Giovedì Santo – Messa Crismale

Cattedrale
01-04-2021

Vi è un appello che risuona in questi mesi, con esiti diversi: l’appello all’unità. Nel pericolo, nel bisogno, di fronte all’assalto di un male oscuro, sembra istintivo “serrare le fila”. Un appello che ha trovato inizialmente riscontri immediati, per poi risuonare sempre più inascoltato, mentre un altro istintivo sentimento è andato crescendo: “si salvi chi può”. Con insistenza instancabile, il Santo Padre richiama all’unità che abbracci tutti, senza escludere coloro che “non contano”, ma le logiche esclusive rimangono in agguato.

Nella lettera che vi ho recentemente indirizzato, declino questo appello con la nostra vita di ministri del Vangelo e della Grazia, testimoni di unità tra loro e servitori dell’unità del popolo di Dio.

Non si tratta di comporre conflitti, di sanare lacerazioni, di richiamare alla disciplina, e neppure di superare divergenze inconciliabili nel presbiterio, sia a livello di prassi pastorali e tanto meno di affermazioni dottrinali o morali. Non avverto una situazione preoccupante a questi livelli.

Si tratta piuttosto di crescere in quell’unità che non corrisponde primariamente ad un bisogno, ma ad una vocazione e ad un dono. Un’unità che prende la forma della fraternità, che prima ancora che essere una “forma” è uno stile, un modo di essere, direi una passione evangelica: è il Signore che ci chiama ad unità e ne indica le caratteristiche.

Si tratta di un’unità che interpella la comunità cristiana, perché diventi segno e fermento per l’unità dell’intera la società. Compito del vescovo e del presbitero è quello di servire l’unità della comunità cristiana, a partire da dal dono ricevuto, che genera un’unità sacramentale tra loro, tra i presbiteri e i diaconi.

Nella lettera, ricordavo le parole del Cardinale Bassetti, in occasione dell’ultimo Consiglio permanente: “Una più profonda comprensione del dono della comunione può accrescere, senza dubbio, in tutta la nostra Chiesa la grazia dell’unità vissuta nella carità e renderà credibile l’annuncio evangelico che essa è chiamata a portare. La vera cultura di comunione postula alcuni valori umani, quali l’attitudine al pensare insieme, alla condivisione dell’impegno, all’elaborazione comunitaria dei progetti pastorali, alla formulazione corretta di giudizi comuni sulla realtà dell’ambiente, all’adozione di forme d’intervento in cui si esprima l’anima cristiana di tutta la comunità interessata”. (Comunione e Comunità n. 63)

Come possiamo crescere nell’unità, riconoscenti per il dono di un presbiterio che, nella varietà, non è clamorosamente diviso?

Siamo consapevoli di una marcata propensione a “far da soli” piuttosto che insieme, cercando di rispettare l’uno le scelte diverse dell’altro: appartiene, si potrebbe dire, al nostro dna, nel quale è iscritto un profondo senso della responsabilità personale, della dedicazione radicale, della concretezza delle prassi.

Vi è dunque un’unità ideale, in genere cordiale, eppure costantemente messa alla prova dal modo con cui percepiamo le esigenze pastorali e le risposte da darvi. Non possiamo nascondere diversità di stili pastorali e di interpretazione del ministero presbiterale e anche diaconale; conosciamo le difficoltà nelle successioni agli incarichi parrocchiali o diocesani; avvertiamo la reticenza rispetto alla prospettiva di lavorare in una Unità pastorale. Emerge in modo sempre più evidente, in tempi di cambiamento molto veloce, la distanza tra generazioni diverse, accentuata dal fatto che cresce costantemente la parte anziana del clero diocesano, rispetto a quella più giovane. Le amicizie e le affinità elettive sembrano corrispondere meglio non solo alla vita di relazione, ma anche alla vita pastorale, rispetto alle relazioni che si stabiliscono a partire dalla condivisione pastorale nel medesimo territorio o nel medesimo ufficio.

Come crescere, dunque, nell’unità: a partire dal fatto che diversità è ricchezza; che fraternità è condizione e anche esito di una unità pluriforme, come da Evangelii Gaudium a Fratelli tutti, il Papa continuamente propone.

E’ una domanda che faccio innanzi tutto a me stesso: se è vero che una delle dimensioni fondamentali dell’episcopato e del presbiterato è il servizio dell’unità, per primo mi sento interpellato dal Signore, da voi, dall’intera comunità. Quante volte avverto la richiesta di una linea più definita, di una progettualità più chiara, di scelte più coerenti e decise: quante volte dubito di me stesso e del modo con cui svolgo il mio servizio. Se ormai posso dire che gli anni e l’esperienza mi sostengo almeno un poco, è nella fede che rigenero l’interiore, necessariamente umile, determinazione nel servire questa cara Diocesi e il suo presbiterio, rimanendo in ascolto delle vostre voci e di quelle dei fedeli. Il Pellegrinaggio pastorale è un grande dono per questo esercizio spirituale.

Per voi, cari presbiteri e diaconi, non ho determinazioni, ma solo suggerimenti a partire dalla sorgente dell’unità che è posta nelle nostre mani: l’Eucaristia. L’Eucaristia è il sacramento dell’unità, che non omologa, ma unifica. Mentre ci auguriamo che il contagio ci renda tutti più consapevoli di che cosa rappresenti questo dono in termini di edificazione della comunità e di perseguimento dell’unità, non possiamo sottrarci alla inevitabile e crescente consapevolezza che l’Eucaristia è la sorgente dell’unità dei ministri ordinati tra loro. Sotto questo profilo, la concelebrazione eucaristica è tutto meno che coreografia, e diventa evento di grazia che comunica il dono dell’unità non solo ai concelebranti, ma anche alla comunità convocata. Così è anche per l’ascolto della Parola condiviso con i fratelli presbiteri e diaconi e la preghiera comune.

Vi è un secondo suggerimento che desidero consegnarvi ed è rappresentato dalla prospettiva sinodale, che in maniera sempre più intensa, viene evocata, per la Chiesa in Italia. Si tratta di comprendere sempre meglio e insieme di che cosa si tratta. Certamente ha a che fare con un ascolto ampio ed attento di tutto il popolo di Dio, di una riflessione comune su queste voci e infine di una restituzione condivisa con testa, cuore e volontà. Nei prossimi anni vedremo delinearsi meglio questa prospettiva: senza sottovalutare le proposte che nasceranno, desidero che non dimentichiamo il cammino percorso dalla nostra Diocesi, proprio a partire da un Sinodo, dalla cinque Visite vicariali che hanno generato Fraternità presbiterali e Comunità ecclesiali territoriali, dallo sforzo di valorizzare gli Organismi di comunione, fino al Pellegrinaggio pastorale che, se non può dirsi un cammino sinodale, è certamente una preziosa occasione di ascolto e di condivisione con fedeli e presbiteri.

Infine, mi sembra che, per crescere nell’unità del presbiterio, ognuno di noi è chiamato a crescere nell’unità interiore. Non possiamo rassegnarci alla “disgregazione del peccato, alla doppia vita, allo smarrimento, alle polarizzazioni, ai conflitti interiori non riconciliati o riconciliati a basso prezzo. L’unità interiore è frutto della relazione con il Signore, dono dello Spirito, esperienza di comunità. Abbiamo bisogno di riconciliazione, a partire proprio da noi stessi.

Scrive il Papa in “Fratelli tutti”: “L’unità è superiore al conflitto. […] Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore …Sappiamo bene che «ogni volta che, come persone e comunità, impariamo a puntare più in alto di noi stessi e dei nostri interessi particolari, la comprensione e l’impegno reciproci si trasformano … e anche quelli che si sarebbero potuti considerare opposti in passato, possono raggiungere un’unità multiforme che genera nuova vita».

Come Gesù e i discepoli in questa Pasqua, saliamo al piano superiore, che è proprio il mistero che stiamo celebrando, per alimentare quell’unità che Dio stesso ci comunica come dono e che ci affida come compito.