Giornata per la Vita – Veglia in Cattedrale

02-02-2013
Care sorelle e cari fratelli,
viviamo questo momento di riflessione e di preghiera nel segno della Giornata per la Vita che quest’anno viene celebrata alla luce di questo tema: “Generare la vita vince la crisi”.
 
Credo che sia motivo di riflessione il rapporto tra la crisi che stiamo attraversando e la crisi delle nascite del nostro Paese e in genere nell’occidente. Su questo rapporto abbiamo avuto modo di riflettere anche ascoltando i testi che ci sono stati offerti. Dobbiamo dire che stiamo sperimentando in termini diffusi un senso di sterilità che spesso diventa drammatico. La sterilità dell’occidente, del ricco occidente.
 
La sterilità è una sofferenza intima molto forte. La Sacra Scrittura testimonia questa sofferenza, testimonia la ribellione a questa condizione, testimonia l’infinito desiderio di un figlio. Testimonia l’oscurarsi della fede a fronte della prova della sterilità, quasi che questa fosse una specie di maledizione divina, rispetto ad una umanissima attesa.
 
Questa sterilità sofferenza oggi attraversa in modo significativo,le società occidentali e porta in direzione di soluzioni che per molti aspetti sono una risposta a questa umanissima attesa, anche se per altri pongono dei problemi rispetto ai quali non possiamo sottrarci a volte da giudizi estremamente preoccupati. Questa sterilità sofferta di uomini e donne diventa l’emblema della sterilità del nostro tempo, particolarmente dell’occidente.
 
Questa condizione rappresentativa non può essere surrogata, come invece per molto tempo e ancora oggi tentiamo di fare, da forme di produzione quantitativamente sempre più imponenti e qualitativamente sempre più attraenti. Non è la produzione di beni che può sostituire la fecondità della vita e tanto meno è questa deformazione cancerosa di una finanza senza scrupoli che forse inconsapevolmente e qualche volta un poco consapevolmente abbiamo assecondato.
 
La vita non è un prodotto, è un frutto. Il frutto non semplicemente della natura, ma il frutto dell’amore. La vita esige l’amore, non soltanto nel momento del suo concepimento, lo esige sempre. Abbiamo bisogno di condizioni di salute, abbiamo bisogno di condizioni economiche che diano certezze e garanzie, abbiamo bisogno di conoscenza, di istruzione, abbiamo bisogno di lavoro, abbiamo bisogno di una casa, abbiamo bisogno di un ambiente in cui muoverci senza paura, abbiamo bisogno di un ambiente che in ultima analisi è rappresentativo non soltanto della bellezza della natura ma di un mistero il cui segreto è l’amore. La vita è ogni giorno frutto dell’amore. Quella scintilla di vita che sta nel grembo di una donna, come la vita ormai fiammellina delicata nel corpo di una persona anziana, gravemente malata in cui sembra spegnersi: ogni vita in ogni istante ha bisogno d’amore.
 
Cari fratelli e sorelle, è proprio vero: si parlava di rinascita nel profeta Ezechiele, ma questa rinascita è il frutto dell’amore. Senza amore non c’è alcuna rinascita. Ecco perché i nostri sforzi, le nostre testimonianze devono nutrirsi di una cultura dell’incontro, di una cultura delle relazioni impegnative, di una cultura comunitaria. Quando noi diciamo amore stiamo dicendo di queste concrete esperienze che passano appunto da volti che si guardano senza ostilità e si dispongono ad un incontro, da relazioni non effimere, da relazioni non soltanto significative, ma da relazioni decisive e quindi impegnative.
 
Abbiamo ascoltato e abbiamo meditato sul testo proposto. Si parlava di una fatica: la fatica dell’amore. A volte ricordo anche ai più giovani che non c’è nulla di bello che non costi e l’amore costa più di tutto perché è il più bello.
 
Quando parliamo di relazioni decisive stiamo parlando essenzialmente di relazioni d’amore, d’amicizia, di legami che appunto edificano la vita, addirittura la generano. Non soltanto il volto di un bimbo come quello che abbiamo visto prima, ma ogni forma di vita. Noi sappiamo – abbiamo ascoltato pure – di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli.
 
Cari fratelli e sorelle, noi ci auguriamo di superare questa crisi, ma in che direzione. Non possiamo illuderci, non possiamo rassegnarci. Noi pensiamo a uno sviluppo in cui le persone, ogni persona, in qualsiasi condizione si trovi, non sia concepita semplicemente come una risorsa (“le risorse umane”), ma ogni persona sia riconosciuta come soggetto, dall’inizio alla fine della sua esistenza, come protagonista, come capace di costruire relazioni decisive. Una persona che non è riducibile, ma che piuttosto è irriducibile rispetto a qualsiasi altra esigenza della vita.
 
Io credo che generare la vita vince la crisi. Sì! Una generatività culturale, spirituale e finalmente sociale. Una generatività che trova nella famiglia il suo luogo esemplare.
 
Cari fratelli e sorelle, benediciamo il Signore per le luci che ci consegna, per i doni che ci offre, chiediamo al Signore di essere capaci di una testimonianza generante a partire dalle nostre famiglie, da quelle dei nostri amici, da quelle delle nostre comunità.

 

(trascrizione da registrazione)