà di vocazioni, carismi e ministeri (ascolto, consolazione, prossimità …liturgia, catechesi, educazione …)
D’altra parte, siamo altrettanto consapevoli che la Parrocchia non si riduce alla Comunità di coloro che la costituiscono, non è una “fraternità esclusiva”, ma per caratterizzazione evangelica, è aperta, accogliente, ospitale: è il luogo ordinario dell’‘inclusione’ nei confronti di chi si affaccia in tempi brevi o in determinate circostanze nella comunità per poi scomparire (nascita/battesimo dei figli, sacramenti dell’iniziazione cristiana dei figli, percorso di preparazione al matrimonio, malattia e morte, passaggi della vita, impegno educativo, ascolto e accompagnamento, accoglienza disagi diversi …)
Un numero crescente di battezzati non frequenta abitualmente l’Eucaristia, la catechesi e le attività della parrocchia e tanto meno se ne sente responsabile e protagonista; ma, grazie a Dio, questi stessi battezzati si affacciano, con gli atteggiamenti, le attese e le esigenze più diverse, a quella che riconoscono ancora come la loro parrocchia.
L’esercizio dell’ospitalità nei confronti di questi battezzati e delle loro attese non è semplice e spesso è condizionato da “deformazioni” fastidiose che caratterizzano sia loro che coloro che ne vengono interpellati: basti pensare alla mentalità per cui la Parrocchia viene ridotta ad un’agenzia di servizi, da utilizzare gratuitamente, per poi lasciarla al suo destino e ad una successiva richiesta.
Ma, come dicevo, si tratta di “deformazioni”: è la Comunità per prima che deve correggere le sue. Le circostanze e le occasioni più diverse nelle quali un battezzato, ma anche un non battezzato, bussa alla porta della Parrocchia, diventano occasioni per sperimentarne l’ospitalità, capace di rappresentare quell’accoglienza evangelica che non teme di essere sfruttata o semplicemente usata.
Le diverse forme di aggregazione che la parrocchia propone vanno in questa direzione, ma non possono essere lasciate solo alla logica aggregativa, che si misura con i numeri, gli incassi, le risposte a bisogni sociali, il successo dell’iniziativa. Sono le convinzioni che appartengono alla Comunità fraterna a connotarne anche l’esercizio dell’ospitalità.
D’altra parte, se la Comunità parrocchiale deve poter essere riconosciuta per la “cura delle relazioni” di chi la forma, deve anche poter offrire un’ospitalità caratteristica, rispetto a quella di qualsiasi altra attività commerciale o di servizio pubblico, che pur persegue, anche professionalmente, uno stile di accoglienza.
Certamente tra le dimensioni che più rappresentano l’ospitalità della Comunità parrocchiale vi sono: l’accompagnamento dei passaggi significativi della vita, l’impegno educativo, l’ascolto e l’accompagnamento spirituale, il volontariato solidale e l’accoglienza dei poveri.
La terza dimensione è rappresentata dalla prossimità. La Comunità parrocchiale non attende soltanto chi bussa, per esercitare l’ospitalità, ma esce dalle esperienze che la caratterizzano per cercare, incontrare, aiutare e servire, facendosi prossima a chi è lontano, solo, abbandonato, fragile, povero, piccolo, insignificante, invisibile e indifferente. Un esercizio che è auspicabile possa essere condiviso anche con altre realtà e persone, che non si riconoscono nella comunità cristiana, sia in termini personali come in quelli istituzionali e associativi.
Il servizio del presbitero è fortemente coniugato con la vita della comunità, particolarmente nella sua forma di parrocchia: non è l’unica forma del suo ministero, ma certamente quella che viene attesa e riconosciuta da tutto il popolo di Dio, anche dai più indifferenti. In questo senso, un’attenzione particolare di questo pellegrinaggio sarà rivolta all’incontro personale con ogni presbitero, lì dove sta compiendo la sua opera. Sempre per questa ragione, il Vescovo parteciperà agli incontri che la Fraternità presbiterale terrà nel periodo del Pellegrinaggio Pastorale alle Parrocchie della Fraternità stessa.
Suggerisco di immaginarne quattro con queste caratteristiche: un’esperienza di preghiera, silenzio e meditazione; un incontro formativo su un tema pastorale individuato dalla fraternità stessa; un incontro in cui emergono le dinamiche relative alle collaborazioni interparrocchiali e alle iniziative conseguenti; un incontro in forma di visita/pellegrinaggio che contribuisca ad alimentare le relazioni fraterne.
Alla luce di queste intenzioni, vi consegno una semplice scheda, sulla base della quale predisporre la relazione che presenterete al Vescovo, in occasione dell’incontro con gli Organismi pastorali.
Mi permetto una raccomandazione: alla luce dell’essenzialità della visita, è necessario perseguire lo stesso criterio nel rappresentare attese, esigenze e proposte e nell’organizzazione della visita stessa. E’ assai opportuno che nell’individuazione delle risposte, si abbia presente il Libro del 37^ Sinodo diocesano e le Lettere pastorali di questi anni.
Le caratteristiche che la parrocchia missionaria rappresenta sono: la fraternità, l’ospitalità, la prossimità.
- Quali sono i criteri e le pratiche che attuano queste caratteristiche: quali le difficoltà e quali le possibilità.
- Quali sono le priorità e le caratteristiche del servizio del presbitero per una parrocchia con queste caratteristiche.
- Quali collaborazioni con altre parrocchie della Fraternità riteniamo utili in questa prospettiva.
- Quali collaborazioni con la Comunità Ecclesiale Territoriale, le istituzioni e le associazioni e in quali ambiti.
- Quali collaborazioni e ministeri sono necessari per perseguire queste caratteristiche
Per fare sintesi:
- Quali i punti di forza della parrocchia
- Quale i punti deboli
- Quale specifico della nostra parrocchia
- Quali priorità del ministero del prete
Care sorelle e fratelli,
attendo con desiderio il giorno dell’incontro con la vostra comunità, che, come ho già ricordato, si articolerà in quattro momenti: l’incontro personale con i presbiteri, l’incontro con gli organismi parrocchiali, l’incontro con un’iniziativa della parrocchia, la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia. Non potrò estendere il mio pellegrinaggio, contenuto nel tempo, ad altri desiderabili incontri.
Sono consapevole che la prudenza necessaria per contenere la diffusione del contagio, condizionerà la forma dei nostri incontri, ma anche che ne esalterà il significato e lo spirito con cui li vivremo.
Proprio a partire dalla indimenticabile e dolorosa esperienza della violenza della pandemia, mi sono riproposto di aggiungere ai quattro momenti indicati, uno spazio per la preghiera del rosario. In quei giorni ho parlato di un “santuario di preghiera”, costruito non con le pietre, ma con l’infinità di preghiere di tanti. La costruzione di questo santuario non si conclude mai. Proprio per questo desidero pregare con voi il santo rosario.
Già da ora, prepariamo il nostro incontro con la preghiera: sono certo che potremo raccoglierne così i frutti migliori.
Nell’attesa vi abbraccio e benedico.
+Francesco, vescovo