Immaginare la Pace. Ingresso Libero. Hostes – Hospes: mi aspettano a casa

sabato 20 Aprile

15 artisti in 15 chiese.
L’artista Audelio Carrara nella Cripta Oboedientia et Pax di Sotto il Monte Giovanni XXIII.

Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari […]. Ogni essere umano ha il diritto alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte […]. A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale”.

Sono, queste, parole che papa Giovanni XXIII scrisse nell’enciclica Pacem in Terris, in quel 1963 che aveva visto alta la tensione politica, tra la costruzione del muro di Berlino e la guerra fredda. È proprio quello degl anni Sessanta il crinale temporale che collega questo luogo con il lavoro di Audelio Carrara che intreccia memoria autobiografiche, riflessioni stringenti date dal tempo in cui siamo immersi, e volontà di fare dell’arte – quell’arte che anche il Papa invitava a coltivare quale libertà nella ricerca del vero – uno strumento in grado di farsi carico di un pensiero critico.
Due, infatti, i ricordi autobiografici: il primo, negli anni Sessanta, legato a un’infanzia a Parigi, al seguito del padre che lavorava in una acciaieria. La famiglia dell’artista si era trasferita in un caseggiato abitato da persone provenienti da Paesi diversi, in un multiverso di voci, che trovavano un magico accordo, unisono, la sera, quando si chiamavano tutti a tavola, per la cena. Il gioco preferito dei bambini era di viaggiare con la fantasia salendo sui carrelli di metallo usati per spostare barre d’acciaio. Una comunità, molte lingue, un ritrovarsi, un viaggio. Ma qui arriva un secondo ricordo, quello di un viaggio a Berlino, nel 1984, e il sentimento lacerante nato nel vedere le rotaie di un tram della città inglobate dal muro che ne decretava non solo un fine corsa, ma anche un’amputazione di relazioni, di libertà, di consuetudini, quando nel primo mattino del 13 agosto 1961 iniziarono ad essere eretti, al confine tra Berlino Est e Berlino Ovest, gli sbarramenti provvisori che si sarebbero trasformati in una barriera spinata invalicabile. Una comunità, una lingua, un dividersi, un arresto. I binari senza via d’uscita.
L’artista si è trovato a riflettere su quanto, nel terzo millennio, quei muri di cui si auspicava la fine nel 1989, invece che diminuire, venissero eretti con sempre più rancore, ostilità, segno di conflitti legati a motivi economici o religiosi, monumenti all’insanabilità dei dissidi, all’incapacità di andare incontro all’Altro da noi.

Audelio Carrara trova quindi una profonda affinità con il cuore del pensiero di Lèvinas, un umanesimo che può nascere solo dall’incontro con il volto dell’Altro, che mi aiuta a comprendere chi sono, l’idea dell’Altro come limite che ci interroga.
Questo ci porta all’opera Mi aspettano a casa, del 2018, composta da tre carrelli sui quali sono poggiate due lunghe rotaie che terminano la loro corsa a ridosso di un muro. Sopra le rotaie sono collocate dieci ciotole in terracotta color pane, colme di acqua potabile. L’artista sembra avere voluto dare voce a quello che Papa Giovanni XXIII aveva detto prima dell’inizio dei lavori del Concilio Vaticano II: “Cerchiamo sempre ciò che ci unisce, mai quello che ci divide”. Così, dei binari – appoggiati al muro – viene salvata la capacità di diventare rotaie capaci di portare dove la fantasia, o la speranza, ci guidano. Il muro non è un limite, ma una sorgente, una partenza. Invece dei carrelli metallici ci sono dei piatti in cui l’acqua evoca l’idea di dare da bere agli assetati ma, al tempo stesso, la loro successione ordinata evoca una cena. Suggerisce l’immagine dello stare seduti, uno di fronte all’altro, per condividere un momento di pace. La tavola è il luogo in cui si depongono le ostilità, si tirano fuori le parole, si racconta, magari ci si scontra, si stringono accordi, si cercano mediazioni ma, soprattutto, si accoglie l’Altro nella sua unicità e nella sua diversità. In latino Hospes e Hostes, “Ospiti” e “Nemici” hanno la stessa radice, e l’ospite è sia chi è accolto sia chi apre la propria casa in un invito. L’ospite è spesso un estraneo, è l’Altro per eccellenza, nell’ambiguità di come si
rivelerà: sarà ospitale o ostile? Sarà un ospite o un nemico? Mi aspettano a casa: un titolo che sembra quasi sussurrato, un modo poetico per raccontare che non siamo soli, che una trama di relazioni costruisce il senso della nostra esistenza, che siamo ospiti e ospitati, senza nemici. Che, ovunque ci troviamo, qualcuno si preoccupa per noi, ci aspetta, si prenderà cura della nostra stanchezza, e così ci prospetta un’accoglienza calorosa, acqua fresca, e profumo di pace.

A cura di Giovanna Brambilla e Giuliano Zanchi

Inaugurazione: sabato 20 aprile alle ore 17.00 alla presenza dell’artista e della curatrice Giovanna Brambilla.
Orario visite: tutti i giorni 08.00 – 12.00 e 14.00 – 18.00

L’evento fa parte del progetto Immaginare la pace.
Per saperne di più: Immaginare la pace – Settimane della Cultura (diocesibg.it)

 

20/04/2024 08:00
19/05/2024 18:00
Installazioni arte contemporanea
Viale Pacem in Terris, Sotto il Monte Giovanni XXIII
Sotto il Monte Giovanni XXIII
Lombardia
Italia
Viale Pacem in Terris, Sotto il Monte Giovanni XXIII