Pasqua di Risurrezione – Cattedrale

21-04-2019

Care sorelle e fratelli,

chiedo scusa se quello che sto per dirvi potrebbe un po’ “scandalizzare”, poiché si tratta di una storiella lieve forse non adeguata alla solennità di questa celebrazione, ma mi sembra che possa introdurci a comprenderne il significato.

Si trovano un cristiano, un musulmano e un ebreo. Ognuno difende e vanta la propria religione, evocando dei miracoli. Quale sarà il miracolo più grande? Il cristiano dice: “Stavamo andando con una povera nave per annunciare il Vangelo. Con noi c’erano tanti giovani sacerdoti, tutti pieni di zelo. Siamo stati investiti da un uragano e quella barcaccia rischiava di affondare, allora abbiamo pregato il nostro Signore e ad un certo punto dove era la nostra nave c’era una calma assoluta mentre intorno l’uragano imperversava. Così abbiamo potuto raggiungere il porto sospirato”. “Veramente è stato un grande miracolo!”, commentano gli altri. Il musulmano continua dicendo: “Anche a noi è successa una cosa del genere: stavamo andando in pellegrinaggio alla Mecca con una carovana di dromedari e di cammelli e in pieno deserto siamo stati investiti da una tempesta di sabbia. Non vedevamo più nulla, potevamo perderci e morire, allora abbiamo invocato Allah e mentre la tempesta si sabbia imperversava intorno a noi, lì dove noi camminavamo c’era una totale calma, sopra di noi un cielo sereno, così siamo potuti arrivare incolumi alla Mecca”. “Un grande miracolo anche questo!”, ammirarono tutti. L’ebreo disse: “A me è successa una cosa un po’ più strana: ero a New York, voltando da una via principale in una secondaria, sono inciampato in un baule. Era pieno di dollari. Allora ho detto: ‘Benedetto Signore che mi hai fatto inciampare in tanta fortuna! La mia famiglia è povera, i miei figli non hanno da mangiare ed ora ho tutto questo per grazia tua!’. Quando però ho fatto per chinarmi e prendere sulle spalle quel baule, mi sono ricordato che era sabato. La legge del Signore proibisce a un buon ebreo di fare alcun lavoro nel giorno del Signore. Allora ho pregato il Signore e gli ho detto: ‘Signore sono di fronte a quello che potrebbe risolvere tutti i problemi della mia vita, ma è sabato: io non posso disubbidirti e se aspetto fino a domani chissà chi si impossesserà di questo tesoro’. Allora avvenne il miracolo: tutto intorno a me era sabato, ma lì dove c’era il baule con i soldi era venerdì”.

Cari fratelli, vi ho raccontato questa storia perché la Pasqua di risurrezione è ogni giorno, in ogni angolo del mondo, in ogni angolo dell’universo.

Papa Francesco apre la sua lettera di giovani a conclusione del Sinodo dicendo: “Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!”.

Care sorelle e fratelli, la Parola che abbiamo ascoltato, la celebrazione che stiamo vivendo è esattamente questo: la Chiesa continua a proclamare, a celebrare, a credere che Cristo è risorto! Quindi, Cristo vive!

Noi stiamo celebrando l’evento della risurrezione. A differenza di tanti eventi speciali, quello della risurrezione non si conclude. Tanti eventi sportivi, musicali, celebrativi si vivono e poi finiscono; si porta nel cuore un ricordo o un’ispirazione. Qui invece noi stiamo celebrando un evento che non finisce più, perché il Risorto è vivo, è il vivente.

Forse avete sentito ancora parlare di quello che viene chiamato “effetto farfalla”. È una teoria di uno scienziato che dice: il battito di ali di una farfalla in Cina ha tutta una serie di ripercussioni per cui negli Stati Uniti si verificherà un uragano. È strano, direte, ma lui cerca di dimostrarlo scientificamente.

Più da vicino e più semplicemente possiamo ricordarci dell’effetto domino: prendiamo le tesserine, le posizioniamo bene in fila, poi spostiamo la prima e tutte quante cadono.

L’evento della risurrezione ha messo in moto una condizione che non finisce più. Noi non stiamo ricordando la risurrezione di Gesù, ma siamo qui perché crediamo che Cristo vive e che ci rende vivi.

Care sorelle e fratelli, che cosa ci rende vivi?

Che cosa ci rende vivi? Se fossimo malati, un buon medico.

Che cosa ci rende vivi? Comunque, sempre, vorremmo che le condizioni sociali potessero garantirci la vita e una speranza di benessere.

Che cosa ci rende vivi? Scienza e tecnica crescono in modo esponenziale e ci offrono possibilità di vita sempre migliori. Vorremmo che fosse così per tutte le persone al mondo e non solo per qualcuno o per qualche popolo.

Che cosa ci rende vivi?

La risposta la conoscete tutti, l’avete nel cuore. La sorgente della vita è un amore consapevole, un amore scelto, un amore voluto. Questa è la storia di Gesù, questa è la storia del Cristo crocifisso: talmente intensa, talmente rappresentazione e comunicazione dell’amore di Dio, non solo da far risorgere lui per non consegnarlo alla morte, ma da farlo diventare il principio della vita, non solo della speranza di chi crede in lui. E attraverso chi crede in lui – cioè attraverso la nostra testimonianza – lo rende un principio di vita per tutta l’umanità.

Cristo è vivo e dà la vita. Questa è la nostra certezza nella nostra incertezza.

Per qualcuno l’affermazione che Cristo è vivo è assolutamente chiara e pacificante, ma per altri – e forse c’è qualcuno anche tra voi – c’è la fatica a credere: “io credo, ma ho provato momenti in cui la fede si è svuotata, è scomparsa”.

Noi viviamo tutti la fede e nello stesso tempo la fatica della fede, qualche volta pure l’incertezza della fede. Ma sembra che sia impiantata in noi – e questo è un dono di Dio – una certezza che è più forte delle nostre incertezze e che ha portato in qualche modo stamattina tanti di noi ritrovarsi per sentire: “Cristo è risorto! Cristo è vivo e dà la vita!”.

È quella certezza che abita la nostra ricerca. Mi auguro che continuiamo a cercare.

È quella certezza che a volte abita la nostra nostalgia: “quando ero giovane… quando ero bambino… una volta sì che credevano…”. Questa nostalgia custodisce nel suo profondo la certezza che Cristo è vivo e mi fa vivere.

A volte questa certezza abita anche la nostra ribellione, perché può succedere che le condizioni della vita ci portino a ribellarci a Dio. Eppure anche quel grido è espressione che nel profondo di noi quella certezza per cui il Cristo di Dio è risorto, è vivente ed è capace di darci la vita, è più forte della mia stessa ribellione. Qualche volta è la ragione stessa della mia ribellione.

C’è un muro che sembra essere invalicabile: è quello dell’indifferenza. Eppure anche sotto la pietra dell’indifferenza, a volte più pesante di quella del sepolcro di Cristo, abita quel vivente che è capace di spostare ogni pietra. Egli vive!

Concludo ancora con le parole di Papa Francesco: “Occorre ricordarlo spesso perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa. Colui che ci colma della sua grazia, della sua vita, che ci libera, che ci trasforma, che ci guarisce, che ci conforta, è qualcuno che vive. Se egli vive, questa è una garanzia che il bene può farsi strada nella nostra vita e attraverso la nostra vita e che le nostre fatiche serviranno a qualcosa”.

Questa è la sicurezza che abbiamo: Gesù è l’eterno vivente!

(trascrizione da registrazione)