Solennità di Pentecoste

Cattedrale
31-05-2020

Care sorelle e fratelli,
abbiamo appena udito che la sera del giorno di Pasqua, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, per timore dei Giudei, venne Gesù. Gesù viene a porte chiuse. Non sfondando la porta.

Stette in mezzo a loro portando dei doni: la venuta di Cristo crocifisso e risorto porta con sé il dono della pace, il dono del perdono dei peccati, il dono dello Spirito Santo, lo spirito di Dio.

Questo annuncio evangelico ci è offerto come un annuncio di gioia. La venuta di Gesù porta ciò che noi desideriamo, porta ciò che ogni persona umana desidera: lui porta la pace, porta il perdono e finalmente comunica la vita stessa di Dio.

Anche lo Spirito viene a porte chiuse. La pagina che ci narra della Pentecoste dice che gli Apostoli erano riuniti nel luogo dove era venuto Gesù. Non era ancora cominciata la grande avventura dell’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. Se ne stavano ancora rinchiusi, ma lo Spirito scende su di loro. Lo Spirito è irresistibile, non c’è nulla che possa resistergli.

Carissimi, in questi mesi anche le porte delle nostre case sono state chiuse. Non sono state chiuse per scelta, sono state chiuse per necessità.

Non sono state chiuse le chiese, ma paradossalmente proprio nel momento in cui celebriamo l’Eucaristia come adesso chiudevamo le porte.

Sono rimaste chiuse le scuole e sappiamo che questo ha rappresentato un impegno non indifferente: da quelle dei più piccoli all’università.

Sono rimasti chiusi gli ospedali, non per coloro che erano malati: anzi, abbiamo ancora negli occhi le file di ambulanze in attesa di poter consegnare i malati a volte molto gravi al pronto soccorso. Ma sono rimasti chiusi per tutti gli altri: per poter garantire la cura di coloro che erano malati, l’ospedale ha dovuto lasciar fuori tutti gli altri, fuori particolarmente da quei reparti dove la battaglia tra la vita e la morte si combatteva sul filo del rasoio. Noi sappiamo quanta speranza ma anche quanta sofferenza hanno rappresentato questi confini e coloro che li hanno abitati.

Sono rimaste chiuse la case di riposo dove molti degli anziani che hanno scritto la nostra storia, che hanno costituito le nostre famiglie erano raccolti. Li avremmo voluti tutti protetti, ma la loro condizione li ha esposti in maniera più facile alla violenza del contagio.

Sono rimaste chiuse le aziende e tutte le attività lavorative.

Sono rimasti chiusi i negozi.

Sono rimaste chiuse le stazioni, gli aeroporti, i porti, i confini.

Tutto chiuso.

Abbiamo assistito però a qualcosa di straordinario: molti cuori, mentre si chiudeva tutto, si aprivano.

Io desidero che questo ricordo non si spegna e che difronte alle fatiche che ci stanno attendendo, mentre riapriamo tutti i luoghi, non si chiudano i cuori.

Non si chiudano a causa di rancori, di rabbie, di sofferenze irrisolte, di invidie, di paure.

Non si chiudano per lo sconforto, per la stanchezza, per l’incertezza e forse anche per qualche pigrizia.

Care sorelle e fratelli, lo Spirito di Dio varca i nostri confini, i muri, le porte chiuse. Non aspetta che apriamo le porte, ma lo Spirito di Dio crede che le apriremo proprio perché ci ha raggiunti.

Come possiamo riconoscere lo Spirito che ci ha raggiunto? Quali sono i segni e i prodigi della Pentecoste di oggi?

Io li ho visti in questo amore impegnativo e difficile tra un uomo e una donna, che pur si vogliono bene ma che in questi mesi sono stati costretti ad uno stile di convivenza a cui non erano abituati. Un amore messo alla prova, un amore che nella prova ha manifestato anche i suoi limiti e qualche volta profondi, ma ha manifestato anche una grandezza che non possiamo dimenticare. Una grandezza che non possiamo cancellare non solo dall’esperienza che questi uomini e queste donne hanno vissuto, ma nemmeno della memoria comunitaria: l’amore di un uomo e una donna che diventa famiglia è una ricchezza infinita per la vita di una comunità.

Dobbiamo lavorare, dobbiamo recuperare, dobbiamo alimentare condizioni di vita che ci garantiscano un futuro, ma se dimentichiamo la ricchezza di questo prodigio che è l’amore di un uomo e una donna, dei figli che hanno messo al mondo, della loro attenzione nei confronti dei più anziani, che futuro stiamo costruendoci? Verso che cosa ripartiamo?

Ho visto il dono dello Spirito nel prodigio di una dedizione veramente impressionante, si è detto eroica, di medici e infermieri, farmacisti, di coloro che non solo hanno curato ma hanno anche benedetto quelli che stavano lasciando la vita.

Ho visto il dono dello Spirito nelle celebrazioni “per” il popolo, non “con” il popolo. Oggi siete tanti, ma ho celebrato in questa Cattedrale vuota per diverse domeniche, eppure quell’occhio televisivo che mi guarda e che anche oggi mi restituisce a tante case, è l’occhio attraverso il quale io ho visto tante persone, le ho sentito. Abbiamo celebrato non essendoci presente il popolo, ma abbiamo sperimentato una unione assolutamente particolare: proprio spirituale, non perché non si vedeva, ma perché lo Spirito ci ha unito.

Ho riconosciuto lo Spirito in una preghiera diffusa non solo per la paura. Non c’è stato niente di magico in questa grande preghiera. È stata piuttosto la comprensione di una fede, a volte riscoperta, che consiste nell’affidarsi, nel dire io “io devo fare tutto quello che posso, ma credo che ci sia un amore più grande del mio e questo è il motivo della mia preghiera”.

Ho visto lo Spirito in coloro che volontariamente, gratuitamente si sono dedicati agli altri: penso ai volontari in ogni ambito.

Ho visto lo Spirito in coloro che hanno assistito i nostri anziani, che hanno insegnato con pazienza, che hanno garantito i rifornimenti necessari, coloro che hanno promosso la solidarietà internazionale, coloro che hanno informato, comunicato, intrattenuto.

Ho visto lo Spirito in una grande varietà di testimonianze: quella varietà che viene evocata nella celebrazione della Pentecoste, perché lo Spirito raggiunge ogni popolo, ogni cultura; perché lo Spirito alimenta doni personali, disponibilità al servizio. Veramente questo Spirito che fa la Chiesa raggiunge ogni uomo e ogni popolo.

La Chiesa è la Chiesa dei popoli. È il miracolo delle lingue. Abbiamo sentito le letture nelle diverse lingue dei popoli che ormai abitano anche tra noi.

Un tale diceva: “Ma tu hai ricevuto lo Spirito ma non parli tutte le lingue!”. E quello gli rispondeva: “Io non parlo tutte le lingue, ma la mia Chiesa sì!”. Noi parliamo le lingue degli uomini perché tutti gli uomini sono stati raggiunti dallo Spirito di Dio.

E vorremmo anche parlare quella lingua che nella nostra terra è custodita come tradizione preziosa: Papa Francesco ha detto che “dobbiamo annunciare il Vangelo in dialetto”. Non si intende con le parole del dialetto, ma con quelle parole che a volte nemmeno sono parole che facciano comprendere la bellezza del Vangelo ad ogni uomo e ad ogni donna. Un Vangelo che possa raggiungere la vita di ogni persona umana, così come è.

Cari fratelli e sorelle, è una Pentecoste indimenticabile. Devo confessarvi che non mi aspettavo così tante persone a questa celebrazione. Che veramente lo Spirito di Dio trovi spazio nei nostri cuori, allora non ci sarà chiusura che tenga, allora quella umiltà che ci appartiene diventerà sorgente per edificare, costruire, ricostruire, ripartire non soltanto come frutto della nostra determinazione, ma come dono per noi e come dono  per tutti.