S. Natale – Pontificale in Cattedrale

25-12-2012
Cari fratelli e sorelle siamo ancora qui per raccogliere la buona notizia del Natale. Il profeta esclama: “Come sono belli i piedi del messaggero di buone notizie”. È il messaggero che annuncia la pace e la salvezza. Siamo qui a raccogliere questa buona notizia, siamo qui perché la riteniamo ancora una buona notizia.
 
Dico “ancora” perché la notizia non è nuova, anzi potremmo dire che è antica questa notizia. Sono passati secoli dall’evento che stiamo celebrando e questo è un po’ paradossale, perché uno degli aspetti di una notizia è la sua novità, la sua freschezza. Oggi siamo abituati ad un mondo di comunicazione velocissima, le notizie di susseguono e si consumano: non più il tempo di 24 ore, come era quando appariva il giornale al mattino, ma ogni ora, ogni istante, noi siamo nella possibilità di raccogliere nuove notizie che cancellano quelle dell’istante prima. Questa notizia, quindi, non appartiene al numero delle notizie che si susseguono vorticosamente e appunto proprio per questo ad alcuni può sembrare assolutamente lontana, una specie di eco che proviene dal profondo dei secoli. Una notizia quindi non più attuale, meritevole semmai del ricordo da parte di coloro per i quali questa notizia è cara, meritevole di essere affidata a quelle tradizioni che non vorremmo abbandonare anche se vediamo che spesso sono sottoposte alla tensione dei cambiamenti e ad una concentrazione sul presente che spesso svuota il passato di ogni significato.
 
Siamo consapevoli che il Natale è una notizia così profondamente intrecciata con la vicenda umana che narrare il Natale conserva ancora una grande forza comunicativa e per altro dà la possibilità di tante narrazioni diverse, al punto tale che qualche volta la narrazione di Gesù scompare tra le tante altre narrazioni.
 
È una notizia, quindi, che porta il peso dei secoli e che comunque ci sembra importante annunciare di nuovo perché come tutto ciò che appartiene al passato ci permette di comprendere meglio il presente. La notizia del Natale che pure è una buona notizia, è una notizia vecchia perché parla di un fatto che comunque è successo lontano nel tempo e che conosciamo bene, non ci è disvelato da qualche recente scoperta.
 
D’altra parte dobbiamo pur domandarci: perché siamo qui? Lasciamoci interrogare anche da coloro che non sono qui: a volte sono i nostri figli e i nostri nipoti. Perché ci ritroviamo e siamo disposti ancora a dedicare del tempo a riascoltare questa notizia? Perché addirittura questo non avviene singolarmente, nelle riflessioni personali che ognuno può fare nella sua camera, ma viene condiviso da una comunità? Perché esiste una comunità che celebra le notizia del natale di Gesù di Nazareth come una grande festa, addirittura una festa che ridonda su tutti, perché tutti vorrebbero festeggiare il Natale seppur con significati diversi.
 
Queste domande ci riconfermano nella convinzione che la celebrazione del Natale non è semplicemente qualcosa che appartiene alla biografia di un grande personaggio. Non è semplicemente, come a volte simpaticamente si dice, il compleanno di Gesù, che per altro avrebbe parecchi anni. Non si tratta nemmeno di quella gioia, che pure è comprensibile, che accompagna ogni inizio denso di speranza come può essere la nascita di un bambino.
 
La risposta a queste domande sta nella fede della comunità cristiana. Lo diciamo particolarmente in questo anno della fede che ci richiama all’essenziale di ciò che crede la comunità cristiana e l’essenziale è proprio Gesù, Gesù di Nazareth, riconosciuto come il Figlio di Dio, come quel verbo di cui abbiamo sentito cantare nel Vangelo, il Verbo di Dio, la sua Parola, il suo mistero.
 
Il Figlio di Dio, il Verbo di Dio è diventato uomo come noi. E se le parole hanno ancora un significato capite molto bene che l’annuncio di questa notizia veramente allora non ha tempo. Se veramente Dio è diventato uomo allora la vita degli uomini non può più essere la stessa da allora ad oggi e per sempre. Sì, qualche volta la provocazione – “ma è cambiato qualcosa?” – ci attraversa ed è legittima perché deve interrogare di volta in volta la coscienza cristiana. D’altra parte a questa domanda dobbiamo poter rispondere: “Sì, è cambiato qualche cosa, addirittura è cambiato tutto nella storia del mondo”. Per dire questo sì veramente, dobbiamo chiedere al Signore che rafforzi la nostra fede, che la fede non rimanga semplicemente un ornamento della nostra vita, ma diventi l’autentica accoglienza di Dio che è diventato uomo in Cristo Gesù, che la fede diventi riconoscimento di questo gesto supremo dell’amore di Dio, che la fede diventi accoglienza e riconoscimento e quindi determini il nostro modo di vivere, il nostro modo di sperare, il nostro modo di giudicare la vita e la storia.
 
Per noi Cristo non è soltanto un grande maestro che ci ha lasciato dei grandissimi insegnamenti, non è un profeta coraggioso che smaschera le ipocrisie, è tutto questo ma per noi cristiani Cristo è veramente Dio che è diventato uomo, il nostro Salvatore e il nostro Signore.
 
Tutto questo avviene a partire da ciò che stiamo celebrando: l’Eucaristia, cioè il mistero della morte e risurrezione di Cristo. Cristo è vivente, non stiamo commemorando anno dopo anno, quindi allontanandoci dall’evento, la vita di una persona grande che segna la storia ma che pian piano si allontana. No. Noi stiamo incontrandoci con il vivente, colui che incarnandosi, percorrendo le strade della vita e della storia, ha introdotto una speranza che nemmeno la delusione più grande può cancellare e l’ha introdotta con la sua parola, con la sua vita, con la sua persona e in un modo inarrivabile con la sua morte e la sua risurrezione. Non dimentichiamolo mai: noi cristiani manifestiamo la nostra fede in Cristo crocifisso e risorto.
 
La celebrazione della sua nascita non è semplicemente il ricordo di un evento del passato, ma diventa la comunicazione con un inizio, un inizio che ci appartiene, un inizio che è la nostra gioia, che è la gioia che vorremmo comunicare a tutti gli uomini, con le parole certamente ma anche con la nostra vita, con il nostro modo di vivere, con una speranza che il male, la delusione e nemmeno i nostri peccati possono cancellare.
 
“Dio – abbiamo ascoltato – che molte volte e in diversi modi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Non solo ci ha parlato, ma lui è la Parola diventata carne, diventata uomo come noi.
 
Cari fratelli e sorelle, credere in Cristo, credere in Dio che nel suo Figlio diventa uomo significa veramente disporsi ad una grande avventura umana. Noi non facciamo della fede una facile consolazione, noi non ci attendiamo salvezze magiche di una storia così contraddittoria che tante volte sembra svuotare le nostre speranze, non c’è una salvezza magica, non c’è neppure una salvezza dall’alto, nel senso che colui che stava in alto è venuto in mezzo a noi. In Gesù si introduce una novità decisiva, decisiva come la nostra umanità che Dio ha voluto scegliere come la sua: è possibile essere uomini, è possibile trasformare questa storia di uomini così come l’ha trasformata Gesù. Coloro che credono in lui si dispongono a seguirlo non semplicemente sottoponendosi a una dottrina, ad una filosofia, ad una legge, ma piuttosto condividendo la sua presenza, la sua amicizia, accogliendo il suo amore, lasciandosi trasformare da questo nelle vostre e nostre famiglie, nel vostro e nostro lavoro, nel vostro impegno sociale a qualsiasi livello sia, nella vostra costruzione della comunità cristiana. Ebbene, in tutto questo si manifesta la verità di un Dio che è diventato uomo.
 
La speranza che scaturisce allora non è una speranza affidata semplicemente al destino, ma è la speranza affidata alla nostra fede in lui. Lui ha iniziato il nostro riscatto. Credere significa incarnare la sua presenza, questa presenza che salva noi e salva il mondo, giorno per giorno. Cari fratelli e sorelle, questo ancora oggi può avvenire. In questo tempo che veramente a volte viviamo con sofferenza, in questo tempo in cui la parola crisi sembra incombere e a volte togliere la forza di sperare, in questo tempo in cui molte persone sono sottoposte a prove severe, le prove che accompagnano la vita di ognuno e anche delle prove eccezionali che attraversano una società intera, che attraversano popoli che ancor più di noi soffrono per la povertà, per la guerra, per l’ingiustizia. E non possiamo dimenticare tutti i bambini che diventano le vittime di queste situazioni inumane. Ebbene l’umanità di Dio che si manifesta in Cristo Gesù ci faccia diventare testimoni di questo riscatto umano che possiamo vivere a cominciare dalla nostra famiglia, dal nostro lavoro, dalla nostra società, ma che si allarga a costruire una speranza per tutti gli uomini.
 
Questo, cari fratelli e sorelle, il Signore ci chiede di farlo insieme. Abbiamo parlato di una comunità credente: soltanto una comunità può dare testimonianza del mistero dell’amore di Dio che si è rivelato in Cristo. Insieme, cari fratelli e sorelle, insieme nelle nostre famiglie, insieme nel nostro lavoro, insieme nella società, insieme nella Chiesa. Quella fraternità che vogliamo percorrere in questo Anno della Fede, la fraternità cristiana, la fraternità nella fede, è una fraternità nel Signore. Non è semplicemente diventato uomo, è diventato nostro fratello: che la comunità cristiana sia testimone di questa fraternità che diventa attenzione, a volte minuscola e quotidiana, l’uno all’altro e da questi segni ne verranno anche di più grandi e quella luce che contempliamo nella grotta di Betlemme diventerà ogni giorno – come lo è stato dalla nascita di Cristo – una luce più grande attraverso coloro che credono in lui.
 
(trascrizione da registrazione)