Quinta Domenica di Quaresima

Cattedrale a porte chiuse
29-03-2020

Care sorelle e fratelli,

abbiamo ascoltato una parola potente, non semplicemente letta, ma consegnata e capace di risuonare e di raggiungere ciascuno di noi: “Lazzaro, vieni fuori!”.

Una parola che appare in contrasto con quella che in questi giorni viene continuamente ripetuta: “restate in casa!”. Come possiamo, dunque, raccogliere la parola di Gesù e nello stesso tempo corrispondere ad una esigenza che ci appare imprescindibile per la salvaguardia della salute e il bene di tutti?

Mi sembra che possiamo comprendere la potenza di questa parola ascoltando il silenzio.

Vi è innanzitutto il silenzio di questi giorni, il silenzio della città e dei nostri paesi. Un silenzio che non avremmo mai immaginato. Un silenzio squarciato dal suono delle sirene che dicono un nuovo dolore, un’angoscia, ma insieme anche una premura, una corsa d’amore.

Vi è poi il silenzio del deserto. In questo momento città e paesi sono apparentemente deserti: si potrebbe fare una fotografia ad ore diverse e la fotografia è sempre la stessa. Una città immobile.

Questa settimana sono stato al cimitero con il desiderio di farmi voce della preghiera e del dolore che non trova possibilità di esprimersi e rimane racchiuso non solo nelle nostre case, ma soprattutto nei nostri cuori. In qualche modo – anche se l’immagine potrebbe sembrare molto forte e provocante – è come se le nostre città fossero diventate un grande cimitero. Non si vede più nessuno. Scomparsi. Possiamo vederci attraverso i mezzi delle comunicazioni e dei social, per fortuna, ma la città è deserta.

Lazzaro vieni fuori! Ma se non possiamo uscire di casa, se non possiamo tornare a quelle che erano le nostre abitudini fondamentali, che cosa significa questa parola?

Significa che la potenza dell’amicizia e dell’amore riescono a tirarci fuori, a tirar fuori la vita, a tirar fuori la vita dalla mortificazione della prova, a tirar fuori la vita racchiusa nelle nostre case perché non diventino prigione delle nostre esistenze.

Ricordo e prego per tutte le famiglie costrette dentro le case. Quale è la forza che ci fa venir fuori da questa costrizione? Non si tratta di scendere nelle strade, ma di alimentare la forza di amare, proprio in queste condizioni, proprio dentro le nostre case: è un amore che si fa premura, comprensione, attenzione, pazienza, sopportazione, capacità di stare vicino ai più piccoli e ai più anziani, aiuto a chi sta lavorando mei modi più diversi. È condivisione delle cose che quotidianamente si fanno in una famiglia, con amore.

Una delle realtà più belle della vita è l’amicizia. All’interno della nostra famiglia coltiviamo quell’amicizia che è capace di tirarci fuori dalle tentazioni depressive, dalle tentazioni rabbiose, da una durezza che, con il passare dei giorni, potrebbe sempre diventare più grande.

Lazzaro vieni fuori! È venuto fuori, Lazzaro, perché la voce dell’amicizia di Gesù è stata più forte della morte.

Care sorelle e fratelli, dentro le nostre case, nelle relazioni che stabiliamo attraverso i social, diciamoci l’un l’altro: “vieni fuori!”. Non dalla casa, ma da quella cella interiore che potrebbe diventare il cuore provato dal dolore, dalla sofferenza, dallo sconcerto, dalla fatica.

Lazzaro, vieni fuori! Come possiamo far uscire dalla tomba in nostri cari: quella tomba che non sappiamo neppure dove sia?

Lo facciamo con il ricordo. In questi giorni non abbiamo la possibilità di esprimere il nostro dolore e i nostri legami d’affetto recandoci su una tomba. Ci rimane il ricordo. Con il ricordo noi tiriamo fuori dal nulla, dalla dimenticanza, dalla scomparsa, chi ci è stato caro. Non dobbiamo avere paura di alimentare i ricordi: non si tratta di un’operazione nostalgica, ma di un’umana risurrezione.

Il ricordo è fatto anche di pianto. Come Gesù ha pianto sulla morte dell’amico Lazzaro, così con il nostro pianto noi in qualche modo avviamo un processo di risurrezione.

La veglia del Papa ha impressionato il mondo intero. Scendeva pioggia come se fossero le lacrime di tutta l’umanità.

Non vogliamo privarci della possibilità di piangere, perché con il piangere noi tiriam fuori dal nulla, tiriam fuori dalle tombe i nostri cari.

Non basta però ricordare, non basta piangere, bisogna che noi raccogliamo la migliore eredità di chi non c’è più, di chi non è più con noi e non tornerà più nelle nostre case. Sarebbe inutile il ricordo e il pianto, se non accogliamo la migliore eredità di chi ci ha lasciato. Anche così, diciamo ai nostri cari: vieni fuori!

Lazzaro, vieni fuori! È quello che – senza parlare – stanno dicendo i medici, gli infermieri e tutti coloro che si battono quotidianamente per strappare al morbo quelli che ne sono assaliti. Lo stanno dicendo con la loro opera, con la loro determinazione: Lazzaro, vieni fuori!

Che gioia vedere restituiti alla vita e alla salute tanti dei nostri cari!

Tutto questo potrebbe restare soltanto parola, soltanto sentimento: un sentimento che certamente allarga il cuore e non si lascia schiacciare dalla pietra tombale dello strazio e della disperazione. La parola di Gesù rivela invece qualcosa di assolutamente inaspettato: prima di gridare “Lazzaro, vieni fuori!”, Gesù innalza a Dio, al Padre, una preghiera: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”.

Gesù stesso entrerà nella morte. Gesù stesso muore come noi, muore come sono morti i nostri cari, muore senza respiro. Ebbene, il Padre – suo Padre, quello che attraverso la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione è diventato nostro Padre – ascolta la sua preghiera. È in nome del Padre che Gesù dice: Lazzaro, vieni fuori! È il Padre che trarrà fuori dalla morte il suo Figlio primogenito, Gesù, e lo farà per sempre e per tutti.

Il nostro percorso è quello di tutti gli uomini, ma la fede ci apre a questa speranza: Gesù si affida e ci affida al Padre nel momento della sua morte. “Nelle tue mani affido il mio spirito”. E Dio non ci lascia nella morte.

Ecco perché “Lazzaro, vieni fuori!” è una parola che risuona profondamente vera nella coscienza del credente ed è capace di interpellare la coscienza di tutti.